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PRATO, UNA WUHAN PREVENTIVA – LA CITTÀ TOSCANA È LA PIÙ GRANDE CHINATOWN D’EUROPA, CON 22MILA CINESI REGISTRATI ALL’ANAGRAFE. E QUANTI CONTAGI CI SONO STATI? ZERO! - COME HANNO FATTO? SEMPLICE, NON HANNO ASPETTATO I DECRETI E SI SONO CHIUSI IN CASA DALLA SERA ALLA MATTINA SENZA FIATARE – VIDEO

 

Paola Pellai per “Libero quotidiano”

 

coronavirus prato 1

La comunità cinese di Prato da tempo ha capito che il coronavirus lo vinci solo chiudendo bottega. E isolandoti. Oggi molti di loro sono alla terza e anche alla quarta quarantena, senza un contagio. Basterebbe questo dato per indicare l' unica strada percorribile al premier Conte: adottare "il metodo Wuhan". Strumenti troppo duri, drastici, dittatoriali? Chissenefrega, quello che conta è l' orgogliosa dichiarazione del presidente cinese Xi Jinping: «La battaglia è quasi vinta e il Paese può ripartire».

 

Proprio una settimana fa siamo andati a lezione nella Chinatown di Prato dove è presente la più grande comunità cinese in Italia e sul podio in Europa. A Prato sono 22 mila i cinesi registrati all' anagrafe, la maggior parte proviene da Wenzhou, 848 chilometri da Wuhan.

prato coronavirus 1

Rappresentano il 10% della popolazione e con 5.977 imprese sono una voce economica fondamentale. La maggior parte delle loro abitazioni ed attività è concentrata lungo via Pistoiese, la direttrice principale del cosiddetto Macrolotto Zero. Qui c' è ogni genere di negozio. Mancano solo le pompe funebri: non ho mai capito se i cinesi in Italia sono immortali o dove finiscono una volta deceduti.

 

Percorrendo via Pistoiese e le limitrofe Tazzoli, Filzi, Marini, Becagli mi sono subito resa conto conto che qui, da qualche settimana, la parola business suonava come una bestemmia. L' avevano rimossa. Tranne qualche supermercato e genere alimentare tutto serrato: chi in ferie, chi in fantomatica ristrutturazione, chi sottolineava di anteporre ai guadagni la salute dei propri dipendenti. Sulle serrande abbassate c' era la data di chiusura (alcuni già dal 10 febbraio), non quella di riapertura.

la chinatown di prato deserta

 

E proprio giovedì scorso si erano passati l' ordine d' indossare tutti la mascherina. Non la toglievano neppure alla guida dell' auto. L' avevano imposta anche alle poche attività italiane nel quartiere. La storica farmacia Etrusca, che ha diversi cinesi tra i suoi 25 dipendenti, è ricorsa agli straordinari per soddisfare le richieste. La conferma l' avevo avuta prendendo un caffè al bar Lo Scalino: «Ci siamo adeguati. Senza non si lavora. Se ci vedono a volto scoperto i cinesi non entrano. Non si fidano». Nello stesso momento in cui i cinesi imponevano le loro regole di salvaguardia della salute, il premier Conte sembrava il clone di una frase di Woody Allen: «Sono l' unico giocatore di scacchi che si è infortunato durante la preparazione atletica». Follia.

prato coronavirus

 

LA PIATTAFORMA

Nella Chinatown non hanno aspettato il sonnolento premier, hanno agito sollecitati dalla piattaforma di messaggistica WeChat, che è un po' come il nostro WhatsApp. Si sono tenuti sotto controllo l' uno con l' altro, rifugiandosi volontariamente in casa come consigliavano i loro parenti in Cina. Hanno semplicemente obbedito, senza rivolte. Laura, proprietaria di un negozio di casalinghi, mi raccontò che la sua dipendente cinese per paura del contagio si era addirittura licenziata. Dalla sera alla mattina.

 

cinesi prato

Senza aspettare di essere messa in ferie. I pochi cinesi in giro camminavano in fretta. C' era poco di aperto, in una pescheria vendevano ostriche a 10 euro al chilo. Ristoranti chiusi, anche quelli presenti sulle guide turistiche, come Ravioli Liu e il Summer Palace. Alcuni si limitavano a vendere d' asporto «per fare prevenzione» e se chiedevi di fare due chiacchiere te lo impedivano: «No, no, nostlo capo non vuole. Lui non c' è, alliva tla qualche ola». Le imposte delle case erano tutte serrate, non passava un filo di luce, non sentivi una voce e non vedevi un bimbo giocare per strada.

