I TRE MINORENNI ARRESTATI PER LO STUPRO A MARECHIARO FINIRANNO IN COMUNITÀ - PER I MAGISTRATI HANNO ATTIRATO LA 15ENNE IN UNA TRAPPOLA COSTRINGENDOLA A SUBIRE RIPETUTE VIOLENZE: “MI DISSERO CHE ERA INUTILE OPPORRE RESISTENZA, CHE NON MI AVREBBERO LASCIATA ANDARE, NEANCHE SE FACEVA BUIO. MI SONO ARRESA E HO DETTO DI FARE QUELLO CHE VOLEVANO…”
Leandro Del Gaudio per "il Messaggero"
I DUE RAGAZZINI ACCUSATI DI STUPRO ALLO SCOGLIONE DI MARECHIARO A NAPOLI
Possono inquinare le prove, hanno minacciato una ragazzina di 15 anni per costringerla a non denunciare la violenza subita. Devono finire in comunità, lontano dal contesto familiare che si è dimostrato incapace di inculcare nelle loro vite le regole più elementari di educazione e rispetto per il prossimo. È il ragionamento che spinge il gip Angela Draetta a spedire in comunità tre dei cinque minorenni protagonisti della violenza sessuale ai danni della studentessa. Un episodio avvenuto a fine maggio, nella zona del castello, nei pressi del cosiddetto scoglione di Posillipo.
LA RICOSTRUZIONE
Una vicenda ricostruita dai carabinieri della compagnia di Bagnoli, che vede al momento tre indagati finire in comunità con l'accusa di violenza sessuale: A. P., E. A., R. R., tutti minorenni e ritenuti responsabili di aver attirato la ragazzina in una trappola, costringendola a subire ripetute violenze. Una svolta investigativa dettata dall'incidente probatorio in cui la 15enne ha avuto la forza di ripetere la testimonianza resa nelle primissime fasi di indagine, oltre a riconoscere i tre esponenti del branco.
Agli atti finiscono anche i nomi di altri due minori, discendenti di clan storicamente radicati in zona Vasto Arenaccia, che avrebbero assistito passivamente alle violenze. L'orrore a Marechiaro. La ragazzina è con il fidanzatino. I due si appartano, ma vengono seguiti e circondati dal branco di cinque aggressori. Dalla scena sparisce il ragazzo con il quale la 15enne stava vivendo un flirt, prendono il sopravvento i cinque. Siamo alle finestrelle, un posto accessibile solo con qualche bracciata.
Inizia il supplizio della minorenne. Racconta la 15enne: «Mi dissero che era inutile opporre resistenza, che non mi avrebbero lasciata andare, neanche se faceva buio. Ho avuto paura, mi sono arresa e ho detto di fare quello che volevano, purché poi lasciassero andare». In un primo momento, A. P. e E. A. denudano e palpeggiano la ragazzina, poi R. R. recita una sorta di doppio gioco. Stando alla ricostruzione della Procura minorile, il terzo fa finta di aiutare la giovane, che a quel punto si fida. Resta da sola con R. R., che invece la violenta.
Spiega la 15enne: «Ero completamente soggiogata e priva di forza». Non c'è tregua. Riesce a tornare a riva, a confidarsi con un'amica della madre e poi con la madre stessa, che avverte i carabinieri. La scena si sposta all'ospedale San Paolo, per gli esami in vista della prova del Dna. Intanto, inizia la caccia al branco, che viene riconosciuto attraverso la trama di amicizie in comune della ragazzina via facebook.
LA PERSECUZIONE
La 15enne riesce a contattare R. R. e a avviare una sorta di investigazione personale attraverso la chat. Stando alle accuse mosse dai pm dei Colli Aminei, una serie di minacce costringe la famiglia della ragazzina ad abbandonare il proprio domicilio. A cambiare quartiere, dopo che A.P., su facebook, si mette in contatto con la giovane dicendole che le avrebbe bruciato casa se non avesse ritrattato le accuse. Difesi dal penalista Matteo De Luca, ora i tre minori sono finiti in una comunità di recupero.
Scrive il gip: «Impossibile qualsiasi malinteso, perché con nessuno degli aggressori c'era un rapporto pregresso». Ed è ancora il gip a sottolineare l'incapacità di una ragazzina di porre un argine alla violenza del branco. Annichilita, disorientata - ricostruisce il giudice - appare normale che abbia detto ai suoi aguzzini di fare ciò che volevano a violenza avviata, purché la lasciassero andare. Non ci possono essere dubbi - insiste - sull'atto di violenza.
2 - IL RACCONTO DELLA RAGAZZA DOPO LE VIOLENZE