“L’ARCHITETTO SI È AMMAZZATO”, L'AUTOPSIA SMONTA IL GIALLO DI SARZANA – LA MOGLIE: "SONO SICURA CHE LUI SI SIA TOLTO LA VITA, AVEVA PROVATO ALTRE DUE VOLTE A FARSI MALE" – UNO DEI DUE SOCCORRITORI, CAPACI PURE DI ROVISTARE NEL PORTAFOGLI DELLA VITTIMA, AVEVA PORTATO VIA LA PISTOLA
Matteo Indice per la Stampa
Prisca Giancarli alterna parole e lacrime. I poliziotti capiscono di non essere solo davanti a una donna disperata, ma a una verità a quel punto inimmaginabile. Lei è la moglie di Stefano Di Negro, l' architetto cinquantenne morto sabato sera sul greto del torrente Calcandola a Sarzana, con il volto deformato. «Sono sicura che lui si sia tolto la vita, aveva provato altre due volte a farsi male».
Poi il riferimento alla pistola che il padre della vittima custodiva, infine l' esito dell' autopsia: Di Negro non è stato massacrato a sassate, ma da un colpo di calibro 38 sparato in bocca dal revolver che poco prima aveva prelevato nella villetta dei genitori, e la pallottola si è conficcata nel cranio.
L' arma, scopriranno gli investigatori, è sparita poiché rimossa dai due giovani che hanno dato l' allarme, capaci pure di rovistare nel portafogli della vittima. Risultato: dopo quarantott' ore vissute in apnea, la morte del professionista per gli inquirenti è «un più che probabile suicidio».
È quindi vero che Stefano trascorre parte del sabato al Lido di Camaiore con un amico e le rispettive figlie. Ma in precedenza, parlando con la compagna, piange e palesa una volta di più la sua depressione. Di nuovo a Sarzana dice che deve andare a casa dei suoi a prendere «delle mappe»: si trattiene un' ora scarsa, esce, percorre non più di 3-400 metri, parcheggia, si spara e dopo mezz' ora passano due ventenni con piccoli precedenti per droga. «Era a terra - racconteranno alla tv -. Prima di chiamare il 118 gli abbiamo fatto il massaggio cardiaco. Oggetti intorno? Non c' era nulla». Mentono, e si portano via il revolver nel marasma generale.
Il primo sopralluogo è quindi viziato: non sono visibili fori d' entrata o d' uscita del proiettile ed è sparita l' arma di famiglia, della cui esistenza si apprende con gli interrogatori e l' autopsia. Rimessi insieme i tasselli cruciali, e mentre spunta un biglietto scritto con ogni probabilità da Di Negro in tempi recenti, gli inquirenti tornano a concentrarsi sugli sciacalli-soccorritori. E uno di loro infine cede, spiegando dove ha nascosto la calibro 38, risultando sì estraneo alla tragedia ma finendo lo stesso in un mare di guai. «Volevamo rivenderla» confessa.