
MAFIA CAPITALE, ULTIMO GIRO DI VALZER: LA SENTENZA ARRIVA IL 20 LUGLIO DOPO 230 UDIENZE - SUI 46 IMPUTATI PENDONO RICHIESTE DI CONDANNE PER OLTRE 500 ANNI - PER CARMINATI LA RICHIESTA E’ DI 28 ANNI, 26 ANNI E 3 MESI PER BUZZI - ECCO COSA PUO’ SUCCEDERE
Valentina Errante per “il Messaggero”
Il verdetto arriverà giovedì prossimo, dopo 230 udienze distribuite in venti mesi. Per i 46 imputati (17 accusati di far parte dell'organizzazione criminale) della maxi inchiesta di Mafia capitale, il giorno della sentenza è stato fissato ieri dal presidente della X sezione del Tribunale Rosanna Ianniello, dopo le ultime dichiarazioni in aula del re delle coop Salvatore Buzzi.
Pendono richieste di condanne per oltre mezzo millennio e il re delle coop è tornato a respingere l'accusa che lo vede, insieme a Massimo Carminati, al vertice della cupola infiltrata nell'amministrazione capitolina: «Era solo corruzione, non c'era mafia», ha ribadito Buzzi. Il nodo resta proprio quello dell'associazione mafiosa, un vincolo, secondo i pm, che grazie alla portata intimidatoria di Carminati consentiva alle coop di ottenere commesse e appalti.
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Qualunque sia la decisione del collegio sarà comunque una sentenza storica, perché quella sul Mondo di mezzo è l'inchiesta simbolo della procura guidata da Giuseppe Pignatone. L'indagine che ha portato alla luce un sistema di corruzione sistematica e diffusa, dove gli attori principali erano uomini che avevano giurato fedeltà alle istituzioni, come Luca Odevaine, componente del Tavolo del Viminale per i rifugiati (che ha già in parte patteggiato la pena) o Daniele Ozzimo, ex assessore alla Casa, già condannato in secondo grado.
L'INCHIESTA
Settantatremila pagine di atti, migliaia di intercettazioni in un'inchiesta che, nel dicembre 2014, ha fatto tremare Roma. Per la procura, dal 2013 l'amministrazione comunale era contaminata dalla mafia. I tentacoli della cupola, capace di intimidire, grazie allo spessore criminale di Carminati, arrivavano anche a gestire gli appalti del Viminale per l'accoglienza dei migranti.
Per questo i pm hanno chiesto in tutto 515 anni di carcere. La pene più pesanti per il Nero e il ras delle coop: le due figure apicali, secondo l'accusa, che sarebbero state in grado di pilotare appalti e ricche prebende all'ombra del Campidoglio. I vertici del presunto clan erano assecondati, secondo l'impianto dei pm, da una schiera di politici, sia di destra che di sinistra, con i quali chiudevano accordi corruttivi in cambio anche di denaro.
È il «mondo di mezzo», di cui parlava Carminati, intercettato dai carabinieri del Ros, «un'associazione di stampo mafioso - secondo i pm - che si avvaleva della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e dell'omertà che ne deriva per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione e il controllo di attività economiche, concessioni, autorizzazioni, appalti e servizi pubblici». Un impianto che le difese hanno tentato di demolire, ammettendo soltanto l'esistenza di un enorme sistema corruttivo.
LE RICHIESTE
Giovedì 20 luglio il collegio deciderà sulle pesanti richieste dell'accusa. Ventotto anni per Carminati, 26 anni e 3 mesi di carcere per Buzzi. Lui, Carminati e altri 17, fanno parte dell'associazione mafiosa che hanno gestito la pubblica amministrazione «come fette di una caciotta, un qualcosa da spartire e non certo facendo attenzione al bene comune». Per il braccio destro del Nero, Riccardo Brugia, è stata chiesta la condanna a 25 anni e 10 mesi, 22 anni, invece, per la «cerniera» tra l'organizzazione e il mondo politico-istituzionale, Fabrizio Testa.
Per i politicì ritenuti appartenenti al clan, l'ex Ad di Ama Franco Panzironi e l'ex consigliere in Campidoglio e poi alla Regione Lazio, Luca Gramazio, la procura ha chiesto rispettivamente 21 anni e 19 anni e mezzo. I giudici decideranno anche sulla richiesta a 2 anni e 6 mesi, per l'accusa di corruzione, a Luca Odevaine, ex componente del tavolo sull'immigrazione: la procura gli riconosce un ruolo di collaborazione anche se la pena deve intendersi in continuazione con quella a 2 anni e 8 mesi già patteggiata.
L'ULTIMA DIFESA
Nelle ultime dichiarazioni spontanee, rese ieri davanti ai giudici, Buzzi è tornato ancora una volta ad accusare l'ex ad Ama Franco Panzironi, detenuto in regime di 416bis. «Panzironi pretendeva i soldi, non abbiamo fatto in tempo a consegnargli gli ultimi dieci mila euro, perché poi ci hanno arrestati. Se non avessi pagato avrei smesso di lavorare. Non c'era mafia».
Sulla stessa linea il commercialista Claudio Di Ninno: «I pm non hanno cercato la verità - ha detto - ma solo colpevoli. Io mi assumo le mie responsabilità, che sono relative solo all'evasione fiscale» E ha concluso: «Affido la mia vita a lei signora presidente confidando che il suo giudizio non sia contaminato dalla campagna mediatica».