calais immigrati migranti

EUROTUNNEL DELLA MORTE - NOVE VITTIME IN DUE MESI, IERI L'ULTIMA: NON SI FERMA IL FOLLE VIAGGIO DEGLI IMMIGRATI CHE PROVANO A PASSARE LA MANICA SU TRENI, CAMION, AUTO - CHI VIENE SCHIACCIATO, CHI FULMINATO. MA NON MOLLANO. ANCHE PERCHÉ OGNI NOTTE RIESCONO A PASSARE TRA I 100 E 200, E L'INGHILTERRA S'INCAZZA CON LA FRANCIA

1. MIGRANTI ALL’ASSALTO DELL’EUROTUNNEL, UN MORTO - SCONTRO TRA LONDRA E PARIGI

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Vincenzo Nigro per “la Repubblica

 

 «Ci danno l’assalto!». I giornali popolari inglesi danno il senso dell’assedio che i 2.300 profughi africani hanno dato nella notte fra martedì e mercoledì all’imbarco dell’Eurotunnel, a Calais. E la notizia di un migrante morto e di un altro in fin di vita nelle ultime ore, mentre provavano a raggiungere Dover dalla Francia, non fanno che rendere tutto più doloroso.

 

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Quando la ministra degli Interni inglese Theresa May è comparsa in tv dopo una riunione d’emergenza del gabinetto di crisi “Cobra”, le sue parole sembravano quelle di un capo militare che ammette una sconfitta in battaglia: «Alcune decine di migranti sono riusciti a entrare e su parecchi treni: noi ci stiamo riorganizzando, ma devono essere i francesi a gestire i controlli a Calais…». Già, perché una volta che i migranti vengono fermati sul territorio britannico, per Londra la battaglia è perduta: i migranti hanno vinto la loro disperata lotteria, possono chiedere asilo alla Gran Bretagna e rimanere nel Paese.

 

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Gli “assaltatori” nelle ultime settimane hanno cambiato tattica: invece di infiltrarsi, di procedere a piccoli gruppi verso l’area di Calais in cui i treni-navetta caricano i camion inglesi e francesi, hanno scelto di raggrupparsi in manipoli di centinaia di persone, di tagliare le reti di recinzione di notte e quindi di “saturare” le difese di poliziotti francesi e di uomini della sicurezza della società Eurotunnel. E siccome, se non ci sono feriti durante gli imbarchi, la società Eurotunnel fa partire i treni anche se ci sono clandestini a bordo (per non bloccare i piazzali già pieni di camion da giorni), una volta saliti sui camion i migranti vincono la battaglia.

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Martedì notte un sudanese è morto mentre cercava di saltare su uno dei ca- mion, mentre a Parigi un egiziano è in fin di vita dopo essere rimasto fulminato mentre provava a saltare su un treno. Ed è già iniziato lo scaricabarile: la società Eurotunnel, attrezzata al massimo per fermare qualche “portoghese” che provava a viaggiare senza biglietto, di fronte a centinaia di disperati migranti africani ha speso 9,7 milioni di euro per telecamere a raggi infrarossi, recinzioni, contratti con società di sicurezza, e ha chiesto il conto ai governi di Londra e Parigi.

 

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Ma in Francia il ministro degli Interni accusa Eurotunnel di «non fare abbastanza». I giornali pubblicano una lettera del 23 luglio di Bernard Cazeneuve che accusa la società che gestisce il tunnel sotto la Manica di «non reagire visto il peggiorare della situazione, dato fra l’altro che dal 2002 il numero dei vostri addetti alla sicurezza è stato portato da 325 nel 2002 a 103 oggi». Contro-comunicato di Eurotunnel, che ricorda che dall’inizio della crisi ha speso 160 milioni per la sicurezza e che di recente ha raddoppiato di nuovo il numero dei suoi agenti.

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Chi ci ha messo altri soldi ieri è stata Londra, che farebbe di tutto per blindare Calais. David Cameron, in visita in Asia, ha fatto stanziare 7 milioni di sterline da passare ai francesi per rinforzare le protezioni: «Non si tratta di scambiarci accuse, ma di risolvere i problemi, siamo molto preoccupati».

 

Il premier fino a ieri era stato attento solo ai “fastidi” che i vacanzieri inglesi dovevano sopportare perché non potevano imbarcarsi per la Francia in perfetto orario. Ma ora contro il governo partirà puntuale l’attacco dei partiti xenofobi come Ukip e Bnp: le immagini che arrivano dal Kent, la tranquilla e serena regione del sud-est britannico, mostrano la Croce rossa britannica e la polizia che assistono e schedano gli immigrati. L’emergenza immigrati ha viaggiato: dai mari di Lampedusa si è trasferita fin sulle coste del Kent.

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2. ALL’ASSALTO DELL’EUROTUNNEL

Sara Gandolfi per il “Corriere della Sera

 

Il biglietto Eurostar di prima classe che da Londra St Pancras arriva a Calais costa 214 sterline. Trecento euro per portare in un’ora i manager e i turisti britannici sul Continente. Sempreché il treno veloce non debba fermarsi all’imbocco del tunnel sotto la Manica, «per problemi tecnici», come spesso succede negli ultimi giorni: 30 minuti di ritardo e Monica, dirigente che per lavoro fa la spola con Bruxelles, sbuffa: «Sappiamo tutti qual è il vero problema».

