LIBERI DI SPOSARE CHI DICE LA FAMIGLIA - DOPO IL CASO DI SAMAN ABBAS E MOHAMED IBRAHIM, IN ITALIA SI TORNA A PARLARE DI MATRIMONI COMBINATI - PER OGNI SAMAN DI CUI SI OCCUPANO I GIORNALI, CI SONO MOLTISSIME DONNE COSTRETTE A SUBIRE ABUSI E SPOSARE UOMINI SCELTI DAI PARENTI – PAKISTANI, BENGALESI E INDIANI, UNA VOLTA ARRIVATI IN ITALIA CHIAMANO LA MAMMA PER TROVARE MOGLIE. RITORNANO IN PATRIA, SI SPOSANO, RITORNANO DA NOI E MANDANO I SOLDI ALLA FAMIGLIA...
Tiziana Lapelosa per “Libero quotidiano”
I sorrisi di circostanza da immortalare in una foto ricordo di un giorno che non si vorrebbe ricordare. Altro che il più bello della vita... I sorrisi di circostanza dettati da una tradizione che fa indossare vestiti a festa e lascia il cuore a lutto. Di autentico in quegli sguardi obbligati a guardare al futuro non c' è nulla se non l' apparenza. Gli "amori" sono combinati. E di "non amore" si può anche morire.
Come è successo a Saman Abbas, la 18enne pakistana che, a meno di clamorose sorprese, sarebbe stata uccisa dallo zio per il suo no a darsi in sposa ad un parente lontano e per quella dannata colpa di voler vivere all' occidentale. Che, detta così, sembra chissà che cosa e invece è solo la naturalezza di sentirsi liberi di scegliere cosa fare, con chi addormentarsi la sera, con chi svegliarsi al mattino.
E invece in certe culture il "problema" di innamorarsi, magari troppo, seguire un istinto che raramente tradisce, dare retta al cuore, proprio non esiste.
Gli altri, i grandi, genitori, zii o fratelli, lo eliminano alla radice.
Come ha fatto pure Mohammad Ibrahim, il lavapiatti che nella notte tra martedì e mercoledì è stato decapitato nell' appartamento che in Corso Francia 95, a Torino, divideva con un connazionale, anche lui lavapiatti. Aveva 25 anni, una moglie in Bangladesh e un figlio in arrivo.
mohamed ibrahim lavapiatti decapitato
Mohammad Ibrahim lavava sì i piatti, ma "combinava" pure matrimoni, stando alle prime tiepide testimonianze che esponenti della comunità bengalese hanno reso agli uomini della squadra mobile guidata da Luigi Mitola, e che man mano si sono fatte realtà.
Ieri, infatti, la svolta è arrivata con il fermo di un connazionale, Mostafa Mohamed, 24 anni. Sarebbe stato lui ad uccidere e poi decapitare il 25enne. Motivo? Un prestito tra i 1200 euro e i 4mila euro che la vittima aveva intascato per organizzare e pagare le spese di un matrimonio combinato con una sua parente. Soltanto che le nozze sono saltate (la mamma della sposa alla fine ha detto no) e lui non ha restituito la somma. Anzi, quei soldi la vittima li ha spesi per altro senza più restituirli al pro messo sposo. Che, a quel punto, ha strangolato l' intermediario con un cordino di nylon e poi gli ha tagliato la testa. Problema risolto.
In un certo senso, si può dire che anche lui sia stato vittima di una tradizione indigesta che, almeno in Italia e all' interno di queste comunità si fa fatica ad intercettare e a reprimere. E se succede è perché qualcuno da dentro si ribella. Come ha provato a fare Saman, come aveva provato a fare, nel 2006, Hina Saleem, pakistana uccisa da padre e zii e sepolta nell' orto di casa perché fidanzata con un italiano di fede non musulmana e per aver rifiutato il marito designato dalla famiglia.
E chissà di quante Saman e Hina non ci sono notizie mentre una bella notizia, tre anni fa, l' aveva data la mamma di una bambina di dieci anni strappando il passaporto suo e di sua figlia che il marito violento da una moderna Milano aveva promesso in sposa ad un 32enne in Bangladesh. La teneva segregata, la piccolina, la faceva crescere a pane e Corano. Si è salvata grazie al coraggio della mamma.
matrimonio combinato in pakistan 4
Pratiche crudeli, selvagge, che includono spose bambine e infibulazione, matrimoni forzati e combinati (che solo i parenti possono disdire), usanze che arrivano a noi come una eco da Paesi come Bangladesh, Pakistan, India, ma che all' improvviso ritroviamo dentro i palazzi che abitiamo e ogni volta sconvolgono e ogni volta riaccendono il dibattito che si placa e si dimentica nel giro di pochi tramonti.
Ahmad Ejaz, pakistano in Italia da 30 anni, e che da 30 anni si batte per l' integrazione, a Libero ha detto che «molte le persone che le praticano non sanno nemmeno che è un reato in Italia», che «le comunità spesso si chiudono in se stesse, si auto -ghettizzano e fanno subentrare la cultura del Paese di origine». E organizzano matrimoni, tra giovani che già sono sul territorio, o tra persone che vivono lontane.
Racconta sempre Ejaz che i pakistani, ma anche bengalesi e indiani, una volta arrivati in Italia chiamano la mamma per trovare moglie. Ritornano in patria, si sposano, ritornano in Italia, mandano i soldi. E le donne non sono donne, ma solo «mogli, mamme, figlie», il cui destino è deciso dagli altri. E guai a con traddirli.
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