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LA LUX DEL DUX - POLEMICHE SULLA RIACCENSIONE DEL FARO DI MUSSOLINI SULLA COLLINA CHE DOMINA PREDAPPIO. LA PROVINCIA DÀ VIA LIBERA: "SARÀ VISIBILE DA RIMINI, PORTERÀ TURISTI" - ANPI E COMUNITÀ EBRAICA INSORGONO, UN DEPUTATO PD PRESENTA UN’INTERROGAZIONE - I NIPOTI DEL PARTIGIANO UCCISO: “UNO SFREGIO”

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Gabriele Martini per “la Stampa”

 

I calzini neri con la faccia di Mussolini costano 3 euro. Se ne compri cinque c' è lo sconto. Ne servono 15 per aggiudicarsi la felpa con l' effigie della Decima Mas. Il ragazzo romano, barba curata e scarpe griffate, opta per uno scaldacollo con la scritta «me ne frego» e un manganello. «A noi!», urla uscendo dal negozio. Appeso alla parete, tra souvenir di dubbio gusto, spicca un quadro che ritrae un faro.

 

La firma è in basso a sinistra, ben leggibile: Romano Mussolini, quarto figlio di Benito e donna Rachele. Il prezzo non è trattabile: 600 euro. Il faro è quello che sorge a quattro chilometri da qui, sulla collina che domina Predappio. È il faro del Duce. Durante il Ventennio segnalava quando Mussolini soggiornava in Romagna. E ora c' è chi vuole riaccenderlo.

 

Il castello di Rocca delle Caminate, nel territorio del Comune di Meldola, era la residenza estiva del capo del fascismo.

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Oggi è proprietà della Provincia di Forlì. Nel 1927 in cima alla torre venne installato un faro che emetteva un fascio di luce tricolore visibile a oltre 60 chilometri di distanza. Il 28 settembre 1943, in questo edificio circondato da pini e cipressi, si tenne il primo consiglio dei ministri di quella che sarà la Repubblica Sociale Italiana. Nei mesi precedenti la Liberazione le segrete del castello furono luogo di indicibili torture nei confronti di partigiani e antifascisti. Come quelle che portarono alla morte di Antonio Carini, nome di battaglia Orsi, uno dei cinque membri del Comando generale delle Brigate Garibaldi, ucciso il 13 marzo 1944.

 

Ma la memoria, in questa fetta d' Appennino, slitta in secondo piano. «Vogliamo riaccendere il faro per attrarre turisti», spiega Gianluca Zattini, sindaco di Meldola. «Sarà visibile da Imola a Rimini e richiamerà quassù un bel po' di gente. Stiamo definendo le pratiche per affidare la gestione, ci sarà anche un ristorante». Il pericolo, ribattono dal neonato comitato anti-faro, è che Rocca delle Caminate diventi luogo di pellegrinaggio del turismo nero. «Nero, rosso, bianco, io non ne faccio una questione di colore. Chiunque vorrà visitare il faro sarà il benvenuto», svicola il primo cittadino: «Chi si oppone fa una battaglia culturale di retroguardia».

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La Provincia di Forlì ha dato via libera, la proposta è stata approvata con voti bipartisan. «La rocca ha una storia millenaria, i nostalgici saranno una minoranza», dice il presidente dell' ente Davide Drei. Ma il Pd è diviso: il deputato catanese Giuseppe Berretta ha presentato un' interrogazione al ministro dell' Interno sostenendo che «la riaccensione del faro è apologia di fascismo». Il collega di partito forlivese Marco Di Maio definisce le accuse «ridicole» e ribatte che l' obiettivo è «valorizzare un luogo straordinario, senza scordare la storia».

 

Anche all' interno dell' Anpi le posizioni sono sfumate. Tamer Favali, presidente della sezione di Forlì, mette i paletti: «Riaccendere il faro si può, ma allora diventi il faro della pace, questa è la nostra proposta». La coordinatrice regionale Anna Cocchi è meno accomodante: «Se è rimasto spento finora, deve continuare a esserlo.

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L' accensione era legata alla presenza di Mussolini, che non merita certo di essere ricordato. Il faro rievoca la sua persona e l' Anpi non dimentica».

 

Giorgio Frassineti, sindaco Pd di Predappio, spalleggia invece l' iniziativa dell' omologo del Comune confinante: «Voglio restare fuori da questa polemica», premette. Poi sgancia il siluro: «Nel 2017 bisognerebbe interrogarsi su che senso abbia l' esistenza dell' associazione partigiani. Sinceramente credo che l' Anpi abbia esaurito il suo compito anni fa».

 

La comunità ebraica è preoccupata. «Qui c' è la tendenza a nascondere le malefatte del regime», lamenta Luciano Caro, rabbino di Ferrara. «A Predappio ci sono clamorose celebrazioni del fascismo: busti, bandiere, gadget, reliquie. Riaccendere il faro significa aggiungere ulteriore squallore». Ma gli amministratori locali non sembrano intimoriti dalle polemiche.

 

Stime ufficiose calcolano che il turismo nero porti in paese almeno 40 mila presenze all' anno tra neofascisti in camicia nera e parate cialtronesche. Un business di cui la città non sembra intenzionata a privarsi. Al cimitero il viavai è incessante. Nella cripta che conserva le spoglie di Benito Mussolini i turisti si inginocchiano e lasciano dediche sul quaderno: «Il nostro onore si chiama fedeltà», «la storia ti darà ragione». Fino alla macabra preghiera di tale Giuseppe Pellegrini da Viterbo: «Fa che muoiano i clandestini, non tutti, vedi tu, basta che in Italia non vengano più».

 

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Contro la riaccensione del faro si schierano anche i nipoti di Antonio Carini, comandante della Resistenza catturato il 6 marzo del 1944 e sottoposto alle torture più efferate proprio a Rocca delle Caminate. Il partigiano "Orsi", ormai in fin di vita, fu legato ad un' auto, trascinato per vari chilometri fino a Meldola, pugnalato e poi buttato giù da un ponte. «In quel luogo nostro zio è stato trucidato e ucciso, riaccendere quel faro sarebbe una profanazione. È uno sfregio alla sua memoria e a quella degli altri antifascisti imprigionati», dicono Dirce Pedrini, Cesare e Libero Carini.

 

«L' iniziativa della Provincia è una vergogna, speriamo cambino idea». Ma a Predappio trovare qualcuno che si opponga all' accensione del faro è un' impresa. A metà pomeriggio un gruppo di anziani ciondola fuori dal bar a pochi metri dall' ex Casa del Fascio, dove dovrebbe sorgere il museo del fascismo: «Da queste parti abbiamo un detto che recita così: Mussolini non ci ha fatto paura da vivo, non ce ne farà da morto».

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