"TE POTREI FA' MASSACRA' MA SEI UN UOMO" – IL CRONISTA EMILIO RADICE RACCONTA DI QUANDO IL BOSS DELLA BANDA DELLA MAGLIANA AVEVA PROVATO A COMPRARLO: “MI OFFRÌ UNA VENTINA DI MILIONI E UNA MERCEDES. PROVAI UN TRASALIMENTO, COME UNO SPAVENTO, E GLI RISPOSI INGENUAMENTE…” – TUTTI I SEGRETI CHE SI PORTERÀ NELLA TOMBA
1 – FACCIA A FACCIA COL BOSS "TE POTREI FA' MASSACRA' MA SEI UN UOMO"
Emilio Radice per “la Repubblica – Roma”
Una cosa che mi ha sempre fatto rabbia, a proposito di Enrico Nicoletti, è avergli dovuto dare ragione. Ero seduto davanti a lui una sera di tanto tempo fa, nel suo salone di automobili Eurocar sulla Casilina. Lui sulle prime non era stato molto gentile.
Sorpreso dal fatto che fossi andato a trovarlo nella sua " tana" mi aveva indicato i suoi figlioli, due colossi palestrati, e mi aveva detto: « Bel coraggio che c'hai a venire qui, te potrei fa' massacra' » . Poi però aveva aggiunto: « Però se un omo » e mi aveva fatto accomodare nell'ufficio, io e lui a tu per tu.
Parlavamo del caso Tor Vergata, già esploso sui giornali, e lui mi fece: «Ma perché voi giornalisti volete faticare? Tanto poi ci sarà un bell'accordo politico e di questa storia non si parlerà più. Smettila di scrivere no? » .
E per convincermi mi offrì una ventina di milioni e una Mercedes. Provai un trasalimento, come uno spavento, perché ebbi la sensazione fisica di avere davanti qualcosa che poteva farmi male. Non avevo sbagliato, Nicoletti era al centro di un affare enorme e sporco, altrimenti non avrebbe tentato di comprarmi. E gli risposi ingenuamente: « Io un prezzo ce l'ho: dimmi chi per costruire l'università di Tor Vergata ha preso i soldi e di te non mi importerà più nulla » .
Lui si fece una risata. Non mi feci corrompere ma poi, giorno dopo giorno, vidi avverarsi la sua profezia: ci fu l'intesa politica, le informazioni cessarono di arrivare, tutto si chiuse. Si chiuse anche l'inchiesta penale, in quello che allora era più che mai il Porto delle Nebbie, il Palazzo di Giustizia di Roma. E dovetti sopportare persino lo sberleffo di un insolito invito: mi chiamarono infatti i fratelli Ugo e Lando Dell'Amico che allora pubblicavano un foglio di " informazioni riservate", Repubblica, e avevano sede in una palazzina in zona Fontana di Trevi che si diceva essere sede dei " servizi".
Strani tipi di giornalisti i Dell'Amico, che però mi misero sotto il naso uno dei loro fogliacci che titolava a luglio « Scoppierà in autunno lo scandalo dell'affare Tor Vergata.... » , ed era ottobre, e lo scandalo avevo contribuito a farlo scoppiare io, il Comune traballava, il sindaco Ugo Vetere mi telefonava ogni mattina e.... avevo la netta sensazione di essere una pedina di un gioco molto più grande di me. Enrico Nicoletti ora è morto.
Non gli ho mai voluto male anche se ho avuto spesso la sensazione che avrebbe potuto farmene, se avesse voluto. Ma non lo ha voluto. In fondo ci rispettavamo. Quando suonavo a casa sua, in via di Valle Alessandra, la moglie, Gabriella Cinti, gli urlava: « Enricoooo, c'è qui il cronista! » poi facendomi entrare mi diceva: « Tanto ormai l'ho capita: pane al pane, vino al vino » .
Il problema era poi dopo, lui, il boss ( ma guai a chiamarlo boss). Ti faceva accomodare sul divano, sotto immagini di papi e di santi. E poi era tutto un parlare e non parlare, o tutto un dire ma proibirti poi di scrivere qualcosa (" Io non ti ho detto nulla"). Poi un avvertirti scivoloso: « Sai, c'è un amico che ti conosce, non sei napoletano tu? Ah no, lo è tuo padre » .
E poi tutto un offrirti favori: un medico fidato, un prestito sicuro, un investimento geniale. No, no, no, bisognava stare sempre a dire di no, perché un sì sarebbe stato la fine. « Almeno una bottiglia di champagne, dai, accettala. La porti in redazione per berla con gli altri giornalisti alla mia salute » . No, no. Ecco chi era Nicoletti. Dirgli di sì una volta sarebbe stato un obbligo a dirgli sì per sempre. Questo era il suo sistema. Questo il pericolo. E questo il cappio che si è stretto al collo di Roma in mille e mille affari.
