isis tunnel sinjar

ISIS SOTTERRANEA - GLI ISLAMISTI A SINJAR HANNO COSTRUITO DECINE DI TUNNEL PER SFUGGIRE AI RAID AEREI - LI HANNO RITROVATI I PESHMERGA CHE HANNO RICONQUISTATO I TERRITORI NEL NORD IRAQ

 

Francesco Semprini per “la Stampa”

 

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Un a città sotto la città, una fortezza tenebrosa nascosta tra le fondamenta di ciò che rimane del lager yazida, il ground zero del genocidio della popolazione di Ninawa, uno dei più feroci crimini compiuti dalle bandiere nere dell' Isis. È ciò che è venuto alla luce nel corso della lunga opera - ancora in corso - di sminamento di Sinjar da parte dei militari curdi, dopo la riconquista della «città martire» caduta nell' agosto 2014 nelle mani dei tagliagole di Abu Bakr Al Baghdadi.

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LETTI ED ENERGIA ELETTRICA

Un dedalo di tunnel costruito dagli jihadisti dell' Isis, utilizzando trapani pneumatici e attrezzature sofisticate, ma anche la manodopera degli yazidi ridotti in schiavitù. Quindici mesi sanguinari testimoniati in quel crocevia di cunicoli, dotato di alcove per il riposo, collegamenti elettrici e fortificazioni con sacchetti di sabbia, per la resistenza dinanzi a quella controffensiva che sarebbe arrivata.

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«Abbiamo identificato tra i 30 e i 40 tunnel», dice Shamo Eado, comandante regionale delle forze peshmerga. Daesh (nome arabo di Isis) li ha realizzati, mutuando l' esempio di Hamas, Hezbollah e altri gruppi di resistenza, per mettersi al riparo dai bombardamenti della coalizione, muoversi senza farsi intercettare dai peshmerga, e per nascondere armi e munizioni.

 

«Qui sotto - prosegue Eado - c' era il loro arsenale». Ed è in questo «dedalo spettrale» che le ultime centinaia di jihadisti, per lo più afghani, si sono aggrappati alla resistenza prima del martirio o della fuga. I tunnel sono stretti e alti appena per farci passare una persona di media statura, ma sono rafforzati con lamine di metallo per sostenere le arcate superiori, «blindati» come trincee e dotati, in diversi casi, di bunker.

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In alcuni di questi sono state ritrovate copie impolverate del Corano, coperte, cuscini, antidolorifici e antibiotici. Testimonianze di una vita vissuta sino allo stremo da parte degli uomini del Califfo, così come alcuni chilometri più in là, tra le rovine della città fantasma, sono state rinvenute le fossi comuni con i resti di donne, quelle non ritenute opportune a diventare schiave, ma anche di uomini e bambini.

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Ossa e teschi, forse appartenenti alle stesse persone costrette a scavare i tunnel. È questo del resto il destino che è stato riservato a centinaia di yazidi, trucidati durante l' avanzata dello Stato islamico nell' Iraq nord-occidentale dopo la caduta di Mosul. Seimila quelli rapiti, mentre chi si è salvato ha trovato rifugio nei campi profughi allestiti dall' Onu alle pendici del monte Sinjar. Alcuni di loro stanno tornando, si aggirano tra le rovine della città con piccoli furgoni, in cerca di quel poco che è stato risparmiato dalle scorribande degli islamisti. Un tavolo, un frigo, taniche per l' acqua, sempre col rischio che qualche Ied lasciato dagli jihadisti non li faccia saltare in aria.

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L'offensiva dei curdi Riparte da qui la vita del popolo martoriato, e riparte da qui l' offensiva dei peshmerga, che - anche con armi e addestramento italiani - hanno messo a segno la prima grande vittoria della controffensiva, dando avvio alla dimensione 2.0 del conflitto in Iraq. Il califfato è stato tagliato in due, Raqqa non comunica più con Mosul, e la città irachena rischia l' isolamento, con l' aggravante che lì vivono ancora oltre un milione di civili impossibilitati a scappare e trattenuti come scudi umani.

 

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Il prossimo obiettivo è Tal-afar, verso Est, col suo aeroporto di importanza strategica, crocevia del traffico di petrolio illegale. La scoperta del dedalo di tunnel di Sinjar rende tuttavia il cammino più insidioso, davanti a uno Stato islamico trasformista, che oggi combatte una guerra offensiva in Occidente ma difensiva «in casa», pronto al «martirio» tra le trincee sotterranee del califfato.

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