GINNASTICA A RITMO DI MALTRATTAMENTI - IN 15 REGIONI D’ITALIA SONO STATI RACCOLTI 197 CASI DI ABUSI DI CUI SONO STATE VITTIME GIOVANI BALLERINE – LE ALLENATRICI PRENDEVANO IN GIRO LE RAGAZZINE, TOGLIEVANO LORO DA MANGIARE E LE ISOLAVANO DAL RESTO DEL MONDO - LA TESTIMONIANZA DI UN GENITORE: “MIA FIGLIA MI HA RACCONTATO DEGLI SGAMBETTI PER FARLA CADERE CHE LE HANNO PROCURATO PROBLEMI ALLA SCHIENA, LE FRASI BRUTALI, IL CIBO NEGATO. C'È VOLUTA UNA PSICOLOGA PER VALUTARE E RIPARARE IL DISASTRO” - LA SUA DENUNCIA IN PROCURA E L’INSEGNANTE CHE LA PASSA LISCIA…
1 - GINNASTICA, MAXI DOSSIER CON 197 CASI
M.B. per il “Corriere della Sera”
Non si tratta più di fatti limitati alla sola «Casa delle Farfalle» di Desio, la fucina di medaglie della ginnastica ritmica italiana, di frasi violente, discriminazioni, bullismo, dei noti comportamenti molesti operati da un numero ridotto di allenatrici nei confronti di poche atlete di vertice alloggiate nei centri federali.
Verificati uno per uno da un pool di avvocati e psicologi, raccolti da genitori e figli impauriti e traumatizzati, i 197 casi catalogati in un dossier dall'associazione Change the Game che verranno presentati oggi all'Associazione della Stampa Estera di Roma, illustrano episodi gravi o gravissimi accaduti in decine di palestre piccole e grandi di 15 regioni italiane su bambine e ragazze di età compresa tra 8 e 22 anni, affidate sia a coach di chiara fama sia ad altre sconosciute ai più.
C'è body shaming, ci sono privazioni alimentari, discriminazioni, percosse verso chi mangia un biscotto di troppo o sbaglia un esercizio, allenamenti di sei ore per ginnaste piccolissime, isolate dalle coetanee e dal sistema scolastico e indirizzate spesso verso «istruzione parentale» di dubbia qualità, nelle ore serali, per non sottrarre tempo a volteggi e rotazioni. Ci sono allenatrici che consapevolmente o meno riversano sulle allieve le frustrazioni subite dalle piccole, ma anche genitori che perdono il controllo della situazione sognando per le figlie un futuro olimpico a qualunque costo.
Madri e padri che non denunciano per non giocarsi l'opportunità di vederle su un podio, altri che pagano (spesso in nero) migliaia di euro gli «svincoli» per il passaggio da una società a un'altra che dovrebbero invece essere a carico del gruppo sportivo. Emerge nella Ritmica ma anche nell'Artistica, secondo gli esperti di Change the Game, una cultura da caserma, diffusa e difficile da sradicare.
Emerge una Federginnastica che a mesi dalle prime denunce e dopo decine di audizioni condotte da procuratori sportivi che hanno spesso minimizzato i fatti, continua ad ingaggiare esperti ma non è ancora riuscita ad emanare un solo processo restrittivo, un solo rinvio a giudizio sportivo. «A gennaio ci faremo sentire» dicono i federali che ieri sera, tenendo però lontana la stampa, hanno riunito a convegno via Zoom una novantina di tecnici per provare a voltare pagina, ammesso che restino pagine da voltare.
2 - «SGAMBETTI E POCO CIBO COSÌ HO CAPITO CHE GIADA ERA FINITA IN UN INCUBO»
Marco Bonarrigo per il “Corriere della Sera”
«Ammetto di aver capito poco o niente. Ammetto che quando mia figlia, a 13 anni, mi ha telefonato per dirmi "Papà, vieni a prendermi perché sto male" mi è crollato il mondo addosso. Al sogno di Giada di diventare Farfalla, io e mia moglie abbiamo dedicato nove anni della nostra vita ed enormi sacrifici. E no, non avevamo capito quanto stava soffrendo. Ancora oggi mi chiedo cosa abbiamo sbagliato».
