PANE AL PANE - CON LE FARINE GENETICAMENTE MOFICATE PIENE DI GLUTINE, I NUTRIZIONISTI SONO COSTRETTI A RISCOPRIRE I GRANI ANTICHI, DAL SARAGOZZA AL SOLINA - ALCUNE VARIETÀ, COME IL MONOCOCCO, SONO PIU’ TOLLERATE DAI CELIACI, APPAIONO MENO TOSSICHE E CONTENGONO GLUTINE PIÙ DIGERIBILE
Marta Dore per “la Repubblica”
Saragozza, Solina, Strazzavizzaz, Tumminia, Russello. E poi Khorosan, Monococco, Saragolla. Nomi bellissimi di grani antichi, coltivati molti secoli fa e poi modificati geneticamente fino a trasformarli nel grano moderno, tenero e duro. Lo scopo di questa trasformazione? Ottenere raccolti più abbondanti, e grani più facili da panificare.
Peccato che la qualità nutritiva sia decisamente inferiore e che contenga più glutine. Ed è invece lo scarso contenuto di glutine - circa un terzo in meno delle varietà attuali - che ha fatto sì che i grani antichi fossero riscoperti dai nutrizionisti. E dai consumatori. Il 47 % degli italiani (indagine Doxa- Italmopa) è infatti convinto che sia necessario ridurre o evitare il glutine, anche per chi non è celiaco o intollerante. Convinzione senza fondamento.
È pur vero che negli ultimi anni c’è stato un incremento significativo della frequenza delle reazioni avverse al glutine, con manifestazioni anche diverse, tanto da arrivare alla definizione di un nuovo stato, la “sensibilità al glutine non celiaca”: una sindrome caratterizzata da sintomi intestinali ed extra intestinali che compaiono dopo aver mangiato alimenti che contengono glutine in persone in cui è stata esclusa sia la diagnosi di celiachia e di allergia al grano.
«Se la celiachia riguarda circa l’1% della popolazione mondiale, la frequenza della sensibilità al glutine è calcolata intorno al 6. Bisogna dire, però, che non esiste un marcatore che riesca a individuarla separandola nettamente dalla celiachia. La sua esistenza è però un dato di fatto», avverte Giuseppe Mazzarella, ricercatore dell’Istituto di Scienze dell’Alimentazione del Cnr di Avellino.
Istituto che ha condotto una ricerca su una specie particolare di grano antico, il Monococco, detto anche piccolo farro. «Abbiamo dimostrato che, pur non essendo tollerato dai celiaci, appare meno tossico e alcune sue varietà contengono un glutine più digeribile e meno nocivo di quello presente nel grano tenero», spiega il ricercatore.
Il Monococco potrebbe quindi rappresentare un’alternativa per i pazienti che abbiano una sensibilità al glutine non celiaca. Dal punto di vista nutrizionale, poi, il piccolo farro e la maggior parte dei grani antichi si differenziano da quelli moderni perché hanno un alto contenuto di microelementi (ferro, zinco, magnesio, fosforo e potassio) e più antiossidanti, mentre contengono meno acidi grassi saturi. Infine il Monococco ha un indice glicemico inferiore rispetto al grano tenero e duro, ma anche rispetto a mais e riso.
Non determina quindi picchi di glicemia dopo l’ingestione, ma mantiene il livello di glucosio nel sangue costante. Viste le loro caratteristiche, il consumo di questi grani è consigliabile per i pazienti diabetici, per le donne in gravidanza e per chiunque abbia notato gonfiore addominale, mal di testa, annebbiamento mentale, perfino ansia dopo aver consumato prodotti a base di frumento», raccomanda Mazzarella.
I consumi sono in aumento, nonostante i prezzi più alti. Ma il pane realizzato con farina di Tumminia, per esempio, dura una settimana e ha un aroma ineguagliabile. Come il pane di una volta. E la pasta col grano Saragolla ha una consistenza e una tenuta in cottura magnifica. Il punto è che sono ancora prodotti di nicchia, e non è facile trovarli. Anche perché si tratta di realtà economiche molto piccole, che sono tornate alla coltivazione di questi grani, soprattutto in Sicilia, per salvarli dalla scomparsa. E ci stanno riuscendo.