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“ERO IN GIAPPONE PER UN VIAGGIO UFFICIALE”. AL PROCESSO REGENI, L’AMBASCIATORE VARRICCHIO CAMBIA VERSIONE - A DIFFERENZA DI QUANTO DICHIARATO IN TRIBUNALE, L’EX CONSIGLIERE DI PALAZZO CHIGI NON SI TROVAVA IN ITALIA NEI GIORNI DELLA SCOMPARSA DEL RICERCATORE - GLI ATTI DELLA TESTIMONIANZA FINISCONO IN PROCURA - L’AVVOCATO DEI FAMILIARI: “IL DIPLOMATICO INTERVENNE CON TRE GIORNI DI RITARDO” (SONO TRE GIORNI IMPORTANTI PERCHÉ SONO QUELLI IN CUI IL RICERCATORE ITALIANO VENNE TORTURATO E UCCISO…) – RENZI LO SCORSO SETTEMBRE AVEVA DETTO: “SE LO AVESSI SAPUTO PRIMA GIULIO SAREBBE SALVO...”
Andrea Ossino per repubblica.it - Estratti
La testimonianza dell’ex consigliere diplomatico di Palazzo Chigi al processo Regeni finisce in procura. Sono stati i giudici della Corte d’assise di Roma a inviare gli atti che riguardano l’ambasciatore Armando Varricchio. Perché il diplomatico, dopo una controversa testimonianza in aula, ha contattato la corte d’Assise della Capitale: a differenza di quanto aveva riferito in tribunale, nei giorni della scomparsa di Giulio Regeni non era a Roma, ma in Giappone per un viaggio ufficiale.
"Siamo rimasti tutti basiti. Abbiamo ascoltato tutti in aula le dichiarazioni dell'ex consigliere Varricchio, che per quanto imbarazzata era stata una testimonianza nella quale si dava atto di una serie di cose ed aveva riferito contatti frequenti con la Farnesina e oggi viene fuori che si è occupato della scomparsa di Giulio solo il 31 sera", spiega Alessandra Ballerini, legale di parte civile per la famiglia Regeni.
processo regeni -manifestazione fuori dal tribunale di roma
La testimonianza dell’ambasciatore aveva già destato scalpore. Tutta colpa di quei tre giorni di vuoto: dal 28 gennaio 2016, quando l’allora consigliere diplomatico per la presidenza del Consiglio viene informato della scomparsa di Giulio Regeni, fino al 31 gennaio, quando la notizia arriva all’ex premier Matteo Renzi.
Sono tre giorni importanti perché sono quelli in cui il ricercatore italiano viene torturato e ucciso. Giulio Regeni era stato rapito il 25 gennaio di quell’anno. L’ambasciata si mette subito in moto. Viene fatta una denuncia di scomparsa, i servizi segreti vengono allertati e anche la Farnesina. Ma gli egiziani sono reticenti.
Quindi l’ambasciatore capisce che l’Italia deve intervenire ad un livello più alto e il 28 gennaio invia una nota classificata e con la dicitura «urgenza» agli uffici del consigliere diplomatico della presidenza del Consiglio, Varricchio.
“Ogni giorno le comunicazioni sono moltissime – ha confermato l’ambasciatore in aula durante l’udienza dell’11 febbraio scorso - la comunicazione del 28 la ricordo bene. Si dava conto di passi svolti a fronte di un caso che stava acquisendo particolare rilevanza”.
È rilevante ma non viene comunicata subito al presidente del Consiglio. Era Matteo Renzi, che se avesse saputo prima cosa stava accadendo avrebbe «potuto attuare qualcosa in più», come ha detto lui stesso.
Le parole pronunciate in aula dall’ambasciatore avevano già suscitato la reazione della famiglia Regeni. Sanno “benissimo che le responsabilità sono in Egitto e chi ha preso torturato e ucciso Giulio sta lì”.
le parole pronunciate da Renzi lo scorso settembre “sono come dei macigni”. “Ha detto ‘se lo avessi saputo prima Giulio sarebbe salvo…’ (...)
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