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IL VIAGGIO COSTA UN OCCHIO, ANZI UN RENE - ALL’OSPEDALE SAN CARLO DI MILANO I MEDICI SCOPRONO I SEGNI DELL’ASPORTAZIONE DEL RENE SUL FIANCO DI UN MIGRANTE. LUI CONFUSAMENTE SPIEGA CHE NON SAPEVA DI NON AVERLO PIU’ MA RICORDA DI ESSERE STATO NARCOTIZZATO. POI SVANISCE

Luigi Ferrarella per il “Corriere della Sera

 

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Volendo, si potrebbe premere sul sensazionalismo: perché nei documenti che circolano in queste ore negli ospedali milanesi c' è davvero l' espressione «traffico internazionale di organi» di stranieri migranti. Ma sarebbe prematuro farlo, pur se prematuro è forse anche minimizzare a priori, visto che in questa storia l' unica cosa sicura è che un rene non sta più nel posto giusto dove doveva stare, e cioè nel fianco sinistro di un migrante.

 

E allora ecco cosa si può seriamente dire, al momento, all' esito delle verifiche sinora possibili. È la fine di agosto quando un cittadino africano adulto, attorno ai 35/40 anni, scappato dal Sudan, approdato in Italia con i barconi e gravitante su un centro di accoglienza di Milano, arriva all' ospedale San Carlo. Nel corso della visita, il medico si accorge che l' uomo ha delle cicatrici a sinistra, corrispondenti a una nefrectomia: è insomma il segno che ha subìto l' asportazione di un rene.

 

MIGRANTI ITALIA SVIZZERA 2MIGRANTI ITALIA SVIZZERA 2

Ma ecco la sorpresa: il sudanese racconta infatti che non lo avrebbe mai saputo, accenna confusamente a una volta nella quale sarebbe stato narcotizzato quando l' anno scorso stava in Libia in attesa del modo di imbarcarsi per l' Italia, e fa dunque capire che il rene gli sarebbe stato asportato senza che lui ne fosse consapevole e quindi contro la sua volontà.

 

Dall' ospedale parte una segnalazione alla Procura. Che, appena la riceve, manda la polizia a rintracciare il sudanese per interrogarlo meglio e verbalizzare in termini formali la sua testimonianza. Ma ciò non risulta possibile perché gli agenti del commissariato non trovano più l' uomo nel centro di accoglienza cittadino, dal quale evidentemente si è allontanato rendendosi irreperibile.

 

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Aveva detto il vero? Oppure aveva ammantato di violenza la sua decisione di vendere il rene per pagare la traversata agli scafisti? Senza più la potenziale «parte offesa» di un fascicolo iscritto in Procura per l' ipotesi di reato di «lesioni gravissime», il 2 settembre il pm Alberto Nobili prova allora a domandare ai vari ospedali milanesi se, tra i loro pazienti migranti, abbiano da segnalare casi o racconti vagamente analoghi a questo.

 

centri di accoglienza 6centri di accoglienza 6

È così che il 9 settembre in tutte le strutture sanitarie di ricovero e cura accreditate dalla Regione Lombardia nella Città metropolitana di Milano arriva un messaggio urgente del direttore sanitario dell' Azienda di tutela della salute (dal primo gennaio 2016 nuovo nome dell' Asl di Milano), Emerico Maurizio Panciroli, avente per oggetto: «Indagine di polizia giudiziaria su presunto traffico illegale di organi - richiesta di informazioni».

 

Vi si riassume che «una Azienda ospedaliera milanese» ha segnalato all' autorità giudiziaria che «un cittadino sudanese, recatosi lì per l' effettuazione di prestazioni sanitarie, presentava cicatrici di nefrectomia sinistra, intervento di cui non era a conoscenza, probabilmente eseguito circa sedici mesi fa in Libia, senza il suo consenso, nel corso dell' esodo verso l' Italia, durante il quale era stato condotto presso una non ben precisata struttura libica per accertamenti sanitari».

 

migranti canale di siciliamigranti canale di sicilia

Di qui il dispaccio: «Considerato che il fatto potrebbe essere riconducibile a un traffico illegale di organi», la magistratura chiede di verificare se le varie strutture sanitarie, «nell' erogazione di assistenza a cittadini stranieri extracomunitari, sia in regime ordinario che di urgenza, abbiano mai accertato situazioni sovrapponibili a quella descritta», e cioè abbiano mai «rilevato esiti riconducibili ad analoghi interventi di asportazione di organo senza il consenso del paziente». Sono passate meno di 48 ore, ma per adesso nessun ospedale ha comunicato di essersi imbattuto in qualcosa di simile.

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