IL CRIMINALE CHE MANCA (GIAMPAOLO) – “GUADAGNAVO 1 MILIARDO AL MESE MA GODEVO DI PIÙ A SPARARE AI POLIZIOTTI” – I RICORDI DEL DOGE DELLA MALA DEL BRENTA - "NE FACEVAMO DI TUTTI I COLORI: RAPINE A BANCHE, CAVEAU E FURGONI BLINDATI. ERAVAMO PAZZI. IMPOSSIBILE FERMARCI. POI CON L’ARRIVO DELLA DROGA… – IL COLPO AL TRENO? MORI’ UNA RAGAZZA, NON LO FECI IO- SONO CONVINTI CHE L' ESPLOSIVO DI CAPACI E VIA D' AMELIO FOSSE TRANSITATO PER VENEZIA, MA NON FU COSÌ – MI SONO SPORCATO L’ ANIMA, OGGI INVECE…
SIMONE DE PIETRI MATTEO MION per Libero Quotidiano
Intervistiamo Giampaolo Manca alias "Doge" ex esponente di spicco della Mala del Brenta organizzazione criminale che ha operato tra gli anni '70-'90. Il Doge all' uscita dal carcere dopo 36 anni di detenzione ha scritto una biografia "Dall' Inferno e ritorno" che racconta a Libero.
Buongiorno Giampaolo, come iniziò la Sua storia criminale?
«Ho iniziato molto giovane, ma determinante fu la morte di un mio complice Silvano Maistrello, detto Kociss, ucciso vigliaccamente dalla polizia durante una rapina al banco di S. Marco. Da quel momento ho capito che non si trattava più di un gioco ed ero disposto a uccidere. Mi duole dirlo oggi, ma io godevo a sparare ai poliziotti. Da quel momento nel '79 sono diventato un criminale!».
Raccontaci qualche colpo?
«Ne facevamo di tutti i colori: rapine a banche, caveau e furgoni blindati. Dopo Kociss, ero diventato un professionista del crimine. La Mala del Brenta era costituita da gruppi di giovani molto coesi, uniti da un senso di fratellanza. Poi cambiarono i tempi e perdemmo lo spirito romantico con l' arrivo della droga, perchè tutto era più facile e meno rischioso, sebbene non ci facessimo mancare 2-3 rapine importanti ogni anno. Era impossibile fermarci. Eravamo in un delirio di onnipotenza, anzi oggi penso che eravamo totalmente pazzi».
E la droga?
«Sono stato io uno dei primi a trattare quel veleno a Milano. Giravano tanti ma tanti soldi, allora decidemmo di andarla a comprare dai Paesi produttori in Sudamerica e Turchia. Le altre organizzazioni criminali s' incazzarono, ma noi in Veneto facevamo tutto quello che volevamo. Ci siamo sporcati l' anima, ma i guadagni erano incredibili: io a quel tempo guadagnavo 1 miliardo di lire al mese!».
E Maniero?
«Maniero è stato un manager del settore. Nell' 80 Felice si avvicinò al business della droga tramite me che ero stato il precursore».
E tu? Come ti muovevi?
«Conobbi un turco e importammo eroina pura, la siriana. Poi andai a Milano - non ti dico da chi - e iniziai a trattare brown sugar, ma eravamo obbligati a tagliarla altrimenti i ragazzi morivano. Poi trattammo la thalilandese, ma era troppo costosa: 250 milioni di lire al chilo.
La brown sugar costava meno. Rifornivamo una batteria che vendeva ai tossicodipendenti: il costo della droga era dato dai passaggi di mano, ma alla fonte costava poco: solo 9 milioni di lire al Kg. Quindi furti rapine e poi il veleno cioè l' eroina, ma la cocaina era in mano alla banda della Magliana. Non esistevano siciliani, calabresi, solo Roma era all' avanguardia per la coca. Come mi disse Vallanzasca mi sono sporcato l' anima.
Poi arrivarono gli omicidi: da rapinatore ad assassino
«Mi fa male ricordare e raccontare questa storia. Erano due veneziani, i giudecchini, killer già a 18 anni, che pensavano di essere diventati onnipotenti ed erano fuori di testa per i soldi. Avevano tradito il codice d' onore dell' organizzazione e avevamo deciso di ucciderli. Purtroppo quel giorno c' era un terzo che non c' entrava niente. Avevamo organizzato un tranello: credevano di andare a fare una rapina a Bassano e noi, in presenza di Maniero, li abbiamo ammazzati. Sono stati i primi omicidi della Mafia del Brenta. Non mi giustifico, ma avevamo a che fare con criminali».
