SALVINI, SEGNATI QUESTA – I 797 PROFUGHI SIRIANI ACCOLTI A GALLIPOLI DA DECINE DI VOLONTARI E CITTADINI COMUNI – ASL E CARITAS HANNO SFORNATO PASTI CALDI E TANTA GENTE DEL POSTO SI È PRESENTATA CON COPERTE E GENERI DI CONFORTO
MIGRANTI AL PORTO DI GALLIPOLI
Paolo Conti per il “Corriere della Sera”
Le donne e gli uomini della Protezione civile hanno dovuto tranquillizzarli, pochi minuti prima della mezzanotte di ieri, 1° gennaio: «Non è la guerra. Qui è Capodanno e festeggiamo così».
Il baratro tra i disperati in fuga dalla tragedia siriana e noi italiani che li accogliamo, senza una guerra in casa da settant’anni, sta in quel breve panico notturno nella palestra della scuola primaria dell’Istituto comprensivo Gallipoli Polo 3 in via Giorgio da Gallipoli. L’uso gallipolino per San Silvestro prevede un ordigno artigianale: cerchio di petardi e, al centro, una «cipolla» simile a una piccola bomba carta. Ne è esploso uno a pochi metri dalla scuola. Poi altri. I nervi hanno ceduto. Sono stati in tanti, tra i duecento alloggiati in palestra, a pensare che in Puglia si stesse combattendo chissà quale oscuro conflitto. Troppo simile il boato a quello delle bombe siriane.
barcone di immigrati foto di Massimo Sestini per Marina Militare
I profughi sbarcati alle 3 del mattino del 31 dicembre dal cargo Blue Sky M, in tutto 797 (tra loro quaranta bambini e circa venti donne incinte) hanno i volti dignitosi e i gesti misurati di chi si lascia l’orrore alle spalle e assapora una normalità dimenticata. Quando sanno che il comandante e altri tre membri dell’equipaggio sono stati arrestati a Lecce, sorridono.
Muhammad ha 47 anni, un tratto da europeo bene educato: «Niente cognomi, ho la famiglia in Turchia», è così per tutti. Aveva — un tempo — un vita normale, un benessere borghese, era un ingegnere civile. Tutto polverizzato dalla guerra. Eccolo qui a Gallipoli: «Nessuno sapeva chi fossero il comandante, gli uomini dell’equipaggio, c’era un clima mafioso. Sapevamo però che, sbarcando, si erano mescolati tra noi per fuggire. Il comandante aveva la famiglia con sé. Lo so di sicuro».
Sono stati riconosciuti dagli uomini delle Capitanerie di porto di Gallipoli e di Bari che si sono calati a bordo della nave dagli elicotteri HH139 dell’Aeronautica militare e EH101 della Marina, conducendola in porto nonostante la notte, il mare alto, il gelo, ed evitando lo schianto contro gli scogli fra Santa Maria di Leuca e Otranto. Chissà quanti sarebbero stati i morti, e quanto vasta la catastrofe ecologica con le 9 tonnellate di petrolio stivate.
La palestra è in ordine, tra poco anche gli ultimi settanta ancora ospitati qui verranno spostati seguendo il piano di riparto del ministero dell’Interno (nelle province pugliesi ma anche in Lombardia, Veneto, Piemonte e Toscana).
Gli uomini puliscono i bagni, spazzano i pavimenti, piegano i propri vestiti. Raccontano storie simili, sempre senza identità: «Vengo da Aleppo, sono un farmacista», «Io da Damasco, studiavo agraria», «Io ho lasciato Homs, ero un elettrotecnico». Molti i palestinesi, vissuti per anni nei campi profughi siriani e ora costretti a fuggire di nuovo. Muhammad l’ingegnere è un intellettuale, ragiona: «Chiedono perché abbiamo pagato così tanto, chi 5.000 euro e chi 7.000. Ma quando non hai più nulla e possiedi solo la speranza di ricominciare una vita, sei disposto a qualsiasi cosa».
Anche ad affrontare un viaggio pieno di incognite. Le testimonianze raccolte nella palestra coincidono. Tutti smentiscono che la destinazione fosse il porto croato di Rijeka: «Dovevamo arrivare a Catania, questo era il patto». Nel cuore tante mete finali: Olanda, Danimarca, soprattutto la Germania, e poi la Svezia. La conferma che l’Italia è ormai una tappa geograficamente obbligata verso il «vero» benessere. Non più un obiettivo. Ed ecco il viaggio. Partenza tra il 23 e il 25 dal porto turco di Mersin, a poche miglia dalle coste siriane. Una nave che batte bandiera moldava ma è stata appena venduta da quindici giorni a un siriano col nuovo equipaggio già pronto.
La raccolta delle somme: una media di 6.000 euro a testa produce più di 4 milioni di euro, una fortuna, finita chissà dove. Poi il mare aperto. Le due tempeste. L’enigma dell’equipaggio, da subito mimetizzato tra i disgraziati a bordo. Il breve contatto con le autorità greche, appena un rapido controllo della Guardia costiera e il ritorno nelle acque internazionali. Quindi il comandante e i suoi che lasciano la guida della nave a 15 miglia da Leuca, probabilmente avviando il pilota automatico. L’allarme degli italiani, il loro arrivo. L’approdo a Gallipoli. Ma è vero che il comandante e i marinai vi hanno minacciato con le armi? «Falso, assolutamente falso. Non c’erano pistole. E minacciarci, perché?».
IMMIGRATI NON LASCIATECI SOLI CON GLI ITALIANI FOTO DI UN LETTORE DI DAGOSPIA NEI VICOLI DI GENOVA
A terra, l’avvio di una macchina di soccorso che rappresenta un bel volto di questo nostro difficile Paese. Racconta il prefetto di Lecce, Giuliana Perrotta: «Abbiamo avuto poche ore per organizzarci, la notizia dell’arrivo della nave è giunta alle 21, l’attracco è stato alle 3. Ha funzionato bene il coordinamento tra le prefetture pugliesi, nonostante le emergenze di questi giorni, grazie anche alla polizia di Stato. Abbiamo avuto la piena collaborazione di tutti. Della Caritas.
Dell’ospedale di Gallipoli, della Asl Lecce che hanno assicurato in tempi record pasti caldi. Di altri nosocomi, in tutta la provincia, che hanno affrontato un centinaio di ricoveri. Del volontariato. Della Croce Rossa e della Protezione civile».
Don Attilio Mesagne della Caritas di Lecce e don Giampiero Fantastico della Caritas di Nardò — Gallipoli hanno procurato in una manciata di ore vestiti, coperte, scarpe, cappelli, altro cibo. Tutti hanno avuto una brandina (quella ultraleggera ultimo modello dell’Esercito) e una coperta. Nessuno ha sofferto né la fame né il freddo. «Italy good country», assicura Muhammad, mano sul cuore.
Racconta il sindaco di Gallipoli, Francesco Errico, alla guida di una giunta di centrosinistra dal maggio 2012: «Non abbiamo lanciato alcun appello. Ma tanti cittadini si sono presentati spontaneamente, portando ciò che hanno potuto. Un tam tam umanitario che fa onore alla nostra gente del Salento». Davanti alla scuola, tre bambini si inventano un gioco, svuotando un vaso pieno di terra e riempiendolo di nuovo. Basta poco, per quei sorrisi. Basta una giornata normale. Una giornata senza bombe. Senza sangue.
IMMIGRATO
IMMIGRATI IN ITALIA jpeg