OBAMA MEMORIES - LA MAREA NERA, IL DISGELO CON CUBA, LA GUERRA DEI DRONI: IN UNA INTERVISTA AL “NEW YORK MAGAZINE” IL PRESIDENTE USA RACCONTA I 5 GIORNI CHIAVE DELLA SUA AMMINISTRAZIONE: “NON HO MAI PRETESO DI ESSERE UN PACIFISTA. MI OPPONGO ALLE GUERRE STUPIDE” - MA IL "GRANDE UNIFICATORE" LASCIA UN’AMERICA PIU’ DIVISA CHE MAI
Federico Rampini per “la Repubblica”
Barack Obama racconta la sua presidenza, ne rivela retroscena sorprendenti o controversi: come arrivò ad abbracciare la “guerra dei droni”; il rischio che una catastrofe ambientale diventasse la sua Katrina; la mossa improvvisata che accelerò il disgelo con Cuba.
Mancano più di tre mesi al suo addio (chiunque vinca l’8 novembre si insedierà solo il 20 gennaio) ma il presidente anticipa quelle che saranno le sue memorie. In una lunga intervista al New York Magazine traccia un bilancio della sua presidenza senza evitare le pagine più negative. Il titolo lo conferma: “La speranza, e quello che venne dopo”. Un riferimento al fortunato slogan elettorale sull’audacia della speranza, ma anche alle delusioni di molti obamiani rispetto alle attese che lui aveva suscitato.
Come scrive nell’introduzione il giornalista Jonathan Chait che lo ha intervistato lungamente, nessun altro presidente è entrato alla Casa Bianca in un momento così drammatico, con l’eccezione di Franklin Roosevelt (crac del 1929 e Grande Depressione) e Lyndon Johnson (assassinio Kennedy). I cinque giorni-chiave della presidenza Obama affrontano alcuni dei capitoli più delicati, difficili, talvolta dolorosi.
19 gennaio 2010. Obama è presidente da un anno esatto, e già la sua maggioranza perde i pezzi. Il repubblicano Scott Brown viene eletto senatore del Massachusetts in quel seggio che era stato dello scomparso leader democratico Ted Kennedy. A novembre succederà di peggio: la sconfitta alle legislative di mid-term. Questo accade mentre Obama sta cercando di far passare la riforma sanitaria. E’ l’occasione per riflettere su uno dei suoi fallimenti. Si era presentato come un presidente “unificatore”, capace di cementare larghe intese. Lascia un’America più divisa che mai.
La sua riflessione parte dallo shock economico del 2009: «Partii dalla convinzione che eravamo in una crisi scoppiata sotto un governo repubblicano, e quindi ci sarebbe stata una finestra di opportunità per cooperare con loro, in uno sforzo comune per sollevarci dal baratro… Stavamo perdendo 800.000 posti di lavoro al mese. Ogni economista che consultavo – inclusi dei repubblicani – spingevano per una grande manovra di rilancio».
Un anno dopo, il suo fallimento Obama lo attribuisce a «una sorta di perversa fiducia nel fatto che applicando le misure giuste avremmo avuto un buon clima politico ». Ma lo smacco non riguarda solo il rapporto con l’opposizione repubblicana: «La sconfitta mi ha ricordato quello che un buon presidente deve sempre ricordare: devi dedicare sempre attenzione all’opinione pubblica, e devi essere capace di comunicare le tue idee».
Il 20 aprile 2010 esplode la piattaforma petrolifera Deepwater Horizon nel Golfo del Messico. Obama fronteggia l’incubo di una crisi ambientale «tipo quella di Katrina» che avrebbe contribuito a distruggere l’immagine di George W. Bush. «Con la marea nera della Bp – confida oggi il presidente – mi confrontai con un ciclo delle notizie molto particolare.
Una crisi seguita dai media 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, con un’atmosfera apocalittica che si avvita su se stessa». Retrospettivamente il presidente pensa che «fu controllato uno dei più gravi disastri ambientali nella storia americana», ma sul momento «eravamo sotto l’impressione che gli eventi ci fossero sfuggiti di mano completamente».
Il 23 maggio 2013 Obama annuncia la sua “dottrina dei droni” in un discorso alla National Defense University. Criticato perché troppo duro per un premio Nobel della pace. Lui risponde così: «Non ho mai preteso di essere un pacifista. Nel discorso in cui mi opposi all’invasione dell’Iraq il passaggio-chiave era quello in cui dichiaravo: non sono contrario a tutte le guerre, mi oppongo alle guerre stupide». Ma insieme all’escalation nell’uso dei droni lui oggi rivendica di avere introdotto «più trasparenza» nel modo in cui vengono decisi e condotti gli attacchi; e una misurazione più affidabile delle vittime civili.
Il retroscena cubano è uno dei più divertenti. Il disgelo con L’Avana era un suo obiettivo, era in cantiere da tempo, ma procedeva a rilento. Poi il 10 dicembre 2013 Obama va ai funerali del leader sudafricano Nelson Mandela, l’eroe della lotta anti-apartheid, uno dei personaggi che lo hanno influenzato di più. «Mi chiedono di parlare – ricorda il presidente – ma non era chiaro se ci sarebbe stato anche Raul Castro sul palco. Era uno degli eventi meno organizzati a cui io abbia partecipato.
In ritardo, e sotto una pioggia torrenziale. Io salgo sul podio e vedo questo signore anziano e mi dico, oh, credo che sia Raul Castro. E così gli stringo la mano. Non mi sembrava un gesto importante. E invece i cubani reagirono in un modo per me inatteso. Lo interpretarono come un gesto di rispetto e serietà, compiuto sulla scena mondiale, e da quel momento i nostri negoziati divennero più facili ».