
I MOSTRI JIHADISTI DELLA LAGUNA - DAGLI SPRITZ IN PIAZZA SAN MARCO ALL’IDEA DI METTERE UNA BOMBA AL PONTE DI RIALTO: I 3 CAMERIERI KOSOVARI ARRESTATI A VENEZIA LAVORAVANO IN TRE BAR DEL CENTRO – IL CAPO ARJIAN ERA STATO A COMBATTERE IN SIRIA - MA QUELLO CHE PIÙ COLPISCE GLI INVESTIGATORI È L'INTENSA ATTIVITÀ DI PROSELITISMO E DI ADDESTRAMENTO CHE IL GRUPPO SVOLGEVA IN RETE
Andrea Pasqualetto per il Corriere della Sera
Il capo era Arjan, 28 anni, kosovaro errante. Lo danno in Siria, in Kosovo, in Egitto, in Italia. Di lui dicono che si tratti di un presunto combattente islamico che a Venezia fa il cameriere. Sarebbe rientrato dai teatri di guerra nel maggio dello scorso anno e nei 35 metri quadri dell' appartamentino di Corte Colonne, fra le calli della Frezzaria, sestiere di San Marco, avrebbe iniziato a «diffondere i sermoni degli imam integralisti salafiti sostenitori del jihad radicale antioccidentale e antisciita», scrive il gip di Venezia, Alberto Scaramuzza, nelle 41 pagine di ordinanza. Lo scopo? «Incitare all' arruolamento nelle file dell' Isis».
Una novità per la città lagunare, da sempre considerata ai margini dalle rotte del terrorismo. Più nel concreto, l' obiettivo di Arjan Babaj sarebbe stato radicalizzare i suoi amici connazionali, musulmani, facili all' indottrinamento, camerieri come lui. Primi fra tutti Fisnik Bekaj e Dake Haziraj (arrestati), di 25 e 26 anni, che abitavano nelle case popolari della terraferma di Marghera, come pure un minorenne (fermato). E poi c' erano Arxhend, Margim e gli altri, che sembrano meno fanatici ma pur sempre sensibili alle parole della loro «guida spirituale».
La fascinazione jihadista di Babaj emerge da alcune intercettazioni ambientali. In particolare una, nella quale lui commenta con gli amici il video di una bomba piazzata in uno zaino e fatta esplodere. «È un grande - dice - avendo messo la bomba dentro lo zaino». Il gruppo si mette a guardare un altro filmato, questo francese, nel quale si spiega come uccidere con il coltello.
«Non dev' essere troppo piccolo e deve essere affilato. Adesso bisogna vedere i punti essenziali dove colpire il corpo umano... Nel combattere voi combattete... nella vostra regione, quindi uccideteli e agite perché potete cambiare la storia... della Francia».
L'«allievo» Bekaj rilancia il radicalismo nell' orbita dei social, Instagram e Facebook su tutti. Il 31 gennaio scorso pubblica un post consigliando di «lavorare continuamente (in Rete) perché anche questo è jihad e non è niente di meno di quello che fanno nei campi di battaglia con il permesso di Allah». Il 21 gennaio scrive che «chi combatte sulla strada di Allah e viene ucciso è martire o trionfa». Anche il suo amico Haziraj, che ha un profilo Instagram con 18 mila followers, ha imparato la lezione di Arjan. «Allah distrugga i miscredenti... protegga i fratelli di Mosul e li gratifichi con la vittoria».
I miscredenti (kafir) come costante argomento di conversazione. «Da un giorno all' altro ho capito che accompagnarsi ai kafir è peccato - dice Babaj -. La miglior bevanda è il sangue dei kafir».
Nell' ultimo mese è un preoccupante crescendo. «Il sacrificio è il massimo grado di sincerità possibile». «C' è anche l' Italia, anche l' Italia ha mandato soldati e altro, anche se non sembra che ci siano...».
Sono in cinque a ritrovarsi: «Ma chi potrebbe dire che non ce ne siano altri 50 mila fuori.
Con 50 mila sai che fai? Puoi distruggere l' Europa». E il diciassettenne, rimasto ad ascoltare, decide di intervenire: «Adesso dobbiamo dare a San Marco». Mentre lo dice gli inquirenti lo ascoltano. E decidono di fermarli tutti.
