professore studentessa molestie

CONDANNATO A UN ANNO E SEI MESI DI CARCERE L’INDUSTRIALE MODENESE 64ENNE ACCUSATO DI PERSECUZIONE E VIOLENZA SESSUALE VERSO UNA SUA DIPENDENTE - L’UOMO L’HA PALPEGGIATA DURANTE IL LAVORO E POI SI E’ GIUSTIFICATO (“E’ SOLO UNO SCHERZO”) E I SUOI LEGALI HANNO MINIMIZZATO “LA VITTIMA HA AVUTO UNA PERCEZIONE SBAGLIATA…”

Da www.lastampa.it

 

molestie sessuali+

È stato condannato a un anno e sei mesi di carcere l’industriale modenese 64enne accusato di persecuzione e violenza sessuale verso una sua dipendente. La condanna riguarda solo un caso di palpeggiamento che secondo il Collegio del Tribunale è stato provato, mentre è stato assolto per il reato di maltrattamenti in famiglia, il reato che ancora oggi in Italia definisce il mobbing, e prosciolto per le altre molestie sessuali perché le denunce sono state fatte troppo tardi. L’industriale del settore tessile abbigliamento avrà la pena sospesa solo se pagherà la provvisionale immediata alla sua vittima stabilita in 5mila euro. È probabile che ricorra in appello.

 

L’INFERNO SUL LAVORO

Il caso trattato è purtroppo ancora frequente nelle fabbriche e negli uffici. Sotto accusa era il proprietario e amministratore di una nota impresa del settore tessile di medie dimensioni fallita nel 2016 dopo un concordato. L’industriale aveva intrecciato una relazione con una sua dipendente di fiducia che grazie ai suoi riconosciuti meriti professionali aveva scalato le posizioni all’interno dell’azienda: iniziando da operaia a 16 anni, a 40 anni aveva ricoperto un ruolo di responsabile di stabilimento all’estero.

 

molestie

Tra i due era nata una relazione clandestina ma sporadica, terminata, dopo qualche anno, nel 2011 per la situazione frustrante provata dalla donna. Da allora, pur lavorando vicino al titolare, ha troncato ogni legame privato, nonostante le insistenze e i messaggi dell’uomo. Quando la moglie di questi – socia di minoranza – ha scoperto la relazione già terminata, per la dipendente è iniziato l’inferno, alimentato dalla presenza della figlia del suo capo (anche lei dipendente) che non ha esitato anche di minacciarla di morte davanti ai colleghi durante una riunione. Le è stato rubato il cellulare in ditta.

 

Le minacce e le offese sono diventate sempre più frequenti, anche in pubblico. Finché lo stress, l’ansia e l’angoscia hanno prevalso. Sono seguiti periodi di malattia e poi il licenziamento per stato di crisi. Ma prima di arrivare a tanto, per una donna che viveva dello stipendio e pagava un mutuo casa, uno degli ultimi giorni è avvenuto un episodio ancora più grave e umiliante, da lei denunciato: il suo titolare l’ha palpeggiata mentre lavorava. E quando lei si è ritratta impietrita, le ha detto sorridendo che era solo uno scherzo.

 

MANCA LA PROVA 

molestie

Questi i fatti, ma in tribunale l’accertamento si è svolto considerando un macchinoso reato non ancora superato da una legge specifica sul mobbing: è il maltrattamento in famiglia (perché l’azienda è ritenuta una famiglia...). E in questa veste non sono bastate le prove portate. Il pm Claudia Ferretti ha chiesto l’assoluzione anche per un altro motivo.

 

Gli episodi di persecuzione - a fonte di un innegabile grave disagio psichico della vittima certificato dai medici - sono stati provocati da moglie e figlia, non dall’industriale. Tranne quando l’ha spostata in un ufficio lontano dal suo facendo tinteggiare le vetrate di bianco. Ma moglie e figlia non erano imputate. «Altre condotte persecutorie non ne vedo. Non riesco a ritenere provato il reato», ha concluso il pm.

 

“HA LASCIATO FARE” 

Per la vittima, parte civile al processo, l’avvocato Roberto Ghini ha all’opposto sostenuto che era ben visibile il costante comportamento omissivo dell’industriale: sapeva tutto, per mesi ha assistito a soprusi quotidiani, minacce, ingiurie di sua moglie e sua figlia ma non ha detto né fatto niente.

 

molestie

«Eppure aveva diritto di intervenire - ha detto in disaccordo col pm – perché il datore di lavoro ha il dovere di impedire la vessazione di una dipendente. È vero che la vittima non è stata demansionata di ruolo ma alla fine è stata da lui allontanata d’ufficio e isolata. L’ha messa in castigo». L’aggressione sessuale denota arroganza e mancanza di ogni senso del dovere del datore di lavoro con la dipendente. In questo senso, Ghini l’ha ritenuto non solo un reato sessuale. Questa vessazione, ha concluso, ha lasciato danni non solo psichici (ansia, paura, depressione) ma ha cambiato la vita della vittima.

 

UNA “MANO MALANDRINA”

Il difensore, avvocato Stefano Giovanardi, si è appoggiato alla richiesta di assoluzione del pm per i reati tipo-mobbing. L’industriale, ha spiegato, andava capito: era tra l’incudine e il martello, tra l’ex amante che lo teneva lontano ma lavorava con lui e la moglie infuriata per il tradimento. «Cercava di proteggerla», ha spiegato. Poi a proposito di quella che ha definito «la mano malandrina» dell’industriale, ha detto che la vittima ha avuto una percezione sbagliata, ha esagerato nella descrizione: è possibile che l’uomo passasse in un punto stretto e l’abbia toccata per sbaglio e non con la mano aperta.

