LA MERDA E’ ARTE - I GIAPPONESI FANNO LA FILA PER VEDERE IL MUSEO DELLA CACCA DI YOKOHAMA: CENTOMILA VISITATORI IN SEI MESI - UN SUCCESSO CHE SPINGERÀ AD APRIRNE UN ALTRO GEMELLO A TOKYO - NON CI SONO ESCREMENTI REALI MA TANTA, PLASTICA MAGARI NELLA SAGOMA DI UN CONO GELATO - LA CACCA È DIVENTATA “GRAZIOSA” GRAZIE A INTERNET E A UN POPOLARISSIMO EMOTICON NATO NEL 2007…
Cristian Martini Grimaldi per “il Venerdì - la Repubblica”
Yokohama. I giovanissimi sembrano mitizzarla, ma gode di insospettabili fan anche tra i più anzianotti. I sociologi più avvertiti lo presagivano da un pezzo: l'estetica del gusto va slittando verso territori inviolati e un filino sgradevoli. La cacca non è più un tabù e così qualcuno ha pensato di farne un prodotto di più esplicito consumo. Quelli dell' Unko Museum di Yokohama sono stati sagaci e a partire dal nome hanno glissato su ogni eufemistica autocensura: il Museo della cacca. Più chiaro di così.
Ha esordito a marzo, ci si aspettava un pubblico da sport minore, ma si è riversata una folla da mini-Expo. Centomila visitatori. Doveva chiudere i battenti a metà luglio ma è partito il contrordine: tratteniamo la cacca per qualche altro mese. Gli psicologi parlerebbero di insana fissazione ritentiva. Qui brindano all' exploit e raddoppiano pure, aprirà un secondo museo a Tokyo in tempi record. Dato il richiamo di massa è stato fissato il numero chiuso come nelle migliori facoltà accademiche.
Permanenza massima di trenta minuti per la modica cifra di 1.700 yen (15 euro). Al minuto, forse il museo più costoso al mondo. Per dire, l' esposizione di 60 succulente opere di Van Gogh, Renoir e Modigliani che ha aperto ora a Tokyo costa 1.400 yen. Ma non hai il cronometro che ti soffia sul collo. È il colpo di genio della società dei consumi. Rendere appetibile l' epitome del rivoltante.
«Attenzione però» precisa un addetto alle pubbliche relazioni dell' azienda Kayac (ideatori del concept), «questo non è il regno della cacca, bensì della cacca immaginaria». Naturalmente non parliamo di cacca reale, qui c' è solo tanta, tantissima plastica per di più nella soave stilizzata sagoma di un cono gelato, eppure il boom lascia di stucco lo stesso. «Nessuno poteva prevederlo» spiega Daisuke Inoue, marketing strategist e scrittore, «spendiamo tantissimo tempo ad analizzare come e perché un fenomeno abbia successo, crediamo nell' esistenza di una formula replicabile, ma non serve a niente. Questo museo ne è la prova». Che sia tutto frutto del caso?
All' ingresso del museo delle meraviglie un dépliant ci avverte subito: attenzione, qui non ci sono toilette. Poi entri e scopri che non è vero. Una spiritata ragazza del personale prima ci istiga a lanciare l' urlo belluino "Unko!", poi ci guida in una sala dove allineati stanno sette gabinetti. Veniamo invitati a deporvi i deretani e al suo segnale "spingere" forte. Simulazione dell' espletazione di feci, ma quando ci alziamo dal bidet scopriamo che una graziosa cacchetta rosa si è materializzata magicamente. Infilata su uno stecchino diventerà il nostro amuleto di compagnia durante la visita. Incroceremo cacche a forma di specchi, nuvolette, tortine, lampadine, videogame. La più imponente di tutte, quella a vulcano, quando erutta ne fa di tutti i colori.
«Ci siamo chieste, andiamo al cinema oppure al Museo della cacca?» esclamano con risatine contagiose due quindicenni sedute su un tavolo da tè generosamente apparecchiato di edulcorate cacchette.
"Kawai!" (grazioso), è l' enfatico ritornello di fanciulli come di adulti che tra lo spensierato e lo sbarazzino dispensano un collaudato repertorio di pose per autoritratti social. In fin dei conti il museo altro non è che un grande selfie hotspot.
Ma come è accaduto che una cultura così sofisticata come quella nipponica, che ha tramutato la banale degustazione di un tè in una danza di gesti raffinatissimi, si ritrovi a glorificare gli escrementi umani elevandoli a icona pop? La cacca, neanche dirlo, è diventata graziosa grazie alla rete, o meglio grazie al suo popolarissimo emoticon nato nel 2007 e ispirato al personaggio di manga, unchi-kun (la cacchina). In quegli stessi anni andava a ruba un ciondolino per cellulari detto kin no unko o "cacca d' oro", simbolo di buona sorte grazie a un gioco di parole: ne vennero venduti 2,7 milioni di pezzi.
GIAPPONE - MUSEO DELLA CACCA 3
Entrando in qualunque libreria, qui accade sovente che l' occhio scivoli su un pimpante libricino detto unko doriru, opuscolo per calcoli matematici elementari. Elabora problemi espressi in cacchette invece che numeri. Esempio: dati 16 cm di popò, dividendola a pezzi di 2, quanti ne restano? Tre milioni di libretti liquidati in pochi mesi.
GIAPPONE - MUSEO DELLA CACCA 4
«Culturalmente i ragazzi qui sono ben predisposti a un rapporto ravvicinato con gli elementi più bassi della scala biologica» mi spiega Masae Suga, maestra elementare. «Gran parte delle scuole mette a disposizione degli studenti un piccolo terreno per osservare la natura nel suo stato elementare. Gli studenti scavano a mani nude per giocare con i lombrichi. E osservare da vicino i loro escrementi fa parte dell' educazione». Spingendosi indietro nel tempo si scopre che il concetto che qualcosa di disgustoso nasconda una grande ricchezza era ben noto agli abitanti di Tokyo. Quello ad ovest della capitale era un terreno troppo "molle" per la risicoltura, allora i contadini si dedicarono agli ortaggi. Erano talmente buoni che doveva esserci un segreto.
GIAPPONE - MUSEO DELLA CACCA 5
«Il segreto c' era» mi spiega Yoshino-san, 83enne proprietario di un terreno rigorosamente nutrito col metodo biologico. Mi racconta di quando ogni fine raccolto il nonno, con i contadini della zona, caricava in grandi ceste il ricavato e si avviava a piedi verso i quartieri benestanti della città per venderlo alle famiglie nobili: «In cambio non chiedeva denaro ma qualcosa di più alto valore. La cacca».
GIAPPONE - MUSEO DELLA CACCA - EMOTICON UNKO
Prodotta da stomaci che godevano di una ricca dieta, sarebbe diventato il concime più prezioso. Domando a Yoshino cosa ne pensa del successo del museo ma come noto che il suo sguardo si pietrifica nel vuoto me ne pento subito. In realtà non tutti escono soddisfatti dal tour. Colgo le doléances di una turista francese: «Pensavo di imparare qualcosa, ma è solo per fare foto, è costoso e la coda lunghissima». Forse lo ignora ma in accuratissimo ordine ha elencato tutte le ragioni per cui i giapponesi ne trovano irresistibile il richiamo.