Cosa ci racconti della famosa rapina al treno finita in strage?
«È stata una tragedia per la ragazza che non c' è più, ma io non ero presente».
Come si svolse?
«Ebbi un' informazione per un treno carico di 30 miliardi d' oro (Vicenza-Milano). Organizzammo la squadra dei migliori ovvero la mia squadra e quella di Felice, ma nel frattempo avevo avuto anche un' altra soffiata per un Venezia-Milano con un carico di valuta destinata al macero per 6-7 miliardi. Da quel momento capisco che vivo in un mondo di merda, perché Felice assaltò quest' ultimo treno senza avvisarmi».
Felice ti tradì?
«Questa cosa non l' ho mai detta a nessuno: io e Felice andammo insieme in Friuli, in Carnia a Cormons, a prendere il C4, cioè il plastico proveniente dall' Est che solitamente serviva per saltare fare le Casse continue, ma Felice lo usò da solo e al momento della deflagrazione passava il treno contrario proveniente da Bologna in direzione Venezia dove c' era la povera Cristina Pavesi, la ragazza morta».
Hai più sentito i familiari di Cristina?
«Appena uscito dal carcere ho chiamato la zia Michela Pavesi, e ancora oggi siamo in contatto. Una persona meravigliosa che mi ha perdonato perché ho scontato la mia pena».
Come avvenne il tuo arresto?
«Io ho 64 anni e ho trascorso più di metà della mia vita in carcere. Mi hanno arrestato per la rapina al treno e sono stato additato quale responsabile dopo 2-3 ore dai fatti, ma non c' ero. L' esplosione fu alle 18 e alle 20 vennero da me e un amico a colpo sicuro in una casa di campagna, ma lo stub (la prova del guanto di paraffina) risultò negativo e ci lasciarono andare.
La verità l' ho saputa nel '96: erano sicuri fossi stato io, perchè Felice mi aveva venduto. Poi mi hanno dato una caccia spietata e mi hanno imputato per rapina e strage. Qualche anno dopo, per nascondere la fonte, uscì la notizia che era stato un Tizio morto di lì a poco a confessare la mia presenza nella rapina al treno: da lì partì l' ordine di custodia cautelare e io venni arrestato latitante a Milano ai Navigli dal Ros di Venezia. Ero su tutti i telegiornali come responsabile della rapina al treno, ma non ero stato io».
Gli interrogatori, i processi e la prigione: cosa ricordi?
«Prima di tutto m' interrogarono a lungo a Venezia, ma d' improvviso iniziarono a chiedermi degli omicidi e non della rapina al treno: "Facci trovare le ossa dei fratelli Rizzi. Ce l' hanno detto che sei stato tu". Ma io risposi: "Chi te l' ha detto è stato lui". Io non ho mai parlato. Mi portarono al carcere di Belluno in isolamento, poi a Padova, dove il Procuratore Cappelleri mi disse: "Manca se non confessa, le faccio prendere l' ergastolo per la rapina al treno".
E io l' ho mandato a fanculo perché quel giorno non c' ero. Poi mi trasferirono a Voghera, dove era detenuto Vallanzasca. Ero nella sezione dei killer. Dopo 16 anni ho finito l' isolamento e la magistratura ha ritenuto di affidarmi in prova ai servizi speciali con notevoli restrizioni. La mia pena termina nel luglio 2019».
Oggi la magistratura ti chiede ancora qualcosa?
«Si. Continuano anche recentemente perché sono convinti che l' esplosivo di Capaci e Via D' Amelio fosse transitato per Venezia, ma non fu così».
Oggi vuoi fare qualcosa di diverso?
«Il carcere in isolamento mi ha portato a parlare prima con me stesso e poi con Dio.
Io parlavo con Dio, mi sono affidato a Lui. Mi sono detto: Giampaolo devi rimediare.
Non ho mai voluto fare il collaboratore di giustizia, benché me lo abbiano chiesto tante volte. Ma ho deciso di scrivere un libro con uno scopo benefico che per me è stato una medicina.
Ho messo a nudo la mia vita e oggi voglio aiutare i bambini, perché non accada a loro quello che è successo a me. Inoltre voglio esortare i giovani a non prendermi come esempio, io sono un dannato, non un' icona da emulare. Ho deciso che tutti i proventi dei quattro libri serviranno per una struttura che accolga i bambini autistici. Voglio fare del bene. Per me è un riscatto poi mi affido al Giudizio Divino».
Oggi Venezia è tornata ai veneziani?
«Venezia non è mai stata della Mafia del Brenta, ma dei veneziani perbene, quelli che lavorano e pagano le tasse».