GIUSTIZIA A OROLOGERIA - FACCI: “FINI DICE CHE L’AVVISO DI GARANZIA E’ UN ATTO DOVUTO MA PER SETTE ANNI NON LO E’ STATO. DOBBIAMO ACCETTARE COME NORMALE CHE UN FASCICOLO SIA ARCHIVIATO, QUANDO A ROMA C’È UN PROCURATORE CAPO, E SETTE ANNI DOPO VENGA SOSTANZIALMENTE RIAPERTO, QUANDO C’È UN ALTRO PROCURATORE CAPO?”
Filippo Facci per “Libero Quotidiano”
Un indagato - per esempio Gianfranco Fini - fa riferimento a quanto ha già scritto in un comunicato, ma il comunicato risale a sette anni fa: è evidente che qualcosa non quadra. L' indagato parla del suo avviso di garanzia come di «un atto dovuto», ma per sette anni l' avviso non è stato dovuto, o così pare: qualcosa stona.
L' indagato recita l' ovvio, e dice che «la magistratura accerterà se sono state commesse irregolarità»: ma a pensarci non è ovvio per niente, visto che la magistratura, in teoria, lo accertò già a suo tempo, quando archiviò tutto: c' è un errore da qualche parte. Ciò nonostante, l' indagato ora ostenta una consueta «fiducia della magistratura» e però scuserà, a questo punto, se a non ostentarla provvediamo noi.
FINI TULLIANI DOCUMENTI CASA MONTECARLO
Il problema è che il concetto di «obbligatorietà dell' azione penale» in Italia si fa sempre più nebbioso: almeno per noi comuni mortali, noi che dobbiamo scacciare la volgare impressione che le procure italiane aprano e chiudano fascicoli a piacimento, noi che dobbiamo scacciare, pure, la tentazione di attribuire patenti di colpevolezza o innocenza a Gianfranco Fini e a chiunque resti sospeso nel limbo giudiziario.
QUANTI DUBBI
GIANFRANCO FINI SULLO SCRANNO PIU ALTO DI MONTECITORIO
Ma i dubbi che dobbiamo scacciare sono anche altri: non dovremmo chiederci, dunque, se la cronaca politica degli ultimi sette anni avrebbe potuto essere diversa; non dovremmo chiederci, perciò, se il destino del centrodestra sarebbe potuto cambiare oppure no; non dovremmo chiederci, chiaro, se Fini sia stato graziato a suo tempo o sia perseguitato oggi, o viceversa. Chissà.
Un solo fatto è certo: l'ordinamento giudiziario concentra nella sola figura del procuratore capo la titolarità dell' azione penale, anzi, per dirla con l' ex vicepresidente del Csm: «Il procuratore capo mantiene la competenza a intervenire nelle determinazioni sull' esercizio dell' azione penale».
Significa che decide tutto il capo. Significa che le domande, appunto, restano le stesse che ci ponemmo quando esplose il caso che riguardava per esempio Edmondo Bruti Liberati, a Milano: un tizio, nel registro degli indagati, può essere iscritto o non iscritto secondo discrezione? Si può farlo, non farlo o farlo mesi o addirittura anni dopo? Si può dimenticarsi di un fascicolo e lasciarlo chiuso in cassaforte? Si può mandare un fascicolo a un dipartimento oppure a un altro, farlo rimpallare in eterno? Si può regolarsi a seconda che ci siano delle elezioni politiche o delle trattative d' affari?
In sintesi: dobbiamo accettare come normale che un fascicolo sia archiviato, quando a Roma c' è un procuratore capo, e sette anni dopo venga sostanzialmente riaperto, quando c' è un altro procuratore capo?
L' ETERNO RITORNO
Il 30 luglio 2010, dopo una denuncia di Francesco Storace, la Procura di Roma aprì un fascicolo sulla vicenda della casa di Montecarlo per cui Fini ora è nuovamente indagato: e si lesse di «atto dovuto» anche allora. Il 25 settembre Fini dichiarò che «se dovesse emergere che l' appartamento appartiene a Giancarlo Tulliani, lascerò la presidenza della Camera». È quanto emerse, ma non accadde nulla.
GIANFRANCO FINI ED ELISABETTA TULLIANI
Il 26 ottobre la Procura di Roma annunciò che non c' era stata nessuna frode, e archiviò tutto. Tulliani aveva ricevuto i soldi necessari per l' acquisto della casa da un collaboratore dell' imprenditore del gioco d' azzardo Francesco Corallo, arrestato nel dicembre scorso e poi scarcerato. Gianfranco Fini è indagato per riciclaggio. La casa di Montecarlo, pagata 300mila euro da Tulliani - niente - fu rivenduta nel 2015 a 1 milione e 360mila euro.
Furono i giornali legati al centrodestra a far luce sulla vicenda, a spiegare che in quella casa viveva Tulliani, a scovare i contratti di compravendita, a raccontare il gioco di scatole cinesi che dovevano nascondere il vero acquirente, a trovare testimoni e riscontri. Si parlò di macchina del fango, ovviamente. Ora, nella miglior tradizione del riciclaggio, il fango è stato ripulito, e i giornali perbene lo rivendono come se nulla fosse.