GIULIO REGENI POTEVA ESSERE SALVATO - L'EGITTO MENTÌ DAL PRIMO GIORNO SULLA SORTE DEL RICERCATORE ITALIANO TORTURATO E UCCISO DA UOMINI DEI SERVIZI DEL CAIRO: SECONDO LA COMMISSIONE D'INCHIESTA "SI POTEVA INTERVENIRE PER SALVARE LA VITA A GIULIO E LA RESPONSABILITÀ DI QUESTA INERZIA GRAVA TUTTA SULLA LEADERSHIP EGIZIANA" - LE BUGIE, I PRIMI DEPISTAGGI, LE FALSE PROMESSE DI AL SISI…
Giovanni Bianconi per il "Corriere della Sera"
Giulio Regeni era scomparso da meno di ventiquattr'ore quando, alle 15.47 del 26 gennaio 2016, il consulente per la sicurezza dell'American University al Cairo - il generale Mohamed Ebeid - chiese sue notizie alla National security agency del Cairo.
«Forse è stato arrestato da qualche parte, vi terrò aggiornati», scrisse in una e-mail ai docenti che lo stavano cercando. Il ricercatore italiano era entrato in contatto con l'istituto americano tramite la sua professoressa di Cambridge, Maha Adbelrahman, e fu affiancato dalla tutor Rabab El-Mahdi; preoccupata per la sorte di Giulio, ma anche per la possibile cattiva pubblicità che poteva averne l'ateneo.
OGGETTI DI GIULIO REGENI RECUPERATI NEL SUO APPARTAMENTO AL CAIRO
Meglio «mantenere la cosa tranquilla», consigliava. La sera del 26 gennaio, il generale Ebeid riferì: «Il ministero asserisce che Regeni non è stato arrestato e non è tenuto in alcuna stazione di polizia».
E la sera del 27 aggiunse: «Sono nell'ufficio della National security per seguire il caso con loro. Ora il caso di Regeni è sulla scrivania del ministro degli Interni; secondo la Nsa ha ordinato di trovarlo il più presto possibile».
Sono le prime bugie e i primi depistaggi egiziani messi in luce dalla relazione della commissione d'inchiesta, che ripercorre quasi ora per ora i nove giorni che vanno dalla sparizione di Giulio al ritrovamento del cadavere lungo un'autostrada; un arco di tempo in cui, scrive il presidente Palazzotto, si poteva «intervenire per salvare la vita a Giulio Regeni, e la responsabilità di questa inerzia grava tutta sulla leadership egiziana».
Il generale Ebeid è una delle persone che la Procura di Roma ha chiesto inutilmente agli egiziani di poter interrogare; manca quindi la sua versione sulle informazioni rassicuranti che giungevano dalla Nsa, mentre proprio quattro militari della stessa struttura sono imputati in Italia (ma al momento improcessabili) per il sequestro e l'omicidio di Giulio.
Le pressioni da parte italiana arrivarono subito e ai massimi livelli, e l'indifferenza (sommata a menzogne e inquinamenti) delle autorità del Cairo resta un mistero. Le risposte possono essere diverse, a partire dalla «latente conflittualità» tra gli apparati di sicurezza locali, ma rimangono ipotesi.
Una certezza, invece, è che gli egiziani non hanno mai detto la verità sulla sorte di Giulio, viste le testimonianze raccolte dagli inquirenti romani sulla sua presenza negli uffici della polizia cairota poche ore dopo la scomparsa e - nei giorni seguenti - in una caserma della National security.
Anche l'atteggiamento del ministro degli Interni Magdi Abdel Ghaffar è un enigma, come apparve all'epoca all'ambasciatore italiano Maurizio Massari: «Ciò che maggiormente colpiva e preoccupava con il passare delle ore e dei giorni, era la mancanza di risposte concrete da parte delle autorità egiziane - ha spiegato nella sua audizione -, malgrado le mie insistenze e l'eccellenza dei rapporti bilaterali... Non potevo non notare il contrasto tra questo stato eccellente dei rapporti e l'elusività delle risposte rispetto al caso Regeni».
I servizi segreti italiani al Cairo avevano segnalato «l'ipotesi dell'apprensione» di Giulio «da parte delle forze di sicurezza», nonché le attenzioni che aveva ricevuto in precedenza per le sue ricerche sui sindacati autonomi.
Ma gli egiziani continuavano a negare. E quando finalmente, dopo una settimana d'attesa, Massari ottenne l'incontro con Ghaffar, il 2 febbraio, non poté non notare «l'atteggiamento evasivo del ministro; malgrado la mia insistenza disse ripetutamente di non sapere e di non disporre di informazioni».
L'indomani, l'incontro tra l'allora ministra Federica Guidi (in missione al Cairo per lo sviluppo dei rapporti economici tra i due Paesi) e il presidente egiziano Al Sisi andò, se possibile, ancora peggio.
Perché il presidente, nel racconto della ministra, non fu affatto evasivo: «Ricordo questa frase: "Io personalmente farò tutto quello che è in mio potere per cercare di trovare", non so se mi disse "una soluzione", ma comunque disse che avrebbe dato una risposta su quello che era successo al nostro concittadino».
il presidente egiziano al sisi 1
Era l'ora di pranzo del 3 febbraio 2016. Il «corpo esanime e seviziato» di Giulio era ricomparso tre ore prima, ma gli egiziani non avevano ancora comunicato la notizia. Fu diffusa solo la sera, quando la ministra e l'intera delegazione interruppe la visita e pretese di rientrare immediatamente in Italia.
Ma l'autorizzazione al decollo per l'aereo di Stato si fece attendere parecchio. «Non ho dubbi - ha riferito il consigliere diplomatico di Guidi, Mario Cospito - che la nostra decisione di interrompere la missione non era stata affatto gradita dalle autorità locali e anche quella snervante attesa sulla pista dell'aeroporto ne fu forse un segnale».