2. DAGLI SPRITZ IN PIAZZA SAN MARCO AL SOGNO DELLA GUERRA SANTA
F.Pol. per “la Stampa”
Prima di colpire Venezia al cuore, ci si erano infilati dentro. In piazza San Marco 1776 avevano la base della cellula jihadista, dove abitavano, pregavano in santa pace quando non andavano alla moschea di Mestre, si indottrinavano per la Guerra santa. In tre lussuosi bar della stessa piazza all' ombra del campanile lavoravano come insospettabili camerieri, giacca chiara, papillon nero e sorriso di ordinanza. Ma era al Ponte di Rialto, uno dei simboli della città sempre affollato di turisti, che avevano pensato per mettere una bomba: «A Venezia guadagni subito il paradiso per quanti miscredenti ci sono qua».
Di esplosivo non ne è stato trovato. L' addestramento era soprattutto virtuale, ma continuo. Però in Rete e a parole, Bekaj Fisnik e gli altri della cellula kosovara che sognava la jihad erano più che motivati: «Allah distrugga i miscredenti».
Il procuratore capo reggente di Venezia Adelchi d' Ippolito è convinto che la cellula di San Marco fosse già operativa a uno stadio avanzato: «Non avevano bisogno nemmeno di fare sopralluoghi al Ponte di Rialto.
Ci passavano davanti tutti i giorni. Abitavano tutti a 10 minuti di strada». Angelo Malandra, l' amministratore del condominio di piazza San Marco 1776, è convinto che potessero colpire quanto prima: «Avevano preso l' appartamento in affitto 6 mesi fa. Il canone sarebbe scaduto a luglio. Se qualcosa dovevano fare sarebbe accaduto entro quella data».
Adesso che li hanno arrestati, che hanno sequestrato computer e smartphone, oltre alle immancabili bandiere nere del Califfo, ci sarà tutto il tempo di mettere in ordine i tasselli dell' indagine. Per capire quanto fossero realmente pericolosi.
Ma soprattutto quanto fossero pronti a colpire Venezia.
Nell' altra parte di piazza San Marco, con i tavolini dei bar affollati con il primo sole, Bekaj Fisnik e i suoi amici erano come fantasmi. Agli occidentali, ai quali avrebbero volentieri tagliato la gola, servivano spritz e caffè. Il titolare di un ristorante sotto la loro abitazione se li ricorda bene: «C' era un via vai di persone nel loro appartamento. Una sera ne ho contati una quindicina».
Quattro gli arrestati, una dozzina le perquisizioni tra Venezia, Mestre e Treviso. I conti tornano.
Ma quello che più colpisce gli investigatori è l' intensa attività di proselitismo e di addestramento che il gruppo svolgeva in Rete. Dove si discuteva di alta politica internazionale: «Putin è come la carta igienica», «La Turchia è debole con i miscredenti». Dove Haziray Dake sognava di fare qui quello che gli uomini del Califfo stanno facendo in Siria: «Allah protegga i fratelli a Mosul e li gratifichi con la vittoria». E senza tanti giri di parole, sotto la foto di un miliziano dell' Isis morto in combattimento, sogna di emularlo anche da questa parte del mondo: «Ti voglio bene. Che Allah ci unisca in paradiso».
Su uno dei profili aperto in rete con una serie di nickname i follower sono 18 mila.
Un' enormità. Una cosa da inquietare gli investigatori, che su questa cellula sono capitati all' inizio per caso: quando Bekaj Fisnik minaccia il cameriere capo del bar dove lavora.
Ma poi decidono di alzare le antenne quando nel 2016 lui torna da un viaggio in Kosovo e istruisce gli altri su come andare in Siria: «Prima si va in Egitto e dall' Egitto entrare là è più facile. Ci sono dei corridoi. Andare in Egitto dal Kosovo è possibile». Non risulta che qualcuno volesse partire davvero.
La Guerra santa si può fare anche qui. Con uno zaino bomba da far esplodere sul ponte di Rialto. O con un coltello con cui affrontare turisti e passanti: «Non deve essere troppo piccolo e deve essere affilato. Non deve essere di quelli usati quotidianamente. Ho dato una spiegazione completa di come colpire un corpo e di come reagire».