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LE TESTE? SERVONO SOLO PER I CAPELLI - LE ACCONCIATURE CHE HANNO FATTO LA STORIA: DAL TAGLIO “NAZISTA” DI GORE VIDAL AI CAPELLI BLU DI COCTEAU - QUANDO OSCAR WILDE DEPLORAVA I GIOVANI CHE NON AVEVANO IL BENCHÉ MINIMO RISPETTO PER I CAPELLI TINTI
Brano del libro Barber couture. Tagli, stili e accessori (1940-1960). Per i rocker, i latin lover e gli hipster di ogni epoca, a cura di Giulia Pivetta, 24 Ore Cultura,
I capelli sono l’unica aureola concessa, almeno per qualche anno, a tutti gli uomini. Se è vero, come diceva Karl Kraus, che le conversazioni dal parrucchiere sono la prova inconfutabile che le teste servono per i capelli, non bisogna sottovalutare i messaggi legati alle estemporanee sculture uscite dalle forbici dei barbieri. Lo ribadisce questo bel volume “Barber couture”, che ricostruisce la storie delle acconciature maschili, ben illustrate e ambientate da Matteo Guarnaccia e da foto d’epoca, dal 1940 al 1960.
Ovviamente i migliori interpreti delle nuove acconciature sono sempre stati i giovani e spesso i loro tagli innovatori sono stati più o meno apertamente provocatori rispetto all’immagine maschile tradizionale del momento.
In Francia, durante la seconda guerra mondiale, quando la repubblica di Vichy predicava la raccolta dei capelli dai parrucchieri per confezionare pantofole, gli “Zazous” li portavano ostentatamente lunghi con un ironico codino. Irritati da tanta indifferenza, i fascisti tendevano agguati per rasare loro le teste. Ma anche l’ostentata perfezione della capigliatura imbrillantinata di Malaparte era mal sopportata da chi lo vedeva passare con disinvoltura dalla destra alla sinistra.
Però la frivola perfezione della sua scriminatura centrale non aveva niente a che fare con quella, altrettanto perfetta, ma laterale del protagonista di “Mad man”. Una variante analizzata nel capitolo “Madison Avenue Cut”, in omaggio alle celebri agenzie pubblicitarie.
philippe halsman jean cocteau ricki soma e leo coleman
I creatori delle nuove strategie, esuberanti ma ben integrati, incarnano “l’uomo dell’American Way of Life, il nuovo tipo di maschio che la nazione elegge a suo rappresentante, simbolo di una società che sembra non avere limiti in termini di espansione e ricerca del benessere.”
La stoica asciuttezza dei tratti di Buzzati era accentuata dai capelli tagliati quasi a spazzola. Vittorini, parlando, si schiacciava i capelli, tagliati a spazzola, sulla fronte. In quel taglio geometrico si annida una nostalgia dell’ordine. Ma Gore Vidal si era sentito a disagio quando un filofascista aveva scritto di lui: “Vidal porta i capelli come un nazista, en brosse”.
“I ciuffi vertiginosi lanciati nello spazio da una delle menti più feroci della cultura del tempo, Antonin Artaud, raccontano meglio di qualsiasi parola la sua lucida disperazione”, spiega Giulia Pivetta. Il ciuffo disordinato di capelli grigi di Cioran era la prova della persistenza della sua rivolta alle leggi della società. Ma solo Duchamp ebbe il coraggio di trasformare la propria testa in un disegno, facendosi radere una stella sulla nuca.
Se, come diceva Maugham, “anche nell’atto di farsi la barba c’è una filosofia”, figuriamoci nella scelta di farsela crescere. I barbudos di Cuba si rifacevano alla maestosa barba di Marx. Ma per Hemingway era stato un tentativo di accettare il precoce invecchiamento. Il pizzetto, benché legato a Lenin, era rimasto a lungo legato a un’immagine di destra, come attesta la sua adozione da parte di Pound.
Ma i capelli rasati a zero, a lungo umiliante testimonianza della schiavitù militare, poi ripresi dai gruppuscoli di estrema destra, hanno ormai perso ogni connotazione politica.
Sulle orme di Baudelaire Cocteau si era fatto tingere i capelli di blu a Montecarlo, salvo scusarsi, dicendo che il barbiere aveva esagerato. “I giovani d’oggi sono davvero terribili, deplorava Wilde, non hanno il benché minimo rispetto per i capelli tinti”.