Quattro anni fa Sergio Marchetti e sua moglie Francesca, romani, sono stati i primi a denunciare la ginnastica ritmica italiana, senza ottenere giustizia. Giada oggi ha 17 anni, ha superato con fatica il trauma e ora è ballerina e studentessa modello. Di casi come il suo ne sono poi emersi tantissimi.
Perché non vi siete accorti della gravità della situazione, Sergio?
«Giada ha cominciato a 4 anni e fino a 8 era una favola: lo sport come gioco, il corpo flessibile e armonioso, lei che si diverte lontana da videogiochi e divano. Pareva un sogno».
Poi?
«Poi quella che solo adesso ci sembra follia: l'agonismo a 8 anni, le selezioni, i campionati, le quattro ore in palestra tutti i giorni. Ho sempre cercato di essere razionale: mai visto un allenamento, mai chiesto notizie sulle qualità di mia figlia alle coach come tanti altri genitori. Mi fidavo».
Segnali sottovalutati?
«Alcuni sì. Le sofferenze, la stanchezza. Tende e materassi che sbarravano le palestre, qualche insegnante brava tecnicamente ma parecchio squilibrata, gli insulti in caso di errori. Sarà il metodo, ci dicevamo, incoraggiando Giada a non piangere e a non dar troppo peso a quelle parole».
A 9 anni sua figlia comincia a girare di società in società, di città in città. Perché?
«Perché cerchi la struttura più qualificata, l'insegnante più brava. E se serve vai lontano, noi prima nel Lazio, poi a Fabriano e poi a Novara. Affitti case, paghi trasferte, ti crei un alibi chiedendole se "se la sente" e Giada se la sentiva sempre. Delle sue sofferenze ci ha raccontato alla fine, in lacrime: "Non volevo deludervi"».
Ma era isolata da voi, dalle amiche e anche dalla scuola.
«Seguiva un sogno che a noi pareva grande. Quando si è trasferita a Castelletto Ticino, a 12 anni, si allenava praticamente tutto il giorno. Negli alberghi non accettano minori non accompagnati e così le palestre fanno convenzioni con case-famiglia, spesso di genitori di altre allieve. Le ragazze vivono lì assieme, mangiano pane e ginnastica».
E la scuola?
«Scuola parentale: lezioni dopo le 18, insegnanti improvvisati, spesso reclutati tra papà e mamme. Cotte dopo ore di esercizi, le bambine si addormentavano a italiano o matematica. Giada era bravissima e questo forse ci ha illuso che tutto andasse bene».
Quando è scoppiata?
«Il 5 maggio 2018 dopo aver visto una compagna percossa dalla coach con le clavette.
Non era il primo episodio: ho guidato sette ore per abbracciarla e davanti a una pizza mi ha raccontato quello che aveva subìto: gli sgambetti sistematici per farla cadere che le hanno procurato seri problemi alla schiena, le frasi brutali, il cibo negato. Il sogno si è sbriciolato: c'è voluta una psicologa per valutare e riparare il disastro».
Lei ha denunciato l'insegnante, ex farfalla titolatissima.
«La federazione ha raccolto la mia denuncia e quella di altri genitori, documentate con audio e testimonianze, ma non mi ha mai dato notizie e non ha mai sentito Giada: nel processo sportivo la vittima non può costituirsi parte civile, l'affare resta tra Procura e incolpato. Alla coach solo tre mesi di squalifica, durante i quali ha continuato ad allenare ed è stata anche convocata in ruoli federali. La Procura in compenso ha indagato su di me per capire se ero testimone attendibile o genitore fanatico e rancoroso. Ho presentato ricorsi e controricorsi al Coni: un muro di gomma. In compenso...».
In compenso?
«Due avvocati legati alla Federginnastica, di cui uno membro di un organo di giustizia interna, mi hanno proposto di seguirmi in un procedimento civile contro la coach, spiegandomi che se ne sarebbe interessato un collega perché loro non potevano esporsi. Ho versato un anticipo ma dopo poche settimane mi hanno comunicato che non era il caso di proseguire».
Perché?
«Credo abbiano capito che l'insegnante era ben tutelata: il sistema si protegge da solo. Ma io non cercavo vendette, volevo solo che nessuno subisse più quello che ha subito mia figlia, volevo che la Ritmica continuasse ad essere lo sport meraviglioso che Giada praticava da bambina».