giuseppe montella

“SI PUO’ SBAGLIARE, SONO ERRORI DI VANITÀ” - LA DIFESA DELL’APPUNTATO GIUSEPPE MONTELLA: “NON SONO A CAPO DI UNA BANDA” - MA PER I PM È UN “CRIMINALE PERICOLOSISSIMO” - DI COSE DA SPIEGARE NE HA MOLTE COME LE INTERCETTAZIONI IN CUI SI VANTAVA DI AVERE “TUTTI SOTTO LA CAPPELLA” - LE VIOLENZE ALLA CONCESSIONARIA (“UNO L’HO FRACASSATO”), LA PARENTELA MILLANTATA CON L’EX GIOCATORE VINCENZO MONTELLA - IL RUOLO DEL COMANDANTE, MARCO ORLANDO: ERA IGNAVO O COMPLICE?

1 - PARLA IL CARABINIERE DELLE TORTURE "NON SONO A CAPO DI UNA BANDA"

Michele Sasso per “la Stampa”

 

STEFANO BEZZECCHERI - GIUSEPPE MONTELLA - MARCO ORLANDO - GIACOMO FALANGA

«Non c'è nessuna regia e non sono a capo di nessuna banda». Lo ha detto durante l'interrogatorio di garanzia in carcere lo "Scarface" di provincia Giuseppe Montella, arrestato mercoledì con altri cinque colleghi. Eppure nelle carte dei pm che raccontano le attività di spaccio, i pestaggi, gli arresti pilotati e le "scorribande" dei carabinieri infedeli della caserma Levante di Piacenza, l'appuntato Montella - conosciuto come Peppe - spicca senza dubbio come la mente del gruppo.

 

GIUSEPPE MONTELLA

«Si può sbagliare, si possono fare errori per ingenuità, vanità, per tante cose», ha spiegato il suo difensore, l'avvocato Emanuele Solari, definendolo «molto provato e abbattuto: il figlio legge i giornali». In tre ore Montella si è difeso ma non ha potuto negare l'innegabile, documentato in centinaia di intercettazioni dove lo spazio per le interpretazioni della sua stessa voce è praticamente nullo. «Sono tutti sotto di me», si vantava l'appuntato di origini napoletane con un pusher-informatore, parlando dei rapporti di forza all'interno della caserma Levante. Peppe di cose da spiegare ne ha molte.

 

A partire da tutti quegli arresti-fotocopia dallo scorso gennaio in poi, tacendo che venivano "imbeccati" dai suoi galoppini, senza accertamenti sul territorio e «macchiati da violenze e percosse». Quanto sia andato a fondo davanti ai magistrati, che lo definiscono «svincolato da qualsiasi regola morale e giuridica», lo si capirà già nei prossimi giorni. Soprattutto per quanto riguarda la catena di comando dell'Arma visto che, dicono gli avvocati, anche questa questione «è stata chiarita».

GIUSEPPE MONTELLA E MARIA LUISA CATTANEO

 

E potrebbe emergere il ruolo di quanti superiori nella scala gerarchica sapevano del modus operandi della caserma al centro della città e non sono intervenuti. Nell'altro interrogatorio di ieri ha parlato anche Giacomo Falanga, dicendosi «estraneo allo spaccio e alle violenze» anche se la sua ricostruzione sembra fare acqua da tutte le parti. La foto in cui sorride con una mazzetta di denaro in mano assieme a Montella e a due spacciatori?

 

«Non ha nulla a che vedere con Gomorra - dice il suo avvocato Daniele Mancini -, è del 2016, era su Facebook con tanto di commenti ed è il frutto della vincita al Gratta e Vinci». E il nigeriano pestato? Quello che si vede nella foto che accompagna l'intercettazione in cui proprio l'appuntato racconta che i suoi due colleghi Montella e Cappellano devono fare «il poliziotto buono e quello cattivo»?

GIUSEPPE MONTELLA

 

«Non si può condannare una persona per una battuta, le cose vanno contestualizzate», ha spiegato l'avvocato Mancini, e poi, fornendo la versione dei fatti del suo assistito: «Il nigeriano non è stato picchiato in sua presenza, è stata una spacconata di Montella, in realtà è caduto durante l'inseguimento». Sarà.

 

Ma le parole dello stesso Montella sembrerebbero inequivocabili: «Quando ho visto tutto quel sangue per terra ho detto boh, lo abbiamo ammazzato». Chi non ha aperto bocca, invece, è Salvatore Cappellano. Quello che secondo gli inquirenti sarebbe l'autore materiale delle botte e delle torture e quello che la procura definisce «l'elemento più violento della banda dei criminali» che per anni ha imperversato nella caserma di via Caccialupo. Senza che nessuno se ne accorgesse.