2 - I SEGRETI DI NICOLETTI CHE CUSTODÌ IL TESORO DEI BOSS DELLA MAGLIANA
Massimo Lugli per “la Repubblica”
Il corpo pesante, l'accento romano marcato quasi di proposito, lo sguardo ironico e quell'aria di non prendere mai nessuno sul serio, perfino una certa bonomia, lo facevano assomigliare a Ugo Fabrizi. In vita lo hanno chiamato "Il Secco" o "la Banca", in morte molti lo rimpiangeranno e altri tireranno un sospiro di sollievo perché, di sicuro, si è portato nella tomba parecchi segreti.
Misteri mai risolti, intrallazzi ancora da svelare che potrebbero rovinare, a distanza di anni, più di una solida reputazione. Enrico Nicoletti, morto a 84 anni, è e rimane un simbolo della stagione più rampante, più sanguinosa e più oscura della malavita romana.
banda della magliana rapina cinecitta clan proietti
Il suo nome resterà associato in sempiterno alla Banda della Magliana ma in realtà "il Secco" ha sempre fatto di testa sua, si è mosso da indipendente per tutta la vita e ha legato i suoi interessi a quelli dei "Bravi ragazzi" soltanto quando e come gli è convenuto. In sostanza erano "Renatino", "Marcellone", "L'accattone", "Er Camaleonte" e compagnia ad avere bisogno di lui, molto più di quanto Nicoletti ne avesse di loro e non a caso, se non dalle condanne, uscì indenne dalla faida interna che decimò la gang, in un'implosione selvaggia di omicidi, ritorsioni, spiate, regolamenti di conti calibro 9 per 21. Neanche un graffio, nemmeno una minaccia.
Non male per uno che, probabilmente, non aveva mai impugnato una pistola in vita sua se non la "Beretta" d'ordinanza dei lontani tempi in cui indossava la divisa dei Carabinieri. La potenza di Nicoletti nasce molto prima degli anni 80, quando una paranza di rapinatori decise di fare il grande salto al grido di "Pijamose Roma".
E come tutte le fortune imprenditoriali all'ombra del Campidoglio cresce e si rafforza di pari passo coi rapporti con la politica. Potere, a Roma, voleva dire Andreotti e soprattutto il suo braccio destro più alla mano: Giuseppe Ciarrapico. Amicizia consolidata e ampiamente descritta in centinaia di faldoni giudiziari. Sono gli anni delle gru, dell'edilizia economica e popolare, delle grandi opere. Una miniera d'oro. Costruttore ben agganciato, si butta a pesce sul business dei terreni dove sorgerà l'Università di Tor Vergata.
Un giovane cronista di "Paese Sera", Emilio Radice, scopre l'impiccio, ne scrive, scatena un vespaio e "LaBanca" reagisce secondo il suo stile: lo invita a casa sua e gli offre "cinque gettoni da cinque pippi" (milioni) se la pianta di rompere le scatole. Gli va male ma c'è da giurare che ha funzionato in tante altre occasioni: il libretto degli assegni è più micidiale di una semiautomatica, come si scoprirà con la faccenda del "Mondo di Mezzo".
Dal mattone, "La Banca" si lancia in altre attività redditizie: usura, autosaloni, riciclaggio, investimenti in borsa. Tutta la malavita e gran parte di quella zona grigia che a Roma si definisce "Bru bru" lo sa. «Se porti un melone a Nicoletti alla fine dell'anno te ne ridà dieci». Tantissimi fiutano il guadagno e bussano alla porta della sua villa.
Poi tornano. Scrupoloso come un ragioniere, "il Secco" rispetta gli impegni e le scadenze: l'inter esse del 10 per cento è sicuro, basta non fare troppe domande. Lungimirante, prudente, astuto, Nicoletti si lega alle persone giuste: i Casalesi di Antonio Iovine e Vincenzo Zagaria, i siciliani di Pippo Calò, emissario romano di Cosa Nostra, Alessio Monselles, ex rapinatore, faccendiere dai mille volti e, ovviamente, quei ragazzi turbolenti che si facevano strada a raffiche di mitra, sequestri di persona e relazioni pericolose. Affiancato dai figli Toni e Massimo, fa qualche scivolone da imbecille solo quando denuncia un reddito di 450 mila lire su un patrimonio stimato di 69 miliardi (di lire).
Entra ed esce di galera, colleziona scarcerazioni, sconti di pena, nuove denunce, incriminazioni, arresti domiciliari per motivi di salute ma resta fedele alla regola aurea: buttarsi a Santa Nega. Mai un'ammissione, mai un cedimento. «Io boss? Ma de che?» «La Majana? E' un quartiere, no? Ahquellili conoscevo così, come tanti altri», fino allo sberleffo sul libro di De Cataldo. «Er Secco? E chi sarebbe? Io? Guarda che panza che c'ho». Vecchio, stanco, malato, potrebbe mettersi in pensione e affidare il timone agli eredi, che dimostrano la stessa stoffa del padre, ma non ci pensa nemmeno: l'ultimo arresto è di nove anni fa, una storia di usura e truffa sulle case messe in vendita alle aste giudiziarie. Ai funerali di certo, ci saranno parecchie persone e parecchi poliziotti in "abito simulato". E c'è da giurare che non sarà una pacchianata come quelli dei Casamonica.