IL CROLLO DEL PONTE MORANDI SI POTEVA EVITARE? SÌ, BASTAVANO “I REGOLARI CONTROLLI E LE ATTIVITÀ DI MANUTENZIONE” – UNA PERIZIA SUPER PARTES, CHE SARÀ USATA COME PROVA NEL PROCESSO, METTE NEI CASINI AUTOSTRADE: “DIFFUSO STATO DI TRASCURATEZZA, PER ANNI SONO MANCATI GLI INTERVENTI NECESSARI, IL PROGETTISTA SINO AL 1985 AVEVA CONTINUATO A EVIDENZIARE IL DEGRADO DEGLI ACCIAI DEI TIRANTI” - LE STIME DELLA CORROSIONE ERANO GIÀ PREOCCUPANTI NEL 1993…
Marco Fagandini e Tommaso Fregatti per “La Stampa”
giovanni castellucci con il plastico del ponte morandi a porta a porta 1
Il crollo del ponte Morandi e la morte di 43 persone si sarebbero potuti tranquillamente evitare. Se solo «fossero stati svolti i regolari controlli e le attività di manutenzione che avrebbero certamente individuato uno stato di corrosione cominciato sin dai primi anni di vita del ponte e che è progredito senza arrestarsi fino al momento del crollo».
Ma non solo. Viene smentita la tesi della difesa che aveva puntato sulla presenza sul ponte, il 14 agosto del 2018, giorno della strage, di una super bobina, quale concausa del collasso. «Non sono stati individuati fattori indipendenti dallo stato di manutenzione e conservazione del ponte che possono aver concorso a determinare il crollo».
Sono alcune delle conclusioni dei periti nominati dal giudice Angela Maria Nutini, nell'ambito del secondo incidente probatorio. Un atto considerato super-partes. La perizia è maturata nel contraddittorio delle parti e costituirà una prova nel processo. I quattro periti hanno risposto ai quesiti, spiegando le ragioni per cui il viadotto è crollato.
Parlano di «mancanza e/o inadeguatezza dei controlli e delle conseguenti azioni correttive che costituiscono gli anelli deboli del sistema. Se fossero stati eseguiti correttamente l'evento (e cioè il crollo, ndr) non si sarebbe verificato».
le carcasse delle auto sotto il ponte morandi
Secondo gli esperti «sono state trascurate negli anni le innumerevoli indicazioni del progettista Morandi, con particolare riferimento al degrado degli acciai dei tiranti». Lo stesso ingegnere aveva continuato a evidenziare, sino al 1985, un «diffuso stato di ammaloramento e proposto modifiche di intervento non sempre accolte».
Mentre «il gestore dell'opera avrebbe dovuto avere una conoscenza adeguata di come l'opera era stata costruita - scrivono i periti -, cosa che avrebbe permesso di individuare il grave difetto costruttivo nell'ultimo tratto del tirante Lato Genova/Sud, consentendo di prevedere e tenere sotto controllo il processo di degrado riscontrato».
ruspe al lavoro per spezzare i blocchi del ponte morandi
Grazie anche all'analisi del video della telecamera di Ferrometal (azienda poco distante dal Morandi) «è possibile stabilire (reperto 132) l'esatto punto di partenza del crollo, che coincide con la rottura del tirante Sud che si trova sul lato di Genova».
La corrosione dei cavi dei tiranti era così importante che sarebbero bastate «ispezioni visive dirette con scassi locali ed endoscopi». Ma si aggiunge che «il punto di non ritorno, oltre il quale l'incidente si è sviluppato inevitabilmente, è da individuarsi nel momento in cui, per effetto della corrosione, si è innescato un fenomeno evolutivo che ha determinato un elevato tasso giornaliero di rottura dei fili, che avrebbe portato inevitabilmente al collasso anche per effetto dei soli carichi permanenti (la struttura stessa, ndr)».
soccorsi dopo il crollo del ponte morandi
Aspi, per la perizia, ha sempre attuato un monitoraggio "statico": «Quel sistema era solo formalmente conforme alla normativa vigente e alla migliore pratica a causa del basso numero dei sensori e all'assenza di interpretazioni delle letture (dei dati riportati, ndr) in funzione delle criticità da monitorare».
Solo in due occasioni, invece, era stato eseguito un «monitoraggio dinamico», ma senza poi seguirne le indicazioni: «Non è stato dato seguito alle raccomandazioni del Cesi di Milano che aveva consigliato l'installazione di un sistema di monitoraggio dinamico permanente».
una veduta del moncone del ponte morandi da una finestra di via fillak
Le indagini commissionate da Aspi «non hanno consentito di pervenire ad un adeguato livello di conoscenza dell'effettivo stato di degrado dei cavi dei tiranti». E nel mirino dei periti finisce anche l'intervento di retrofitting che avrebbe dovuto mettere in sicurezza il viadotto a ottobre 2018, due mesi dopo il crollo.
Intervento già al centro di nuove accuse, per falso, da parte della procura. «Le stime della corrosione già nel 1993 - scrivono i periti - con riferimento alle pile 9 e 10 risultavano rispettivamente pari all'8,6% e al 20,54% e sono in palese contraddizione con quella riportata nel progetto di retrofitting (che arriva ben 24 anni dopo, ndr), generalmente pari al 10-20% indistintamente per le due pile, che implicherebbe il completo arresto del progredire del fenomeno di corrosione in un quarto di secolo».
Gli esperti ritengono la stima di Aspi sul retrofitting «chiaramente assurda e inaccettabile». E accusano la concessionaria «di aver ritardato l'intervento che, svolto con adeguato anticipo, avrebbe evitato il crollo». Dallo studio emergono anche problemi strutturali per carenze progettuali e difetti costruttivi, ma non alla qualità dei materiali.
Aspi ha sostenuto che il Morandi sarebbe crollato per un «vizio occulto». I giudici sposano in parte la tesi. Ma evidenziano come sarebbero stati sufficienti «controlli e manutenzione per evidenziare questi difetti».
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