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MISTERI D’EGITTO - PRIMA SVOLTA NEL CASO REGENI, IL CAIRO AMMETTE: “I NOSTRI POLIZIOTTI INDAGARONO SU DI LUI” E PER LA PRIMA VOLTA SI PARLA DI “TORTURA” - I PM: “GIULIO FU DENUNCIATO DAL CAPO DEI SINDACATI PER LE DOMANDE AGLI AMBULANTI” - LA MANO TESA DEL PROCURATORE SADEK: "PRONTI A INCONTRARE I GENITORI DI GIULIO” - I DUBBI DELLA FAMIGLIA SULLA VOLONTÀ DI TROVARE I COLPEVOLI

Carlo Bonini e Giuliano Foschini per “la Repubblica”

REGENIREGENI

 

Il nero diventa grigio. L’impossibile diventa probabile. E, per la prima volta, da quando questa storia è cominciata, nella prosa ingessata di un comunicato ufficiale a firma congiunta con le autorità egiziane compare la parola «tortura».

 

Non siamo alla scoperta degli assassini di Giulio Regeni, ma le 36 ore del secondo vertice romano tra la procura di Roma e la procura generale del Cairo squarciano il sudario di ipocrisie, depistaggi, provocazioni che ha sin qui avvolto la morte di Giulio.

 

Il procuratore capo Giuseppe Pignatone, il sostituto Sergio Colaiocco e il procuratore generale del Cairo, Nabeel Sadek, con la sua delegazione di quattro magistrati parlano finalmente — per dirla con una qualificata fonte inquirente che ha partecipato al vertice — «la stessa lingua». Tuttavia ai fatti che conviene stare. E dunque.

 

IL SINDACALISTA ABDALLAH

Con un gioco di prestigio il procuratore Sadek rivela di «aver acquisito pochi giorni fa» un esposto datato 7 gennaio 2016 a firma Mohammed Abdallah, già capo del potentissimo sindacato dei venditori ambulanti e, soprattutto, noto informatore di polizia e servizi.

 

REGENI FAMIGLIAREGENI FAMIGLIA

In quella carta, che il procuratore egiziano dice di non avere con sé ma che sarebbe pronto a consegnare dopo una rogatoria, l’infido Abdallah che Giulio aveva avuto tra le sue fonti e a cui aveva fatto balenare la possibilità di un finanziamento di 10mila euro della Fondazione Antipode per partecipare a una ricerca, accusa proprio Giulio di aver tentato di corrompere i suoi sindacalisti coinvolgendoli in opportune e improprie discussioni politiche.

 

Una calunnia. Non fosse altro perché i carabinieri del Ros e i poliziotti dello Sco hanno accertato, analizzando i computer del ricercatore, che Abdallah avesse chiesto una tangente a Giulio su quel finanziamento.

 

In ogni caso, quello scritto ieri è l’incipit di una storia che il regime di Al Sisi aveva sempre negato. Che Giulio cioè fosse finito nel paranoico cono d’ombra di apparati dello Stato che lo ritenevano uno spia.

 

Al punto che per mesi a negare questa possibilità si era speso il ministro degli Interni Magdi Abdel Ghaffar, che dunque ha mentito. Eppure quell’esposto in quel gennaio 2016 si fa strada nella burocrazia.

 

REGENI AL SISIREGENI AL SISI

La polizia locale lo trasmette infatti alla polizia criminale di Giza. Quella, tanto per intenderci, agli ordini di Shalaby, l’officiale con precedenti per tortura e che nell’immediatezza del ritrovamento del corpo di Giulio dirà: «È stato un incidente stradale».

 

Per tre giorni — spiega il procuratore generale — la polizia di Giza fa accertamenti su Giulio, senza trovare nulla. Per poi dunque abbandonare la pista. Il procuratore generale egiziano non dice o non spiega se e quali altri apparati abbiano raccolto l’indagine abbandonata dalla Polizia, per esempio. Ma resta il punto di svolta. Non il solo.

 

 

I NOMI NELLE CELLE TELEFONICHE

Dopo aver sostenuto, che la costituzione egiziana per motivi di privacy impediva l’analisi del traffico telefonico delle celle interessate sul sequestro e la morte di Giulio, il procuratore generale si è presentato a Roma con l’analisi di quel traffico di celle. Contenute in un cd rom, «in un lavoro di ottima fattura» dicono gli investigatori dello Sco e del Ros.

 

Naturalmente partendo dal presupposto della buona fede. E cioè che quell’analisi sia partita da un dato grezzo non manipolato. Che non siano state cioè espunte utenze da non trovare. Il traffico registrato riguarda due celle in particolare, quella di Dokki dove Giulio è scomparso il 25 gennaio e quella di Giza dove il suo cadavere è stato ritrovato il 2 febbraio.

egitto torture bunker regeni. 5egitto torture bunker regeni. 5

 

Per quanto riguarda la cella di Dokki è stato infatti considerato il traffico di cella delle cinque ore precedenti alla scomparsa e di un’ora successiva. Mentre per quanto riguarda la zona di Giza sono state considerate le cinque ore precedenti al ritrovamento. Ne sono usciti “centinaia di ricorrenze”, cioè di persone (tra loro ci sono anche i nomi di alcuni poliziotti) che erano in quelle ore in entrambi i luoghi. È un numero enorme, ma non troppo: le due celle confinano ed è stato analizzato un range orario troppo ampio. Nei prossimi giorni i nostri uomini cercheranno di ridurre il cerchio alle ore decisive per la risoluzione del caso.

