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UN MARE DI DROGA! DAL MAROCCO A TOBRUK: I BOSS DEL NARCOTRAFFICO HANNO TRASFORMATO IL MEDITERRANEO NELLA NUOVA AUTOSTRADA DELLA DROGA - IL SOSPETTO E’ CHE QUESTI AFFARI SERVANO A FINANZIARE L’ISIS

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Salvo Palazzolo per “la Repubblica”

 

Un informatore ha appena comunicato che nel porto di Nador, nord est del Marocco, ci sono strani movimenti, probabilmente entro 48 ore partirà un mercantile carico di hashish. «La fonte è attendibile», dice l’ufficiale di un servizio segreto straniero, che telefona da una capitale del nord Europa.

 

Nella sala intercettazioni del Gruppo operativo antidroga c’è già parecchio fermento: due giorni fa, i finanzieri hanno saputo dai colleghi turchi che uno dei loro indagati ha inviato un bonifico ad Amsterdam per reclutare l’equipaggio di una nave in Marocco. Forse, è la stessa segnalata dai Servizi. Forse, è un’altra. L’ennesima.

 

È così ormai da due anni. Due anni di un’indagine segretissima. In questa stanza che si affaccia sul porto di Palermo, fra mappe, computer e foto satellitari, si sta conducendo una battaglia silenziosa. Contro i nuovi signori della droga, che sembrano aver spianato un’autostrada a due passi da casa nostra, nel Canale di Sicilia.

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Una battaglia diversa da tutte le altre messe in campo contro il narcotraffico. Perché questi signori della droga sono di nazionalità libica, sono gli stessi che caricano migliaia di uomini sui barconi diretti in Sicilia. È il passaggio più delicato dell’inchiesta. Con i soldi della tratta comprano carichi di hashish. E il sospetto pesante di chi indaga è che questi affari servano a finanziare il terrorismo internazionale. Una brutta storia che tre misteriosi ras di Tripoli stanno gestendo di fronte alle coste della Sicilia.

 

Quintali di hashish partono da Casablanca o tra Nador e Oran, due città fra Marocco e Algeria, per arrivare al largo di Tobruk, in Libia. Sempre la stessa tratta. Percorsa su navi, pescherecci, yacht. Impossibile intercettarli tutti. Ma negli ultimi due anni sono stati bloccati al largo di Pantelleria sette carichi di droga, i più grossi. In totale, 120 tonnellate di hashish, che valgono 1,2 miliardi di euro, una mini-finanziaria. Di alcuni sequestri è stata data notizia (senza alcun riferimento alla Libia, per non pregiudicare l’inchiesta), altri sono stati tenuti segreti.

 

Adesso è possibile raccontarla questa indagine sulla nuova rotta del narcotraffico che attraversa il Canale di Sicilia. Anche se molti particolari restano ancora riservati. «Quella droga arriva poi in Europa attraverso la rotta balcanica», spiega il tenente colonnello Giuseppe Campobasso, il comandante del Goa di Palermo, che è un’articolazione del Gico, il gruppo antimafia: «Per i trafficanti libici è un affare molto proficuo, dalla vendita di quella droga viene ricavato un vero e proprio tesoro che sospettiamo venga utilizzato per comprare armi e tutto ciò che serve all’Is».

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Ecco perché non è più, da mesi, solo la lotta al narcotraffico. E da qualche tempo si è stretta un’inedita collaborazione internazionale attorno all’indagine di Palermo coordinata dal procuratore Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Teresa Principato. Nome in codice dell’operazione segreta, “Libeccio”.

 

I nostri investigatori sono in stretto contatto con i colleghi di Francia, Grecia e Spagna. «Basta una telefonata o una mail, senza troppe formalità», spiega il colonnello Francesco Mazzotta, il comandante del nucleo di polizia tributaria di Palermo. Un salto non da poco nell’Europa che spesso fa ancora tanta fatica a dialogare sulle indagini: qualche mese fa, i pubblici ministeri di Palermo che indagavano su alcuni foreign figthers si sono visti rispondere dal Belgio che era necessaria una rogatoria per conoscere l’intestatario di una targa.

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Ora, invece, in questa stanza che guarda il porto di Palermo arrivano segnalazioni da tutta Europa. Perché la rete dei trafficanti libici è fitta, tra siriani ed egiziani che si occupano di reclutare navi commerciali ed equipaggi. Per bloccare la rete dei complici, gli investigatori italiani hanno organizzato incontri anche a Rabat, al Cairo, ad Ankara, a Tirana. Alla ricerca di altri alleati, con il sostegno della Direzione centrale dei servizi antidroga, dell’Europol e persino della Dea, l’agenzia federale che fa capo al dipartimento di giustizia degli Stati Uniti.

 

«Si sta combattendo una battaglia cruciale nel Mediterraneo », ripete il colonnello Mazzotta, che cita il motto caro al giudice Giovanni Falcone, «bisogna seguire i soldi». E i soldi portano negli Emirati Arabi. Lì, i trafficanti libici fanno arrivare i bonifici per la droga venduta in Europa. Negli Emirati Arabi arrivano anche i soldi della tratta dei migranti. Una cassaforte che ancora nessuno ha espugnato.

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La caccia in mare prosegue. Un’informazione preziosa è stata girata all’ufficio antidroga dell’Egitto: al porto di Damietta è stato sequestrato un peschereccio che nella stiva nascondeva settecentomila pasticche di Captagon, un’anfetamina che allontana sonno, fame, paura e freni inibitori. È la droga dei terroristi dell’Is.

 

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