
LIBIAMO - INCUBO FINITO: GLI OSTAGGI POLLICARDO E CALCAGNO SONO RIENTRATI IN ITALIA - MOLTI ANCORA I PUNTI OSCURI A PARTIRE DALL'IDENTITÀ DEI RAPITORI, DALLE MODALITÀ DELLA LIBERAZIONE, FINO ALLA MORTE DEI LORO COLLEGHI FAILLA E PIANO
1. LIBIA, EX OSTAGGI POLLICARDO E CALCAGNO RIENTRATI IN ITALIA
L'incubo è finito per Gino Pollicardo e Filippo Calcagno, e per le loro famiglie. Alle 5 di questa mattina è arrivato all'aeroporto di Ciampino l'aereo con a bordo i due italiani liberati in Libia dopo un sequestro durato diversi mesi. Ad attenderli c'erano i loro cari e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. I due tecnici della Bonatti erano stati rapiti il 20 luglio scorso nella zona di Mellitah, a 60 chilometri da Tripoli, insieme a Salvatore Failla e Fausto Piano,uccisi in uno scontro a fuoco tra fazioni rivali.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inviato un messaggio ai familiari di Failla e Piano per far pervenire loro il suo profondo cordoglio per la tragica morte dei loro congiunti in Libia. Il presidente ha inoltre espresso grande sollievo per il rientro in patria dei due ostaggi "finalmente ricongiunti alle proprie famiglie".
Pollicardo e Calcagno sono parsi provati ma in buone condizioni. Il loro rimpatrio è stato possibile soltanto al termine di una giornata di tensione e di un estenuante braccio di ferro con i libici. E alla fine, intorno alle 3:30, sono partiti dall'aeroporto di Mitiga a Tripoli, a bordo di un'aereo speciale.
I due tecnici, accompagnati da Gentiloni, stavano ancora percorrendo i pochi metri verso la palazzina di rappresentanza del 31 stormo, quando i loro familiari sono corsi ad abbracciarli. Prima Ema Orellana con i figli Gino e Jasmine e due nipoti si sono stretti piangendo e gridando di gioia a Pollicardo; subito dopo è stata la volta di Maria Concetta Arena con i figli Cristina e Gianluca e la nuora Loana nei confronti di Calcagno.
Subito dopo i due tecnici, finalmente sbarbati, stanchi ma felici, sono nella sala di rappresentanza. E lì sono cominciati i racconti.
Secondo la prassi, Pollicardo e Calcagno dovrebbero incontrare nelle prossime ore il pm Sergio Colaiocco. Molti ancora i punti oscuri di tutta la vicenda, a partire dall'identità dei rapitori, dalle modalità della liberazione, fino alla morte dei loro colleghi Failla e Piano. Non è ancora chiaro quando rientreranno in Italia le loro salme, al momento ancora in Libia, presumibilmente a Sabrata.
2. ORE DI ATTESA, VOLI CANCELLATI POI LA SALVEZZA NELL' IMPIANTO ENI
Lorenzo Cremonesi per il “Corriere della Sera”
«Gino Pollicardo e Filippo Calcagno arriveranno in Italia nelle prossime ore. Siamo felici per le loro famiglie. I corpi di Salvatore Failla e Fausto Piano invece restano qui per espletare le procedure burocratiche», dicevano ieri sera le autorità libiche di Sabratha.
Il dubbio e l' incertezza restano sino all' ultimo come ipoteche pesanti sul calvario dei quattro tecnici della Bonatti rapiti presso il terminale Eni di Mellita nel luglio scorso. Troppi ritardi, troppe contraddizioni hanno accompagnato l' intera vicenda per poterla considerare ancora risolta del tutto. Tanto da azzardare una constatazione: i due vivi rappresentano una carta nelle mani di Tripoli, i morti invece un' altra per Sabratha.
Ciò che possiamo raccontare più fedelmente è la lunga giornata di ieri, che nel suo incedere faticoso e confuso è stata una sorta di cartina tornasole amplificata all' ennesimo sulla realtà feudale, tribale, frammentata e anarchica di questa povera Libia, tanto potenzialmente ricca quanto in effetti precipitata in un caos paralizzante.
La cronaca comincia già la mattina presto, quando dall' ufficio del portavoce del governo di Tripoli, Jamal Zubia, invitano la stampa a correre all' aeroporto militare «entro le dieci» per poter prendere un elicottero diretto a Zuwarah, una sessantina di chilometri ad ovest di Sabratha, dove un convoglio di vetture scortate dalle milizie locali dovrebbe condurci dai due tecnici italiani sopravvissuti. «Da Roma sono arrivati almeno due agenti dei servizi italiani che prenderanno in consegna i tecnici delle Bonatti.
Ci sarà una conferenza stampa anche con le autorità municipali», ci viene assicurato. Tuttavia, le ore passano e non avviene assolutamente nulla.
Anzi, le guardie armate sul posto si dimostrano parecchio infastidite da tanti stranieri muniti di telefonini e telecamere. Verso le tredici ci dicono che il volo è cancellato. No comment. E se provassimo a viaggiare via terra? Dopo tutto Sabratha dista solo un' ottantina di chilometri dalla capitale.