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 Il problema è Abdulhakim, che viene dall’Etiopia con le sue ciabatte sporche, e il «pizzaiolo afghano» Mahazaref da Jalalabad, il sudanese «Must» con i dreadlock e il sorriso da dj e la dolce Gabriela con le sue amiche, partite tutte insieme dall’Eritrea, «molti mesi fa». Sono i migranti, insomma, che quotidianamente, tra mezzanotte e le sei del mattino, tentano di arrivare alla «terra promessa», la Gran Bretagna. Con ogni mezzo, mandando in tilt l’Eurotunnel.

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L’assalto scatta a gruppi di 200-300. Nelle scorse settimane, approfittando dello sciopero dei traghettatori che ha aggiunto caos al caos, l’obiettivo erano i camion fermi al porto prima dell’imbarco. Nelle ultime notti, però, i migranti si sono spostati in massa verso il terminal degli shuttle Eurotunnel, a Coquelles.

 

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Scavalcano la barriera o s’infilano nei buchi della rete, lungo un perimetro di 23 chilometri, e poi tentano di issarsi sulle navette che trasportano gli automezzi a Dover, in Inghilterra, in appena 35 minuti. Spesso sono già in movimento, a 30-50 km all’ora, e ogni notte qualcuno si fa male. Ieri mattina all’alba le autorità hanno calcolato 2.200 tentativi di incursione. E un morto, un ragazzo sudanese di 20 anni rimasto schiacciato da un camion, la nona vittima dall’inizio di giugno, mentre un egiziano è rimasto fulminato a Parigi tentando di salire su un Eurostar.

 

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Almeno 148 migranti, martedì notte, sono riusciti a «passare», ormai sudditi clandestini del Regno Unito. L’allarme a Londra è alto. Anche se i numeri per ora sono contenuti, l’onda lunga in arrivo dal sud dell’Europa potrebbe diventare presto una marea. Il governo britannico lo sa, e ieri ha annunciato altri 10 milioni di euro, oltre ai 4,7 già stanziati, per rafforzare le misure di sicurezza e venire incontro alle richieste del consorzio Eurotunnel, che sostiene di aver già intercettato dall’inizio dell’anno 37 mila migranti e ha chiesto a Francia e Gran Bretagna un indennizzo di 9,7 milioni di euro per compensare le perdite.

 

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«Non ci fermeranno — assicura il pachistano Sohail, partito tre anni fa da Peshawar —. Se costruiscono un’altra barriera, tenteremo di salire sui treni e sui camion da un’altra parte, in qualche stazione più lontana dal confine. Non voglio sprecare il mio tempo qui. A Birmingham e a Londra ho amici e parenti che mi aspettano, ci sono comunità che parlano la mia lingua e posso cucinare in qualsiasi ristorante, come il mio amico afghano, qui accanto, che ha imparato a fare la pizza quando ci siamo fermati a Bari, per un po’».

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Lo incontriamo alla «Giungla», così la chiamano i locali, un accampamento di tende alla periferia di Calais, tra capannoni industriali e campi incolti. È la penultima tappa di un viaggio che sembra senza fine per questi migranti: 3-5.000 persone, impossibile fare il conto al «Centre d’Accueil et d’Aide aux personnes migrantes Jules Ferry», che un tempo era un’area giochi per bambini.

 

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Quasi tutti i migranti sono passati dall’Italia, e da Milano: «Bellissima» dicono in coro, «dormivo alla stazione, ma qualcuno portava sempre da mangiare», sorride un eritreo. La nostra penisola era, però, solo una tappa di un viaggio più ambizioso, che è costato tra i 3.000 e i 10.000 euro, senza garanzia sulla data d’arrivo. Per il momento sono qui, accampati lungo la stradina di campagna sotto dei «pezzi di plastica» — così li chiama l’eritrea Helen, che non si arrende alla miseria — tutt’attorno al «campo diurno» organizzato dal Comune di questa cittadina di 80.000 abitanti, che da 15 anni è terra di passaggio.

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Oltre il cancello, off limits per i giornalisti, s’intravedono container di metallo, simili a quelli di tutti i campi profughi del mondo, all’esterno dei quali si fa la fila per una doccia e un pasto, un unico pasto al giorno. C’è la lavanderia, il pronto soccorso e un punto per ricaricare i telefonini, che tutti usano per «chiamare casa», che spesso vuol dire Londra. Ma alle 19 il cancello chiude, fino alle 12 del giorno dopo. Allora gli uomini si radunano sotto una tenda di fortuna, con una scritta a pennarello, «mosque» mentre le poche donne corrono nelle abitazioni di fortuna.

 

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«Al mattino mi sveglio e ho fame. E qui è difficile, pericoloso per noi donne. Dentro ne ospitano un centinaio, perlopiù mamme con bambini, per noi non c’è posto», spiega Gabriela. Vuole raggiungere il marito, che «a Londra ha un lavoro». Ibrahim ci proverà ancora stanotte, «è da due mesi che tento di passare, sono stanco. Sennò torno in Italia, almeno lì mangiavo e la gente mi sorrideva».

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Ha 20 anni ed è partito tre anni fa dal Darfur, in Sudan. Ha attraversato il deserto, è rimasto bloccato tre anni in Libia, tra Bengasi e Tripoli, a «sudare» i 3.000 euro per il passaggio in barca. «In mare è stato terribile, ma in soli sei giorni da Lampedusa sono arrivato a Milano, e da lì a Ventimiglia e poi sempre più su. E ora voglio arrivare a Londra perché lì riesci a lavorare anche se non hai i documenti. E perché sennò non avrebbe avuto senso tutto questo». Buona fortuna, «Insciallah», risponde con un grande sorriso.

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