architettura sociale

BASTA CON LE ARCHISTAR, L’ARCHITETTURA VA IN ROULOTTE: NEI BORGHI DEL SISMA ARRIVERANNO PRESTO BIBLIOTECHE, PALESTRE, AMBULATORI MOBILI - PRENDE FORMA L’IDEA NATA ALLA BIENNALE DI VENEZIA

Giuseppe Salvaggiulo per la Stampa

ARCHITETTURA SOCIALEARCHITETTURA SOCIALE

 

Gli architetti le chiamano unità mobili, a prima vista sembrano roulotte.

In realtà questi container celano biblioteche, palestre, presìdi antimafia, laboratori ambientali e ambulatori medici. Speciali perché dotati di ruote.

 

Nati per le periferie degradate, raggiungeranno anche i borghi colpiti dal terremoto. Sono il frutto di un crowdfunding applicato all' architettura sociale.

Circa 200 donatori privati hanno già contribuito con 112 mila euro all' idea lanciata alla Biennale di Venezia, in una sezione del padiglione italiano chiamata «Agire».

 

«Con questo progetto portiamo in scena la nostra filosofia e la nostra storia», raccontano Massimo Lepore, Raul Pantaleo, Simone Sfriso, curatori del padiglione Italia. Una filosofia agli antipodi della mistica delle archistar, una storia di amicizia che nasce a Venezia e finisce nel mondo.

 

Il bolognese Massimo, l' inglese Sergio e il milanese Raul si conoscono a metà degli Anni 80 all' Università e, come nella canzone di Gino Paoli, vogliono cambiare il mondo. Attraverso l' architettura. Frequentano le lezioni di Massimo Cacciari, Aldo Rossi e Vittorio Gregotti, rifiutano l' idea del disimpegno.

 

Contestano «l'architettura come forma d' arte, disegno e firma». Si battono controcorrente in un' associazione europea chiamata Utopica per un' architettura «dal basso, processo multidisciplinare e collettivo che si cala nei luoghi e nelle comunità».

 

Finita l' Università, aprono uno studio-bottega (niente pareti a vetro, niente acciaio a profusione) in una calle alle spalle di campo San Barnaba.

ARCHITETTURA SOCIALEARCHITETTURA SOCIALE

 

Massimo legge saggi sui moti ungheresi del '56 ascolta folk americano, Sergio corre la maratona («Ho appena fatto il mio record, 3h19'»), Raul si divide tra la barca a vela e il volontariato con Emergency. È l' idea a legarli, a cementare l' amicizia nei lunghi anni della gavetta. Ridisegnano piazza Brin alla Spezia, realizzano un parco a Casalecchio di Reno.

Si legano al Terzo Settore, con cui progettano in Italia (la sede di Banca Etica a Padova) e all' estero (l' ospedale di Emergency in Sudan). Lavori che danno riconoscimenti anche all' estero e grazie ai quali arriva l' invito del ministero per la Biennale di Venezia.

 

Dove giocano in casa, non solo geograficamente, perché questa è una Biennale di rottura: rivaluta l' architettura della normalità contro quella dell' eccezionalismo. Il curatore della rassegna è il cileno Alejandro Aravena, il titolo «Reporting from the front».

Dunque architettura di frontiera, che presidia e ricuce i margini della società. Massimo, Sergio e Raul vincono la selezione del ministero e diventano curatori del padiglione italiano, chiamandolo «Taking care» (prendersi cura). Svolta nella svolta, la sezione Agire. «Volevamo gettare un seme che fiorisse anche oltre la mostra», raccontano.

 

Cinque associazioni - Unione sportiva, Libera, Emergency, Legambiente, Associazione biblioteche - lavorano con giovani architetti per progettare le unità mobili. Con i 112 mila euro raccolti (l' obiettivo è 360 mila) si avvia la costruzione delle prime due. L' ambulatorio medico è quasi pronto, prima tappa nel quartiere Ponticelli, periferia di Napoli. La biblioteca e la palestra, destinate a Milano e Torino, saranno dirottate nei paesi terremotati, «per ricucire le comunità ferite».

BIENNALE 2016BIENNALE 2016

 

I tre amici ormai lavorano in Italia e nel mondo, ma una volta alla settimana si ritrovano a Venezia, dietro campo San Barnaba come ai tempi dell' Università. A immaginare un' architettura empatica, antidoto al degrado sociale.

A fine mese, chiusa la Biennale, il progetto camminerà sulla piattaforma web periferieinazione.it. E ovunque qualcuno vorrà replicarlo per curare una periferia.

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