 

MOLESTIE SESSUALI

LA VITTIMA: “LE DONNE NON IGNORINO I SEGNALI, ANCHE PICCOLI” 

«Sono soddisfatta dell’esito del processo anche se purtroppo non è stata provata la mia persecuzione sul lavoro – dice la ex dipendente vittima, parte civile al processo, che oggi svolge un’identica mansione in un’altra ditta – ne approfitto per lanciare un messaggio alle donne che subiscono persecuzioni e molestie sul lavoro, sia dai superiori che dai colleghi. Non sottovalutate mai qualsiasi segnale, anche se piccolo, come una frase o un ammiccamento o una battuta, perché se questi segnali diventano continui possono facilmente sfociare in qualcosa di pesante se non grave, come successo a me.

 

Vanno fermati. Lo so, ci vuole coraggio. Anche io ho avuto molto timore all’inizio, avevo dubbi se procedere con una denuncia perché temevo ritorsioni anche se non ero più dipendente di quell’uomo. Ci vuole coraggio, dicevo, ho dovuto affrontare tutto questo da sola anche se sono timorosa di natura. Questa volta però ho trovato la forza dentro di me per cercare giustizia, perché questa persona non riuscisse a farla franca».

Ultimi Dagoreport

mario draghi praga

DAGOREPORT - MA DRAGHI, COSA SI ASPETTAVA COL SUO DISCORSO AL SENATO, DA PARTITI CHE AVEVANO GIA' AFFOSSATO IL SUO GOVERNO E LA SUA AMBIZIONE QUIRINALIZIA? E SE È ANDATO VIA SBATTENDO LA PORTA, STIZZITO (“VEDO CHE GUARDATE L’OROLOGIO, PER CUI VI RINGRAZIO”) - EPPURE LE SUE PAROLE CONTENEVANO UNA PROPOSTA IMPORTANTE: FINANZIARE IL RIARMO CON EUROBOND - DIETRO IL NO A URSULA, CHE GLI AVEVA PROPOSTO DI COORDINARE IL PIANO REARM EU, PRIMA PASSO A UNA FUTURA DIFESA EUROPEA, CI SONO DUE MOTIVI... -VIDEO

giorgia meloni john elkann

DAGOREPORT – COME MAI IMPROVVISAMENTE È SCOPPIATA LA PACE TRA JOHN ELKANN E FRATELLI D’ITALIA? IL MINISTRO DELLE IMPRESE, ADOLFO URSO, SI È SPINTO A DEFINIRE L’AUDIZIONE DI YAKI ALLA CAMERA COME “UN PUNTO DI SVOLTA NETTO” – AL GOVERNO HANNO FATTO UN BAGNO DI REALISMO: INNANZITUTTO LA CRISI DELL’AUTOMOTIVE È DRAMMATICA, E I GUAI DI STELLANTIS NON DIPENDONO SOLO DAI DANNI FATTI DA TAVARES - E POI CI SONO I GIORNALI: ELKANN È PROPRIETARIO DI “STAMPA” E “REPUBBLICA” (E DELL'AUTOREVOLISSIMO SETTIMANALE "THE ECONOMIST). MOSTRARSI CONCILIANTI PUÒ SEMPRE TORNARE UTILE…

meloni giorgetti fazzolari caltagirone nagel donnet orcel castagna

DAGOREPORT - DELIRIO DI RUMORS E DI COLPI DI SCENA PER LA CONQUISTA DEL LEONE D’ORO DI GENERALI – SE MEDIOBANCA, SOTTO OPA DI MPS-CALTA-MILLERI, TENTA DI CONQUISTARE I VOTI DEI FONDI ANNUNCIANDO LA POSSIBILITÀ DI METTERE SUL PIATTO IL SUO 13,1% DI GENERALI, SOLO DOMANI ASSOGESTIONI DECIDERÀ SE PRESENTARE UNA LISTA DI MINORANZA PER LEVARE VOTI ALLA LISTA DI NAGEL-DONNET, PER LA GIOIA DI CALTA-MILLERI (LA DECISIONE È NELLE MANI DEI FONDI CONTROLLATI DA BANCA INTESA) - FINO AL 24 APRILE, TUTTO È INCERTO SULLE MOSSE IN GENERALI DI ORCEL: CHI OFFRE DI PIÙ PER IL 9% DI UNICREDIT? E CHE FARÀ INTESA DI CARLO MESSINA? AH, SAPERLO...

raffaele cantone - francesco lo voi - pasquale striano giovanni melillo

FLASH! – AVVISO AI NAVIGATI! IL CASO STRIANO SUGLI ACCESSI ABUSIVI ALLA BANCA DATI DELLA PROCURA NAZIONALE ANTIMAFIA, NON È APERTO: È APERTISSIMO! UNA VOLTA CHE IL FASCICOLO È PASSATO DALLE MANI DI CANTONE, PROCURATORE DI PERUGIA, A QUELLE DI LO VOI (CAPO DELLA PROCURA DI ROMA), CI SI ASPETTANO I BOTTI - IL CAPO DELLA DNA, GIOVANNI MELILLO, È DETERMINATO AD ARRIVARE FINO IN FONDO. E LO VOI, CONSIDERATI I PRECEDENTI (L’OSTILITA' DEL GOVERNO PER IL CASO ALMASRI), NON FARÀ SCONTI - COME NELL'AMERICA DI TRUMP, LA MAGISTRATURA E' L'UNICA OPPOSIZIONE A PALAZZO CHIGI...