L’ISOLA DEI MATTI – LA MOGLIE SEGRETA DI MUSSOLINI IDA DASLER, LA CONTESSA GIOVANNA DI TRIESTE, LA MERETRICE FRIULANA E IL PITTORE GRIMALDI, CONVINTO DI ESSERE RUBENS – SONO SOLO ALCUNE DELLE 50MILA STORIE DELL’ISOLA DI SAN SERVOLO, A VENEZIA, DOVE VENGONO CONSERVATE CARTELLE CLINICHE E REPERTI DELLA PSICHIATRIA PRIMA DELL’ARRIVO DI BASAGLIA...
Roberto Faben per “la Verità”
Nei torridi giorni dell' estate del 1978, i pazienti internati nel reparto maschile e in quello femminile dell' ospedale psichiatrico provinciale di San Servolo, l' isola della laguna dal 1725 destinata da Venezia alla custodia e al trattamento della follia, furono imbarcati su candidi natanti e trasferiti negli istituti manicomiali della vicina isola di San Clemente, e di Marocco di Mogliano Veneto, in terraferma trevigiana.
Fu uno dei primi provvedimenti che, 40 anni fa, fecero seguito all' approvazione della legge 180 del 13 maggio, nota come «legge Basaglia», dato che, quantunque la nuova normativa fosse stata presentata dal deputato Dc Bruno Orsini, il suo deus ex machina fu Franco Basaglia.
L' antipsichiatra
Egli non gradiva essere definito un antipsichiatra, ma un medico che intendeva mettere al centro della psichiatria l' uomo, attraverso l' ascolto della sua voce, andando oltre le prassi esercitate dal potere e dalle necessità di controllo sociale sulla malattia mentale o presunta tale.
Quando, nel 1962, divenne direttore dell' ospedale psichiatrico di Gorizia, vi trovò una realtà deprimente e violenta. Decise di eliminare ogni tipo di contenzione fisica e l' elettrochoc, aprendo le porte della struttura e incoraggiando un nuovo tipo di rapporto dei medici e del personale con i pazienti, basato sul rispetto della persona.
Basaglia, veneziano, conosceva anche la realtà dell' ospedale psichiatrico di San Servolo, uno dei più fatiscenti della penisola, del quale fu decretata la subitanea chiusura, mentre altri sarebbero stati in seguito dismessi o riconvertiti in servizi alternativi.
La legge 833 del 23 dicembre 1978 istituì il Servizio sanitario nazionale e assorbì i contenuti della riforma 180, ossia i servizi psichiatrici di diagnosi e cura, le strutture residenziali e i centri di salute mentale.
Dal 2004 l' ex ospedale psichiatrico di San Servolo, prima monastero benedettino e ospedale militare, è un museo che contiene i reperti della psichiatria di scuola positivista, quella demolita da Basaglia, e manifesta i sinistri connotati di un campionario della tortura, con apparecchi per la terapia elettro-convulsivante (il famigerato elettrochoc, inventato in Italia, nel 1938, dallo psichiatra Ugo Cerletti), manette e camicie di forza, compassi per la rilevazione delle misure del cranio, cervelli rinvenuti, nel 1992, in soluzione di aldeide formica e poi plastificati, guanti volumetrici per valutare l' influsso delle emozioni, docce con gabbia, tubi per la devastante terapia insulinica.
La contessa triestina
Le storie di questa umanità violentata e dolente sono contenute in quasi 50.000 cartelle cliniche - dal 1842 al 1978 - conservate negli archivi dell' isola, nei cui giardini sono stati riprodotti, in grandi medaglioni, alcuni dei volti dei reclusi dai quali, come nella collina di Spoon River, pare di sentire l' eco delle voci soffocate.
Il primo «pazzo» inviato a San Servolo - o San Servilio, come all' epoca l' isola si chiamava - su disposizione del Consiglio dei Dieci, fu Lorenzo Stefani, il 26 settembre 1725. Di lui si sa solo che rimase nell' istituto per 37 anni, fino al 30 ottobre 1762, quando, su ordine del Tribunale, fu «portato in sua casa».
Cartella 61, anno 1877
Dalla busta numero 40, cartella 61, anno 1877, affiora la triste storia di una contessa triestina, di nome Giovanna, «dama di corte presso la regina Margherita di Spagna», 34 anni al momento dell' internamento. Diagnosi: «frenosi isterica». Indole del delirio: «religioso», poi «erotico», «quasi sempre melanconico».
Oltre il rigore delle misure antropometriche (altezza 1,52, peso 40,800, diametro mento-sincipitale 228...), riaffiora dal tempo un volto dalla «fisionomia intelligente... i capelli cominciano a divenir bianchi...cute morbida, delicata, di tinta pura...».
E le radici del disagio: «La follia si manifestò lentamente, quando rifiutò un partito tre anni fa... si sposò una sua sorella a Parigi... e allora cominciò a divenir triste, melanconica... fuggiva la gente, il fratello, la sorella... leggeva tutta la notte, pregava...».
Da quel momento, da quando la donna, di «intelligenza non comune», subì il trauma del distacco dalla sorella gemella, essa diventò «un' infelice». In una lettera «riservatissima» del 1880 al direttore del manicomio, uno stretto conoscente della famiglia chiedeva con toni tragici che «la sgraziata damigella» fosse trattenuta, pena la «finale rovina della famiglia» («E che non sia guarita - e neppur perfettamente guaribile - ce lo scrisse Lei stesso...»). Questa missiva costò alla donna 11 anni di esilio.