«Assolutamente impossibile», mettono in allarme i colleghi della stampa libica. «Andando verso ovest sulla litoranea, già a una quindicina di chilometri dal centro di Tripoli, ci sono le bande dei Warshafana, una delle tribù pro-Gheddafi che oggi si è alleata con i volontari stranieri di Isis. Al meglio rapinano di tutto, al peggio sequestrano e uccidono chiunque non appartenga ai loro clan».
Vedere per credere. Venti minuti nel traffico della capitale, siamo ancora nella zona urbana, ma dopo l' ultimo posto di blocco nel quartiere di Janzurah dominato dalla bandiera di «Alba Libica», la milizia più importante del governo locale, inizia la terra di nessuno. Il posto di blocco, cinque container accatastati, è addirittura incustodito. Di qua negozi aperti, benzinai, traffico vivace. Di là poche auto, casucce povere, gente armata ai bordi della strada. Un' auto davanti a noi si ferma. Un uomo barbuto al volante tira fuori il telefonino e chiama.
L' autista fa veloce l' inversione di marcia. «Ci stavano segnalando, saremmo stati presi entro un paio di chilometri», spiega nervoso premendo sull' acceleratore. Nel retrovisore, una scassata auto blu viene obbligata sul lato della provinciale da un tizio con la pistola in mano. L' episodio è indicativo di questa viabilità tribale. Ci si muove per strada solo in territori amici.
Altrimenti si vola. Da Tripoli a Tobruk non esiste un vero collegamento terrestre. C' è chi usa le barche dei pescatori. E il grave è che l' incertezza investe ormai le periferie della capitale.
I medici sussurrano che negli obitori giungono di tanto in tanto cadaveri decapitati. Segno che Isis vuole fare paura, le sue cellule non sono più solo «dormienti».
Ma torniamo alla vicenda degli italiani perché verso le quattordici ci dicono che starebbero arrivando nell' area vip dell' aeroporto. Tutto sembra pronto. Sulla pista è parcheggiato evidentissimo il trimotore bianco con la bandierina italiana che li riporterà in patria.
I DUE TECNICI DELLA BONATTI RAPITI IN LIBIA - GINO POLLICARDO E FILIPPO CALCAGNO
Un diplomatico del ministero degli Esteri di Tripoli ci conferma che «due funzionari» arrivati da Roma sono qui da almeno 24 ore e dalla prima mattina sono andati via elicottero a Sabratha. Alle 16.30 però ancora non è avvenuto nulla. Telefoniamo allora a Taher Algribli, il militare di Sabratha che pare abbia partecipato alle recenti offensive contro Isis. «Qui le cose vanno male», dice. «Non siamo rispettati come sarebbe doveroso. Vogliamo delegazioni ufficiali del ministero degli Esteri libico. Dopo tutto, i nostri ragazzi hanno combattuto e sono morti per battere Isis.
I DUE TECNICI DELLA BONATTI RAPITI IN LIBIA - GINO POLLICARDO E FILIPPO CALCAGNO
Anche gli italiani devono rendersene conto», sbotta nervoso. Una doccia fredda. Che significa? Gli italiani saranno liberati, oppure adesso sono diventati ostaggi politici nelle mani di Sabratha? La risposta viene dai giornalisti libici. «In realtà qui ci sono due tipi di giochi politici. Da una parte il governo di Tripoli utilizza la questione ostaggi per essere riconosciuto e sostenuto dagli italiani. Tripoli accusa Roma di valorizzare soltanto la campana di Tobruk. Senza dubbio ora hanno questa carta in mano e la utilizzeranno al massimo per essere ascoltati e capiti. Ma c' è un problema ulteriore. Questo è un Paese diviso in infinite frazioni.
La sovranità di Tripoli è limitata e deve fare i conti quotidianamente con le tribù e municipalità che solo formalmente sono nella sua area di influenza», spiegano. La cosa del resto non è nuova. Da tempo Tripoli chiede e non ottiene che le milizie «amazig» (berbere) di Zintan consegnino sotto la sua giurisdizione Saif al Islam, il figlio più «politico» di Gheddafi dal novembre 2011 in carcere appunto dagli «amazig».
E lo stesso vale per Tobruk. Anche qui un caleidoscopio confuso di poteri e autorità in competizione tra loro. Per esempio Derna, dove le milizie islamiche hanno scacciato Isis, ma restano in scontro frontale con il generale Khalifa Haftar, il militare filo-egiziano che si è imposto da ministro della Difesa nelle regioni orientali. Oppure la stessa Bengasi, diventata linea del fronte contro Isis che da Sirte si espande verso est.
fausto piano salvatore failla libia bonatti
In serata però il contrasto tra Tripoli e Sabratha pare appianato. Tripoli si è impegnata a fondo. Sabratha ottiene ascolto. Interviene lo stesso ministro degli Esteri, Ali Abuzaakouk. Verso le 8 di sera confermano che la cosa è risolta. Ma si parla ancora di «questioni burocratiche da appianare». Gli italiani sono poi partiti alla volta di Mellita, dove erano già stati segnalati ieri sera. Si attende il loro arrivo a Roma, dove daranno la loro testimonianza alla procura e ai carabinieri del Ros.