MARÒ, QUANTA RETORICA - IL CONTROCANTO DEL “FATTO”: “SEMBRA CHE I FUCILIERI SIANO CADUTI PRIGIONIERI MENTRE LOTTAVANO PER LA LIBERTÀ DI UN POPOLO OPPRESSO: LA VERITÀ È CHE SONO ACCUSATI DI OMICIDIO”
Daniela Ranieri per “il Fatto Quotidiano”
L’importante è chiamarli “i nostri ragazzi”: dà subito l’idea che si tratti di giovani figli della Patria, mandati a liberare un popolo oppresso da un regime odioso e incappati nella sciagura di finire prigionieri del nemico. Tanto, cosa siano i “marò” e cosa facciano esattamente, nessuno lo sa. Però sono “nostri” , e si sono imbattuti nelle regole assurde di un Paese che, ma tu guarda, considera reato l’omicidio.
salvatore girone Massimiliano Latorre
Presa confidenza con la retorica del caso, si può chiamarli per nome, Massimiliano e Salvatore, come Napolitano quando li ricevette al Quirinale per le feste di Natale 2012 con gli onori che si riservano agli eroi (e bacio presidenziale) e come Giulio Terzi, allora ministro degli Esteri, che li riaccolse nel febbraio 2013 rifiutandosi poi di rimandarli indietro come promesso appena avessero votato alle elezioni (poi glieli abbiamo dovuti restituire, altrimenti non ci ridavano l’ambasciatore). Insomma, basta che passi il messaggio che siano nostri soldati mandati a difendere qualcosa di più grande dei confini nazionali, cioè la pace, la democrazia e forse la stessa civiltà occidentale.
I due marò, giusto per ricordarlo, erano due “superaddestrati” fucilieri della Marina, prestati, secondo un’idea geniale dell’allora ministro della Difesa La Russa, a una petroliera privata, la Enrica Lexie, contro i pirati dell’Oceano Indiano. I quali, furbi, non si palesano mai in questa vicenda. Al loro posto, vengono accoppati due pescatori indiani, Ajesh Binki e Valentine Jelastine, proprio, sostiene l’India, dai nostri due marò, a bordo da pochi mesi.
Ma siccome i due negano, per l’Italia sono innocenti, e per una strana allucinazione collettiva da allora ricoprono il ruolo che più ci mancava: quello di vittime fisiche di imperscrutabili disegni mondiali contro di noi, oltre che fulgidi esempi di prodi combattenti della parte giusta del mondo.
E così come ogni Natale da tre anni a questa parte ci facciamo una bella doccia di retorica patria, coi politici di destra e di sinistra che fanno a gara a chi gli vuole più bene, e molti giornali che cinicamente li usano per dare torto ai giustizialisti, ai pacifisti, ai terzomondisti, agli attendisti e a quelli che non hanno le palle di sparare a caso dai ponti delle petroliere. Ormai i “nostri due marò” è diventato il frammento di una prece, il verso di una poesia da far imparare ai bambini, un articolo della Costituzione su cui giurare.
“Dobbiamo trovare il modo di riportare a casa i due marò”, disse Emma Bonino. “Parlato ora con il Ministro degli Esteri indiano dei nostri Marò”, disse Federica Mogherini. “Subito i marò in Italia”, disse Paolo Gentiloni. “L’unica via per riportare a casa i nostri due ragazzi è una azione tenace e riservata”, disse Napolitano; tenace e riservata come quella con cui quest’anno, nel 69° anniversario della Liberazione, ha monitato con voce rotta:
“Desidero non far mancare una parola su come fanno onore all’Italia i nostri due marò ingiustamente detenuti”, desiderando invece farla mancare al pm minacciato dalla mafia Nino Di Matteo, che si ostina a servire lo Stato e non è nemmeno imputato d’omicidio.
Appena insediato, Renzi annunciò di volerli chiamare come “primo atto”, cioè prima di Obama, della Merkel, del Papa, giusto per non lasciare la propaganda sciovinista al de-strame costantemente allertato contro gli sgarri alla madrepatria: la nipote del Duce, il responsabile politico di tutto il casino La Russa – il quale, concorde la Meloni, aveva trovato la soluzione diplomatica: che Del Piero rifiutasse di andare a giocare al calcio in India – e i berlusconiani, che implicitamente ci ricordano che la Giustizia è il cancro della democrazia.
Nessuno si preoccupa di come passeranno il Natale gli altri 3.000 detenuti come loro per reati comuni – contrabbando, detenzione di droga, pedofilia – nelle carceri straniere. Ma adesso che la Corte indiana ha rifiutato l’estensione del permesso a Latorre che si sta curando qui dopo un ictus e ha rifiutato a Girone una licenza natalizia , Napolitano si è detto “fortemente contrariato”, e Gentiloni finanche “irritato”.
E cosa si può fare? Il direttore de il Giornale Sallusti dice che un “capo supremo, i suoi uomini, se è il caso, se li va a prendere personalmente, sfidando protocolli, sovranità, diplomazie”, in sostanza Napolitano dovrebbe fare un blitz nel Kerala. In fondo, l’India ha solo un miliardo di abitanti e la bomba atomica. Però ha ragione, è Natale e si può fare di più per i due marò. Si potrebbe farli intervenire in diretta nell’ultimo discorso di fine anno di Napolitano.
Fare una fiction su di loro coi due pescatori indiani interpretati da Beppe Fiorello e Gabriel Garko che si sparano da soli. Oppure potremmo chiedere a tutti gli indiani che conosciamo, cioè Kabir Bedi, di mediare presso la Corte Suprema indiana. Possiamo immaginare la tremenda situazione dei due uomini e delle loro famiglie. Mentre della tragedia dei due indiani e dei loro cari, per fortuna, non sappiamo niente.