 

Per i cinesi questo è l' anno del topo che ha come caratteristiche la forza e il coraggio. Servono, serviranno. In 2500 da Prato erano volati in Cina per festeggiare il loro Capodanno il 25 gennaio, in 700 non sono ancora tornati. Ora sono più sicuri là. Quando si parla di cinesi i numeri viaggiano sempre su due binari: quello dell' ufficialità e quello della clandestinità, a Prato stimata in 10 mila irregolari. La locale sezione della Lega da anni battaglia perché siano intensificati i controlli per portare alla luce questo sottobosco senza garanzie igienico-sanitarie.

cinesi prato

 

Molti di quelli ancora in Cina al rientro a Prato non avranno più un giaciglio. Gli irregolari dormono spesso nei capannoni dove lavorano, ma adesso che le macchine sono ferme è andata in crisi anche la tecnica del "letto caldo": un appartamento affittato ufficialmente a 10 persone, ne mette dentro 20 che si alternano secondo i turni di lavoro. Quando uno lavora, l' altro dorme. E viceversa. Ma ora è come se tutti dormissero e basta, per questo mancano i letti e per questo si pretende dal console cinese le generalità di chi ancora deve tornare a Prato. Non fare scoppiare il caos virus all' interno della propria comunità è stato, forse, anche un modo per "proteggere" le irregolarità.

cinesi prato

 

Sin dai primi di febbraio, i cinesi hanno fatto quello che la Regione Toscana non ha avuto il coraggio di fare, ostinandosi a parlare di libertà e non di obbligo: si sono messi in quarantena volontaria, 14 giorni chiusi in casa per bimbi ed adulti che avevano viaggiato tra il Paese del Sol Levante e il nostro. Non esistono numeri né tracciabilità, non sapremo mai quanti l' hanno dribblata ma la verità è che a Prato le statistiche danno ragione a quel fai da te e non alle istituzioni che solo il 5 marzo (ma mille bambini cinesi erano già a casa da un pezzo) hanno chiuso le scuole, l' 8 marzo chiese e musei e poi si sono adeguati all' ordinanza di Conte.

 

chinatown prato

Il Governo anche qui è giunto in ritardo su tutto, convinto che il talismano fosse il grande stendardo del Comune sull' omonima piazza: "Contro le barbarie riaccendiamo i diritti umani". Se non fosse stato per la Lega per Prato avrei pure visto il manifesto «È solo un brutto raffreddore, stiamo insieme». Prima di rimuoverlo il sindaco Biffoni ha scomodato l' ufficio legale del Comune per valutarne l' inopportunità. E da ieri il manifesto è stato rilanciato con un "ritocchino" sostanziale: il brutto raffredore si è trasformato in «un' epidemia da combattere insieme».

 

SOLIDARIETà

Più intelligente la mossa del locale Tempio Buddista di Pu Hua Si che ha concretizzato "il combattere insieme" donando ad una casa di cura di Codogno 300 litri di disinfettante e 6 mila mascherine ed altre 24 mila al punto raccolta 118 della Regione Lombardia. Inoltre a Prato, regalata dall' equivalente della Protezione civile cinese, è in arrivo una macchina per l' igienizzazione delle strade, delle ambulanze e dei luoghi pubblici.

 

Una mano forte dai cinesi. Chi l' avrebbe mai detto? Eppure anche loro sono in difficoltà economica.

poliziotti cinesi prato

Lo realizzo in fretta quando in via Filzi m' infilo in un un grande cortile che porta ad un capannone. C' è un cartello con la scritta "affittasi" e accatastate montagne di tessuto.

Fuori e all' interno. Centinaia di chili, di ogni colore e dalle metrature ingombranti. Alcuni sono appoggiati su un' immensa bilancia. Non c' è nessuno, come se fossero fuggiti tutti, abbandonando la materia prima sulla quale avrebbero dovuto lavorare.

Molto del lavorato qui, poi finisce in vendita al Nord.

LE STANZE SEGRETE DEI CINESI A PRATO

 

Ma ormai tutto è bloccato. Non arrivano e non ripartono i camion con la merce. In sole due settimane 21 aziende artigiane a Prato hanno chiesto la cassa integrazione. Impossibile anche cercare il colpo di culo in una sala giochi. Proprio nella Chinatown di Prato c' erano le sale più frequentate d' Italia, questa è la provincia con la più alta spesa pro capite nel settore, 576 euro a testa. Chiuse anche loro.

aziende cinesi prato

 

Ma in questo quartiere i soldi sono sempre girati, mi raccontano di abitazioni acquistate per 400 mila euro ai quali ne hanno aggiunti altri 300 mila per farci il negozio. Nel mio girare tra loro mi sono sempre sentita appiccicata gli occhi della rabbia mista a timore perchè non avevo la mascherina, mentre il premier mi lasciava ancora libera di scorazzare, senza nessun controllo. Sono ripartita da Prato con una mascherina in tasca. Un giorno a Chinatown mi ha insegnato che per fare il premier ci vogliono le palle. Quindi non ho un premier ma la mascherina. Ha ragione la comunità cinese di Prato, senza contagi. Semplicemente rispettando le proprie regole. Per una volta facciamo i cinesi: copiamole.

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