italiani rapiti in libia

GLI STRANI GIOCHI DELLA CON.I.COS, LA SOCIETA’ DEGLI ITALIANI RAPITI IN LIBIA - NON AVEVA COMUNICATO LA SUA PRESENZA ALLA FARNESINA E NON AVEVA REGISTRATO I DIPENDENTI - IL TITOLARE, POI, CONVOCATO A ROMA, NON VOLEVA VENIRE PER INCONTRARE CHI STA CERCANDO DI SALVARE I SUOI DIPENDENTI

Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera”

LIBIALIBIA

 

La società Con.I.Cos. non aveva fornito alcuna informazione alla Farnesina sulla propria presenza in Libia. Nonostante le richieste formali alle aziende italiane - ribadite più volte dopo il rapimento dei quattro dipendenti della Bonatti a Sabrata, avvenuto nell' estate del 2015 e concluso con l' uccisione di due di loro nel marzo scorso - i vertici dell' azienda avevano deciso di non fornire alcuna informazione sulla propria attività. E soprattutto non avevano «registrato» i dipendenti.

 

FARNESINAFARNESINA

L' irritazione del governo italiano dopo il sequestro di Danilo Calonego e Bruno Cacace filtra in maniera evidente, soprattutto tenendo conto che altri due dipendenti della stessa Con.I.Cos. erano stati rapiti nel 2011 e dunque era chiaro quale fosse il livello di rischio.

 

Prende corpo quando il capo dell' unità di crisi del ministero degli Esteri Claudio Taffuri, parla pubblicamente e afferma: «Quando una società italiana opera in Libia li esortiamo a dotarsi di un sistema di sicurezza. Per noi è un Paese a rischio, ma capisco le imprese che hanno interesse sul posto e dunque sono invitate a dotarsi di sistemi sicurezza».

Il motivo del disappunto è evidente, visto che in casi del genere sono gli apparati dello Stato a dover poi trattare la liberazione ed eventualmente pagare il riscatto.

 

STRADE DI GHAT LIBIASTRADE DI GHAT LIBIA

Ma anche perché i pericoli per gli italiani all' estero sono stati più volte evidenziati soprattutto negli ultimi mesi e dunque viene ritenuto «irresponsabile» mettere in pericolo i lavoratori, esponendo così l' intero Paese alla minaccia, come accade ogni qualvolta ci sono connazionali presi in ostaggio.

 

Per chi sta cercando di aprire un canale di trattativa sono ore convulse. La convinzione di diplomazia e intelligence è che i rapitori siano criminali comuni, al momento viene esclusa la possibilità che i due tecnici siano nelle mani di un gruppo fondamentalista, tantomeno all' Isis.

 

LIBIALIBIA

Ma si tratta appunto di una valutazione, nessun segnale concreto o richiesta credibile sarebbe ancora arrivata dai sequestratori. E dunque anche l' ipotesi della pista «politica» di ritorsione contro l' Italia per il suo sostegno al governo guidato da Fayez Serraj rimane tuttora aperta. Per questo si sta cercando di stringere i tempi, attivando ogni possibile canale e fidando sulle autorità locali che hanno assicurato il proprio impegno e si sono offerti anche come mediatori.

 

Bisogna scongiurare l' eventualità - realizzata più volte in passato - che i due italiani vengano «venduti» a una formazione più strutturata. E dunque possano essere utilizzati come strumento di propaganda contro l' Occidente. È accaduto tante volte che altri ostaggi fossero catturati da bande criminali e poi ceduti a terroristi per essere esposti nei video, utilizzati per tentare di mettere in scacco gli Stati.

ISIS IN LIBIAISIS IN LIBIA

 

Esattamente quello che si cerca di evitare quando si chiede a chi si trova all' estero per lavoro o per turismo di muoversi con estrema prudenza e adottando tutti i dispositivi di sicurezza.

 

Una modalità di comportamento che la Con.I.Cos. avrebbe deciso di non seguire. E questo nonostante in alcuni periodi la Farnesina abbia addirittura chiesto il ritiro di tutti gli italiani che si trovavano nel Paese proprio nel timore che potessero essere sequestrati o uccisi. E soprattutto per le numerose intimidazioni che la stessa società avrebbe subito in passato.

LAVORI CONICOSLAVORI CONICOS

 

Ieri Giorgio Vinai, che guida l' azienda da anni, è stato convocato al ministero degli Esteri. Secondo alcune indiscrezioni inizialmente si sarebbe mostrato riluttante rispetto alla possibilità di dover arrivare a Roma in tempi rapidi. Gli è stato spiegato che si trattava di un obbligo e alla fine è stato costretto a mettersi a disposizione di chi lavora per riportare a casa i suoi dipendenti.

 

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