 

giuseppe montella maria luisa cattaneo

2 - OROLOGI, MARMI E FUORISERIE PEPPE, L'APPUNTATO-BOSS CHE VIVEVA LA SUA GOMORRA

Maria Corbi per “la Stampa”

 

«Accontentati tu, io prendo tutto, tutto quello che posso», dice Tony Montana-Al Pacino, lo Scarface cinematografico di Brian De Palma. «Noi dobbiamo viaggiare a numero uno, i numeri due li lasciamo agli altri», dice Giuseppe Montella, l'appuntato di Brusciano, hinterland napoletano, che voleva essere Al Capone. E oggi che compie 37 anni tutta quella «smargiasseria» è rinchiusa con lui dietro le sbarre, con la mamma che lo difende insieme ai suoi amici: «Bravi ragazzi», assicura.

giuseppe montella maria luisa cattaneo

 

Eh sì «Goodfellas», per restare nell'immaginario di questo appuntato piccolo piccolo che si faceva grande con la violenza, le estorsioni, lo spaccio, le escort, le prepotenze. Che come punto di arrivo aveva la villetta con piscina, le auto di lusso, le moto, le donne, in cui specchiare la propria debolezza. Uno stipendio da 31.500 euro lordi che non bastavano certo per soddisfare i suoi sfizi e quelli della sua compagna, Mary, Maria Luisa Cattaneo, 38 anni, che della vita illecita sapeva e condivideva, convinta della impunità di chi indossa una divisa: «Mi avevi detto che eri carabiniere e non ti avrebbero mai preso»

 

Mai dare retta alle parole di un ex ragazzo di Pomigliano d'Arco salito al Nord per dare una svolta alla sua vita costi quel che costi. Anche 50 capi di imputazione come quelli contenuti nell'ordinanza del Gip di Piacenza Luca Milani. Già al paese, cinque chilometri da Pomigliano d'Arco, stretto tra camorra e povertà, Giuseppe era uno sbruffone, e millantava parentele con il calciatore Vincenzo Montella e anche il suo talento abbandonato per «amore» della divisa.

 

giuseppe montella maria luisa cattaneo

«Criminale pericolosissimo», scrive il magistrato. E certamente lo era, quando ancora poteva fare il bello e il cattivo tempo in città come nella caserma dove «comandava» anche il suo comandante, Marco Orlando che di questa storia appare il personaggio più penoso. Ignavo o complice, questo lo deciderà la magistratura. Certo è che i suoi «uomini» ritenevano fosse uno a cui poter scippare l'ufficio in caserma per farci un festino con le escort.

giuseppe montella maria luisa cattaneo

 

«Qui sono tutti sotto la mia cappella». Per gli amici era «Beppe» ma dagli altri voleva «rispetto», facendosi chiamare «capo», soprattutto quando era davanti a suo figlio, con cui si vantava delle violenze e che «educava» alla prepotenza, come nella migliore tradizione «mafiosa». «Ieri mi sono fatto male... ho preso un piccolo strappo... perché ho corso dietro a un negro» racconta al bambino di 11 anni Giuseppe Montella. E il bambino lo segue in questa «lezione» di razzismo e violenza: «L'hai preso poi? Gliele avete date? Chi eravate? Chi l'ha picchiato?», chiede l'erede nato dal matrimonio con Mara a cui non pagherebbe gli alimenti. Anche se l'avvocato Solari spiega che «si tratta di affidamento paritario del figlio» e quindi «ognuno paga quando ha il bambino con sé».

 

giuseppe montella maria luisa cattaneo

Lui che era nato alle pendici del Vesuvio e della società, nella periferia di Pomigliano d'Arco, adesso si sentiva al vertice della «Piramide» come la chiamava lui. E per questo voleva una vita da «re» con la villa piena di marmi, stucchi e oro, copia perfetta delle dimore camorriste della serie Gomorra. E avere la conferma del proprio potere attraverso status symbol come le auto di lusso e gli orologi ma anche la prepotenza del potere esercitato arbitrariamente, come quando per avere un Audi A4 a prezzo stracciato, poco più di 10 mila euro, ha minacciato i proprietari dell'autosalone: «Figa, sono entrato attrezzato Uno si è pisciato addosso, nel senso proprio pisciato addosso. L'altro mi ha risposto e l'ho fracassato», si vantava al telefono intercettato. Un bravo ragazzo, come dice mammà. Goodfellas.

le auto e le moto di proprieta' del carabiniere giuseppe montella giuseppe montella la ducati di giuseppe montella giuseppe montellai carabinieri di piacenza

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