L’ORRIBILE TRAGEDIA DI PIETRO - L’ABBANDONO DI ALESSANDRA, È L’INNESCO PER LA VENDETTA. SPIETATA. “NON MI SONO LANCIATO CON LEI SUBITO MA ANZI LE HO PRIMA FATTO PROVARE IL TERRORE DI PERDERE TUTTO AMICI, FAMIGLIA E FUTURO”

Massimo Pisa per “la Repubblica

 

«Scrivo queste parole non per essere ricordato, soprattutto perché dopo questa sera i ricordi sarebbero tutti negativi credo». Lettere del genere non finiscono mai sui quotidiani. Perché preannunciano gesti estremi e il suicidio per motivi personali di un ragazzo di vent’anni — è la vecchia regola — resta fuori dalle cronache. Solo che in queste tre pagine scritte in stampatello con grafia quasi femminile, intitolato “Lettera ai cari”, c’è un piano criminale lucido e affilato, una confessione preventiva che l’autore vuole postuma.

PIETRO DI PAOLA E ALESSANDRA PALIZZI PIETRO DI PAOLA E ALESSANDRA PALIZZI

 

La scrive, con ogni probabilità, nel pomeriggio di lunedì, e solo una volta si tradisce nella febbre di quello che sta per diventare inevitabile: «Quello che scriverò da qui in poi non ha nulla a che fare con i miei ultimi saluti ma invece servirà a spiegare (non accettare eh) quello che sto x». Le ultime due parole le cancella. «Ho fatto».

 

E dunque ecco, nella sua crudezza, il movente. Pagina tre. «Un odio così forte da essere felice di sacrificare la propria vita per far provare all’altro la vera tristezza». L’abbandono, la fine della storia, nella mente di Pietro Di Paola è l’innesco per la vendetta. Spietata. Di più: tortura. «Non mi sono lanciato con lei subito ma anzi le ho prima fatto provare il terrore di perdere tutto amici, famiglia e futuro ».

 

Nella mente dell’omicida-suicida siamo già lì, sul terrazzo all’ottavo piano: «Per questo, e qui mi ripeto, ho perso l’anima tempo fa e quando sono salito sul terrazzo ero solo un corpo ed un ammasso di rabbia, incredulità e puro spirito sadico. Ho sfogato 7 anni di dolore in 45 minuti di terrorismo psicologico».

 

Prima l’annuncio di quello che sarebbe successo, con gli amici e i parenti convocati ad assistere all’orrore. Anche se il piano, recita lo scritto, era leggermente diverso e prevedeva una lama: «Perché pugnalarla? Per essere sicuro di non essere l’unico a rimanerci secco». Vent’anni. Lei, diciannove.

 

PIETRO DI PAOLA E ALESSANDRA PALIZZIPIETRO DI PAOLA E ALESSANDRA PALIZZI

Prova pure a spiegarla, come se fosse possibile, quella discesa agli inferi, abbozzando l’alibi classico dei manuali di criminologia, alla voce femminicidio: l’incapacità di accettare l’abbandono, l’accusa all’ex di indifferenza, il distacco come pretesto per la rivalsa. «Purtroppo con l’Alessandra ho finito a coinvolgere tutto me stesso: anima, cuore e corpo, ho specificato anima perché se si arrivano a fare certe cose, vuol dire che non la si ha più.

 

L’amore totale e disarmante che provavo si è trasformato in affetto quando ci siamo lasciati per poi diventare risentimento nell’ultima settimana. Un odio così forte da essere felice di sacrificare la propria vita per far provare all’altro la vera tristezza». E la convinzione di essere andato a pari: con Alessandra, con la vita, col proprio dolore. Se la reincontrassi dall’altra parte la odierei ancora? No, il mio sfogo è finito nel momento in cui ho saltato».

 

Il prima, le altre due pagine con cui il ventenne arrivato bimbo dal Brasile, sono i saluti alle persone care, le scuse per non aver saputo sopportare il grumo di dolore e rancora che Di Paola si portava appresso.

 

Parole vergate prima del crescendo di odio, sfumate nel fatalismo, anche confuse: «Purtroppo quel momento è giunto, come il sonno, lentamente e poi sempre più profondamente. Mi stupisce che dopo un po’ ci si abitua a tutto, a tutto tranne il dolore, che merita di essere vissuto, ma quando arriva a mangiarti vivo, tanto da rendere decisamente insapore qualsiasi esperienza. Tornando al motivo del perché scrivo, credo che sia una forma “atto di giustizia” verso chi magari dopo penserà al perché del mio gesto».

 

Ci sono i saluti compassionevoli alla madre («Spero non seguirai il mio esempio e continuerai la tua vita, non serve trovarsi per forza un uomo, anche perché come dici tu facciamo tutti un po’ schifo»). Alla sorella («A te auguro tutta la fortuna del mondo, sposa un brav’uomo e prenditi cura di Maya e di Leo come io non ho mai fatto»). Al padre che se ne era andato da tempo e quella partenza lo aveva scavato («Sappi comunque che non voglio addossarti la colpa di questo, se fossi rimasto qui con noi sarebbe successo lo stesso? Non lo so»). Alla nonna («Spero ti consoli sapere che ho fatto questa scelta per la mia felicità o più esattamente per smetterla con tutta questa “non felicità”»).

Il palazzo di Via Novaro da dove sono precipitati un ragazzo e una ragazzaIl palazzo di Via Novaro da dove sono precipitati un ragazzo e una ragazza

 

Saluta gli amici e qui si torna all’ultimo periodo, quello in cui il germe dell’olocausto di sé e di Alessandra diventava malattia incurabile: «Penso che se un mese fa mi avessero detto che sari finito a scrivere una lettera come questa sarei scoppiato a ridere e li avrei mandato tutti a quel paese». Poi la rottura, e il conforto che non arriva nonostante gli sforzi altrui «In queste settimane si sono comportati in modo magnifico. Purtroppo ciò mi ha fatto anche desiderare una vita perfetta a cui prima non avevo mai aspirato, perciò posso dire che nel mio caso, sia stata la speranza a fregarmi ».

 

Ci mette uno smile, il sorriso dei messaggini. E la lettura torna alle ultime righe di Pietro Di Paola, epitaffio che lascia senza fiato, qui riportato con l’ortografia originale: «Lascio un piccolo consiglio finale, si lo so che fa impressione, ma pensò sara utile sia alle future vittime che ai forse futuri carnefici, dubitate di quelli che ridono sempre a volte non possono semplicemente fare altrimenti e nel frattempo, perderanno l’anima».

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