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LIBERO DI MORIRE - DOPO SEDICI MESI DI BATTAGLIE IN TRIBUNALE, UN 44ENNE MARCHIGIANO POTRA' METTERE FINE ALLA PROPRIA VITA CHE NON E' PIU' VITA: E' IL PRIMO CASO DI EUTANASIA LEGALE IN ITALIA - IL COMITATO ETICO DELL'ASL DELLE MARCHE, HA INDIVIDUATO FINALMENTE LA SOSTANZA IDONEA A "GARANTIRGLI LA MORTE PIU' RAPIDA, INDOLORE E DIGNITOSA POSSIBILE" - PER L'ASSOCIAZIONE LUCA COSCIONI, SI TRATTA DI "UNA SVOLTA STORICA" CHE "CONSENTIRA' AD ALTRI DI OTTENERE L'AIUTO ALLA MORTE VOLONTARIA"...

Marco Ventura per "il Messaggero"
 

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Libero di morire. Libero di compiere l'ultima, immensa fatica, quella di innescare con un movimento impercettibile del dito la somministrazione nel proprio corpo, paralizzato da oltre dieci anni, del farmaco letale, il tiopentone sodico, il Pentothal che si usava per giustiziare i condannati a morte negli Stati Uniti. Mario, nome di fantasia, marchigiano, 44 anni, potrà adesso metter fine alla propria vita che non è più vita, che lui considera un calvario infinito e inutile, inaccettabile, insopportabile, disumano. Una vera e propria tortura.
 

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Potrà uccidersi con l'assistenza dei medici, potrà portare a termine il proprio suicidio assistito, primo caso di eutanasia legale in Italia, ma ci sarà riuscito soltanto dopo sedici mesi di battaglie in tribunale per poter rendere esecutivo quel diritto sancito dalla Corte Costituzionale con la sentenza Cappato/Dj Fabo. Già, perché tutte le condizioni previste erano state soddisfatte: piena consapevolezza del paziente, patologia irreversibile, sofferenze insostenibili e la dipendenza per le funzioni vitali.
 

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Mancava la decisione del comitato etico dell'Azienda sanitaria locale delle Marche, incalzata dall'ostinazione e dalle denunce di Mario (appoggiato dall'Associazione Luca Coscioni) per tortura, oltre che per il reato di omissione di atti di ufficio «e tutti gli ulteriori reati collegati che potessero configurarsi». Una guerra in cui burocrazia e carte bollate nascondevano la contrapposizione ideologica che spacca le coscienze. Il fatto è che adesso una commissione medica ha individuato per Mario la sostanza idonea «a garantirgli la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile».
 

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«Una svolta storica», per l'Associazione Coscioni, che si era scagliata contro quelli che riteneva essere «i continui ostruzionismi e omissioni, sotto forma di mancate verifiche sul farmaco e sulla relativa modalità di somministrazione», mentre adesso sarà Mario a decidere «quando morire e come procedere». In pratica, finché il Comitato etico delle Marche non avesse indicato con precisione il farmaco adatto, Mario non avrebbe potuto esercitare, col movimento dell'unica parte del corpo che ancora rispondeva al suo cervello vigile e cosciente, cioè un dito della mano, il proprio diritto a morire, nonostante la piena facoltà di intendere e di volere.
 

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LA VICENDA Tanto consapevole era Mario, da intentare la causa legale contro l'Asur. Il comitato etico marchigiano aveva sollevato dubbi sui 20 grammi letali di tiopentone sodico, sul sistema per somministrarli e sulle possibili modalità alternative. O cercava solo di ritardare l'eutanasia? Così tutto era finito davanti al Tribunale di Ancona. Forte del Codice penale e di quella sentenza della Corte Costituzione, l'Associazione Coscioni ha messo in campo gli avvocati per far valere il diritto di Mario, mentre in Parlamento si confrontano tuttora gli schieramenti pro o contro i progetti sull'aiuto al suicidio.
 

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Ma accanto alle affermazioni di principio ci sono, adesso, anche procedure e pratiche mediche definite, secondo i legali di Mario. E questa decisione crea un precedente, «che consentirà a coloro che si trovano e si troveranno in una situazione simile di ottenere, se lo chiedono, l'aiuto alla morte volontaria, senza più aspettare mesi subendo la tortura di una sofferenza insopportabile contro la propria volontà».
 
GLI OPPOSITORI Sul fronte opposto insorge Alberto Gambino, il giurista cattolico a capo di Scienza e Vita, l'associazione che in sinergia con i vescovi lavora sul tema del fine vita. «Un sistema sanitario - argomenta - che anziché verificare la bontà di un medicinale curativo va a testare la validità di un farmaco che uccide», un «farmaco-veleno» secondo la definizione dei Pro Vita, «è una rivoluzione per sistemi sanitari concepiti per curare e possibilmente guarire».
 

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Anche Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita, stigmatizza la cultura del «controllo della morte», che consisterebbe sia nel prolungare la vita «a ogni costo», ovvero l'accanimento terapeutico, sia nell'«accelerare la morte». E la senatrice dell'Udc Paola Binetti punta l'indice sull'autorizzazione all'uso di un farmaco, il Pentothal, che perfino la Giustizia americana ha escluso dal braccio della morte. Dibattito penoso e fondamentale, cui metterà fine il semplice, disperato e finalmente legale gesto suicida di Mario.

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