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L’ESTATE STA FINENDO, L’EMERGENZA IDRICA IN SICILIA NO - NELL’ISOLA, I LETTI DELLE DIGHE NON VENGONO PULITI DA DECENNI E L’ACQUA UTILIZZABILE, AL NETTO DI FANGHI E DETRITI, NON BASTA: DEI TRENTA INVASI ARTIFICIALI, A CUI SONO COLLEGATE LE RETI IDRICHE COLABRODO CON OLTRE IL 50% DI DISPERSIONE, DIECI SONO RIMASTI A SECCO. ALTRI OTTO CONTENGONO AL MASSIMO MEZZO MILIONE DI METRI CUBI D’ACQUA – ORA C’È IL VIA AL RIPRISTINO DEI TRE DISSALATORI FERMI DA 20 ANNI PER I COSTI SPROPOSITATI DELL’ENERGIA. ADESSO DOVREBBERO COSTARE MENO?
Estratto dell’articolo di Miriam Di Peri e Giusi Spica per "la Repubblica"
Nella Sicilia assetata, battuta in lungo e in largo dalle autobotti, si è aperta la guerra dell’acqua. Nell’Agrigentino, agricoltori e sindaci di comuni dirimpettai si contendono la diga San Giovanni.
Sulle sponde del fiume Verdura, tra Palermo e Agrigento, quattro comuni sono in lotta con la vicina Ribera che ha ottenuto un prelievo straordinario per irrigare le arance. Addirittura il primo cittadino di Trapani e quello della confinante Misiliscemi litigano su chi dei due deve custodire le chiavi dell’impianto che rifornisce entrambi i territori.
Va così ovunque. Perché nell’isola i letti delle dighe non vengono puliti da decenni e l’acqua utilizzabile — al netto di fanghi e detriti — è insufficiente per tutti. Dei trenta invasi artificiali, a cui sono collegate le reti idriche colabrodo con oltre il 50% di dispersione, dieci sono rimasti a secco. Altri otto contengono al massimo mezzo milione di metri cubi d’acqua.
Complessivamente sono utilizzabili solo per il 10% della loro portata, ovvero 701 milioni di metri cubi.
E se il livello scende ancora, moriranno anche i pesci inquinando quel poco d’acqua rimasta: un allarme che ha fatto già scattare il piano di “deportazione” dei pesci dagli invasi a secco a quelli ancora capienti.I razionamenti imposti all’entroterra per tutta l’estate, nel giro di qualche giorno diventeranno più severi: si va verso erogazioni una volta a settimana.
[…] anche a Palermo aleggia lo spettro del razionamento. Un’emergenza al limite del paradosso: alla diga San Giovanni, in caso di precipitazioni straordinarie, l’acqua piovana in eccesso rischia di finire in mare per l’apertura dei sistemi di sicurezza anti-esondazioni.
[…]
Cronache dalla Sicilia che almeno può festeggiare il via libera alla realizzazione dei dissalatori: tre impianti realizzati negli anni ’90 e dismessi a inizio millennio per i costi spropositati dell’energia elettrica.
Adesso la fumata bianca per rimetterli in funzione: l’intervento (circa 100 milioni) era stato inserito nell’accordo di sviluppo e coesione. Il Mit ha già incaricato la struttura nazionale guidata da Nicola Dall’Acqua per accelerare l’iter burocratico. La parola d’ordine è fare in fretta: il sistema idrico nell’isola finora si è retto sugli invasi, che hanno mostrato i loro limiti nelle ultime estati senza pioggia.
I soldi buttati via negli anni — tre miliardi dai tempi della giunta Cuffaro in poi — non hanno evitato le sconfortanti scene delle autobotti. E i rubinetti a secco. All’inizio dell’estate la Protezione civile ha messo a disposizione 20 milioni: 17 sono stati investiti nella ricerca di nuovi pozzi o nella riattivazione dei vecchi. Ma le risorse che risalgono dal sottosuolo non compensano quelle che mancano in superficie. La nuova frontiera è rendere potabile l’acqua del mare, nell’isola circondata dal Mediterraneo eppure stretta nella morsa della sete.
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