 

Anche sulla cosiddetta banda criminale i progressi sono stati significativi. Non si poteva pensare che gli egiziani ammettessero di aver assassinato cinque innocenti per poterli caricare della morte di Giulio. Ma il procuratore generale Sadek ha convenuto sulle conclusioni dell’informativa dello Sco con cui si esclude un coinvolgimento dei cinque nella morte dei cinque.

 

bunker regenibunker regeni

Non si fa così soltanto giustizia di cinque innocenti. Ma si apre una nuova possibilità al raggiungimento della verità: se si dovesse scoprire chi ha depistato sulla banda criminale collocando a casa del presunto capo i documenti di Giulio, si sarà arrivati agli assassini di Giulio.

 

2. “PRONTI A INCONTRARE I GENITORI” MA DALLA FAMIGLIA GELO SULL’INVITO

G.F. per “la Repubblica”

«Vorrei tornare a breve per incontrare i genitori di Giulio e spiegare loro il nostro impegno e la volontà di giungere alla scoperta e alla punizione dei colpevoli di un così grave delitto». Tra le richieste fatte dal procuratore generale d’Egitto, Nabeel Sadek, c’è anche quella di incontrare Paola e Claudio Regeni.

 

Che però preferiscono non rispondere. Affidando, per il momento, al silenzio ogni commento alla due giorni di vertice in Italia in attesa di capire qualcosa di più. Vogliono leggere le carte per forse valutare se si tratta veramente di un passo in avanti nelle indagini o se, invece, è soltanto una mossa politica dell’Egitto per riallacciare i rapporti diplomatici con l’Italia.

 

MAMMA REGENIMAMMA REGENI

E velocizzare in questa maniera le procedure del rientro del nostro ambasciatore al Cairo. Scelta sulla quale i Regeni evidentemente non sono affatto d’accordo. Non a caso, ieri pomeriggio su Facebook, hanno rilanciato l’iniziativa lanciata dal senatore Luigi Manconi con la raccolta firme per chiedere al presidente del consiglio, Matteo Renzi, di non far tornare il nostro diplomatico in Egitto. «Non diamo — dicono nella petizione che ha tra i primi firmatari i Regeni e il loro avvocato Alessandro Ballerini — segnali di distensione. In questo momento sarebbe un segnale non accettabile».

 

Eppure il Governo italiano è uscito molto rinfrancato dal vertice di ieri. Lo ha fatto capire il premier Renzi ricordando come proprio in occasione del G20 il presidente Al Sisi gli avesse assicurati in tempi brevissimi un segnale finalmente concreto. 

 

E, per Palazzo Chigi, l’ammissione da parte degli investigatori egiziani di quello che fin qui avevano sempre negato — e cioè che Giulio fosse effettivamente stato seguito dalla Polizia del Cairo — rappresenta un passo in avanti importantissimo. Tanto che rivendicano le scelte diplomatiche di questi mesi quando invece di rompere definitivamente con Al Sisi hanno, pur ritirando l’ambasciatore, continuato in qualche maniera a trattare.

REGENIREGENI

 

Restano però un paio di elementi poco chiari. Primo tra tutti la tempistica: per qualche motivo questo esposto di Abdallah, sicuramente centrale nella ricostruzione delle cose, viene fuori soltanto in questo momento, dopo ben sette mesi di indagini? E perché i tabulati telefonici fin qui non erano mai stati consegnati alle autorità italiane, arrivando a invocare persino la tutela costituzionale della privacy? Il dubbio, in sostanza, di chi sta più vicino alla famiglia Regeni è che questo non sia un reale cambio di passo giudiziario ma una scorciatoia politica.

 

La risposta migliore certo arriverà nelle prossime settimane quando gli investigatori italiani svilupperanno i dati arrivati dall’Egitto e quando potrebbero arrivare novità anche dal Cairo. Negli ultimi giorni sono ripresi infatti gli interrogatori tra amici e conoscenti di Giulio. In particolare con alcuni egiziani che lo avevano frequentato tra dicembre e gennaio, nel periodo cioè immediatamente precedente alla sua scomparsa.

 

Dalle loro dichiarazioni gli egiziani sono convinti di poter trovare una svolta. «I passi di oggi sono stati molto utili» ha detto però il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, che al termine dell’incontro ha chiamato i Regeni. «Non possiamo che condividere la valutazione della Procura di cui abbiamo sempre apprezzato il lavoro. Credo sia importante abbia definito proficui i colloqui e speriamo che questi segnali positivi proseguano. Non andiamo oltre queste valutazioni prudenti ma realistiche. Passo dopo passo».

PASSAPORTO DI GIULIO REGENI PASSAPORTO DI GIULIO REGENI Giulio RegeniGiulio Regeniluigi manconi con i genitori di giulio regeniluigi manconi con i genitori di giulio regenigiulio regeni paola regenigiulio regeni paola regeni

( g. f.)

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