Angela, la meretrice
Se la nobile friulana, essendo benestante, poté soggiornare nelle stanze delle dozzinanti, ossia a pagamento, facsimili di stanze da letto borghesi (3 lire e 18 centesimi giornaliere all' epoca), Angela, giunta a San Servolo il 31 agosto 1880 da Polesella (Rovigo), di professione «meretrice», 25 anni, nubile con tre figlie, volto precocemente invecchiato di ragazza di campagna con scialle, dormiva nelle spoglie camerate comuni, con retta pagata dalla Provincia di Rovigo.
Nella diagnosi («pervertimento morale e affettivo», «tendenze al suicidio», «sempre erotica», «dedita al vizio»), si celava il dramma della sua marginalità sociale, una povertà atavica condivisa con altre compagne d' internamento, Carlotta, Caterina, Maria, provenienti da vari paesi del Veneto, e il cui destino era già segnato dalla nascita.
Il delirio dell' artista
Il 2 agosto 1913 nell' isola, su ordinanza del Questore di Venezia, fu condotto un giovane di 24 anni, Gino Grimaldi, nato e domiciliato a Isola della Scala (Verona), di professione «pittore». Diagnosi: «psicosi maniaco-depressiva».
Con idee di perfezionismo, ossessive aspirazioni di genialità, deliri di onnipotenza («Come Grimaldi ero un pittore discreto, ma volendo innalzarmi sono diventato Rubens: ma questa non è ancora la meta della mia evoluzione artistica e dovrò diventare col tempo Leonardo», raccontò ai medici), sosteneva di essere buddista e di trovare «nella religione di Budda la filosofia che può appagare il mio spirito».
A pochi giorni dal ricovero è descritto come «tranquillo, ordinato, lucido», «vorrebbe pennelli e colori per dipingere».
Da San Servolo fu dimesso il 3 aprile 1919, ma la sua inquieta esistenza, incatenata a una insopprimibile afflizione e a un irrefrenabile desiderio di espressione e affermazione artistica, come quelli di Van Gogh e Ligabue, tra gesti autolesionisti (tentò il suicidio) e fughe, fu un peregrinare tra un ospedale psichiatrico e l' altro.
Fu ripetutamente ricoverato a Mombello di Limbiate (Milano) e Cogoleto (Genova), e ha lasciato dipinti e affreschi. Nelle due tele realizzate nella chiesa dell' ospedale psichiatrico di Cogoleto, dove morì, nel 1941 - stesso destino del padre, deceduto nel manicomio di Bergamo - i critici hanno riconosciuto «le eccezionali capacità inventive e immaginifiche dell' artista».
Il calvario di Ida Dalser
Tra i faldoni sono conservati anche i frammenti della storia di Ida Dalser, nota come la «moglie segreta del Duce». Benito Mussolini, dopo averla sposata con rito religioso a Milano nell' autunno 1914 e averne avuto un figlio, nato l' 11 gennaio 1915, Benito Albino Dalser, si unì in matrimonio anche con Rachele Guidi nel dicembre 1915, dalla relazione con la quale era già nata una figlia.
La Dalser fu fatta ricoverare da Mussolini, con diagnosi di «sindrome paranoica in soggetto nevropatico», prima nell' ospedale psichiatrico di Pergine Valsugana (Trento) e poi in quello di San Clemente, isola dirimpettaia a San Servolo.
O «isola dei matti», come intesta la donna in una lettera datata 1° marzo 1936, indirizzata al «capo del governo - Roma» e mai fatta recapitare al destinatario. «In un volgarissimo manicomio, sottoposta alla fame, alle torture, agli oltraggi inauditi, in preda alla disperazione, tu taci. ().
Mio figlio è sempre vivo nel mio cuore, anzi ora più che mai. Come sarebbe stato bello partire, andare lontani, molto lontani!». I suoi giorni disperati ebbero fine nell' istituto di San Clemente il 3 dicembre 1937 e fu seppellita nella fossa comune.
La stessa sorte toccò al figlio Benito Albino, nel manicomio di Mombello di Limbiate, all' età di 27 anni.
Rinchiusa a 26 anni
Da una cartella clinica del 1969 affiorano i pietosi dettagli e la voce soffocata di C., una giovane veneta di 26 anni dagli occhi bruni, marito fabbro, quinta elementare, in stato di gravidanza, e caduta in depressione (la diagnosi è «schizofrenia») a causa della morte di una figlia piccola.
«Le fu risposto: "Dovrai pagare per tutta la vita per non essere stata coi suoceri". Lei piangeva molto. Il marito fu affettuoso solo in occasione della gravidanza. Quando morì la sua figlioletta diventò "pazza"». «15 luglio 1969: Rimane a letto, immusonita e piangente. Non vuole assolutamente dire cos' abbia. 20 luglio: Visita ginecologica.
Gravidanza 5° mese. 22 luglio: Sempre scontrosa. 25 luglio: Stasera è disperata. 26 luglio: Stanotte ha dormito due ore soltanto. Pretende di rimanere con la testa avvolta nel lenzuolo pur con il caldo che fa.
Stamattina ha scagliato piatto e scodella con la colazione. Piange, si dispera. Da monosillabi, si riesce a capire che vuole vedere la sua bambina». Fino all' 8 agosto, «1°, 2°, 3°, 4° elettroshock (in narcosi)... dopo colazione». Di San Servolo, l' isola della follia, restano altre 50.000, angosciate storie da raccontare.