COME MAI IL 6 MARZO LA VAL SERIANA NON DIVENTÒ ZONA ROSSA? – IL PROCURATORE GENERALE DI BRESCIA METTE NEL MIRINO LA CATENA DECISIONALE SULLA MANCATA CHIUSURA DELL’EPICENTRO DEL CORONAVIRUS – LA SERA DEL 6 MARZO 300 TRA CARABINIERI, POLIZIA, ESERCITO E GUARDIA DI FINANZA ERANO PRONTI PER SIGILLARE NEMBRO E ALZANO, POI…
Giuliana Ubbiali per il “Corriere della Sera”
ospedale pesenti fenaroli alzano lombardo
Erano in 300 tra carabinieri, polizia, esercito e guardia di finanza, negli alberghi della Bergamasca. La sera del 6 marzo erano pronti per andare a sigillare Nembro e Alzano. Invece, non se ne fece nulla della zona rossa in Valle Seriana, nonostante il parere dell' Istituto superiore di sanità. Regione e Governo, chi la voleva e chi non la decise. Se n' è parlato a lungo, non senza rimpalli. Ora i carabinieri del Nas hanno consegnato alla procura di Bergamo una relazione anche sulla mancata zona rossa.
Sarà Piazza Dante a decidere se, al di là della scelta politica, ci siano estremi penali.
L' ondata dei contagi e dei morti di allora, con quell' immagine delle bare sui camion dell' esercito che ha fatto il giro del mondo, è superata. Ieri, i nuovi casi positivi nel giro di 24 ore erano 51, in totale 12.732. Ma sulla mancata zona rossa, tra l' altro, c' è ancora bisogno di chiarezza.
Lo conferma il procuratore generale del distretto di Brescia (include anche le procure di Bergamo, Cremona), Guido Rispoli, arrivato il 25 marzo in piena bufera coronavirus. Facendo il punto delle segnalazioni dei cittadini ha riferito che sono arrivate anche relativamente a «rappresentanti del Governo nazionale e della Regione», in particolare sulla delibera dell' 8 marzo 2020 con cui si chiedeva alle Rsa di accogliere pazienti Covid «a bassa intensità» e, appunto, sulla mancata zona rossa.
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Ma lo scenario di segnalazioni, esposti, denunce è molto più ampio. Il procuratore generale ha fatto riferimento agli organi di gestione degli ospedali e delle Rsa, sia «sulle scelte organizzative che sulla inadeguatezza delle risorse umane e dei presidi materiali messi a disposizione per fronteggiare l' emergenza». Chiedono di indagare i parenti di chi è morto, chi si è infettato, il personale sanitario, l' Inail stesso invia le segnalazioni come infortuni sul lavoro. Lesioni colpose, omicidio colposo, epidemia sono le principali ipotesti. Non mancano i fascicoli con indagati.
A Bergamo, numerosi, anche centinaia, riguardano il personale sanitario che si è infettato. Ma ci sono anche i fascicoli relativi ai decessi, anche nelle case di riposo. Massima riservatezza sull' ospedale di Alzano, chiuso e riaperto nello stesso giorno, il 23 febbraio quando iniziò ufficialmente il caso Bergamo.
Rispoli parla di «esigenza di accertamento dei fatti, ineludibile in considerazione della straordinaria gravità e della pressante richiesta di fare chiarezza della popolazione». Ma mette in luce anche l' approccio: «Tenendo bene in considerazione l' assoluta particolarità della situazione ambientale nella quale i fatti si sono verificati». Non che alzi già bandiera bianca, per lo tsunami. «Ma preferisco essere prudente, oltre che rigoroso». Le difficoltà di indagare ci sono. Come «l' oggettiva impossibilità di accertare l' esatta causa delle morti» perché non vennero effettuate tutte le autopsie, l' esatta individuazione del luogo e del momento dell' infezione» e «l' assenza di linee guida sanitarie».
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