NEGLI USA RIMOSSE DIVERSE STATUE DEDICATE AI SECESSIONISTI: DA BALTIMORA ALLA CALIFORNIA E’ BATTAGLIA SUI SIMBOLI DEGLI “EROI SUDISTI” DOPO I FATTI DI CHARLOTTESVILLE FINITI IN TRAGEDIA PER COLPA DI UN GRUPPO DI NAZIONALISTI - TRUMP: “TRISTE VEDERE LA STORIA DEL NOSTRO PAESE FATTA A PEZZI”
1 - TRUMP: TRISTE LA RIMOZIONE DEI MONUMENTI SUDISTI, LA STORIA NON SI CAMBIA
Da La Stampa.it
Donald Trump contro la rimozione dei monumenti e dei simboli sudisti, che richiamano il passato schiavista degli Stati Uniti, al centro delle tensioni di questi giorni. Su Twitter il presidente americano ha scritto: «È triste vedere la storia e la cultura del nostro grande Paese fatte a pezzi con la rimozione dei nostri bei monumenti e statue».
«Non si può cambiare la storia, ma dalla storia si può imparare», ha ammonito Trump. Che ha concluso citando due dei generali sudisti della guerra di secessione ed accostandoli a due padri fondatori degli Stati Uniti: «Robert E Lee, Stonewall Jackson...chi sarà il prossimo? Washington, Jefferson? Così folle...». «La bellezza» di cui saranno private «le nostre città, i nostri parchi» con la rimozione delle statue e dei monumenti sudisti «mancherà ampiamente e non potrà mai essere sostituita allo stesso modo», ha aggiunto Trump.
2 - BATTAGLIA DEI MONUMENTI NEGLI USA: GIÙ LE STATUE DEI SECESSIONISTI
Francesco Semprini per la Stampa.it
Quattro monumenti confederati rimossi nella notte a Baltimora, un mausoleo dedicato ai veterani sudisti del Pacifico sradicato dall’Hollywood Forever Cimitery in California, e il governatore della Carolina del Nord, Roy Cooper determinato a ribaltare una legge del suo predecessore repubblicano, Pat McCrory, che previene la rimozione di simboli del passato. È una vera e propria guerra dei monumenti quella degli Stati Uniti, dove è in corso una caccia a bandiere, busti e statue equestri e non di ufficiali, autorità e politici appartenenti agli 11 Stati secessionisti americani.
Una guerra figlia di un dibattito che dura da anni e che è riesplosa sabato scorso a Charlottesville, in Virginia, dove gruppi nazionalisti, suprematisti e della destra «identitaria» hanno dato vita a una manifestazione finita in tragedia, con la morte di una dimostrante dell’opposta fazione e di due agenti della polizia statale che viaggiavano a bordo di un elicottero precipitato, sembra, per un guasto. Il corteo era stato organizzato per protestare contro la rimozione di una statua di Robert E. Lee, il generale «sudista» simbolo della lotta di resistenza delle forze confederate.
Il clima di tensione si è acuito in seguito alla lentezza delle critiche da parte di Donald Trump nei confronti degli attivisti di estrema destra che si sono resi protagonisti delle scene di guerriglia urbana. «Non ero stato informato di tutto», ha spiegato il presidente sottolineando tuttavia come anche «l’alt-left» (la sinistra estremista) condivide la responsabilità delle violenze anche se «nessuno vuole dirlo». Ecco allora che mentre in centinaia si radunavano sotto la Trump Tower di New York dove il presidente ha fatto ritorno approfittando della pausa estiva, nel Paese si è dato avvio a una campagna di rimozione del monumento confederato.
Nella notte la città di Baltimora ha rimosso quattro statue dedicate agli eroi sudisti nella guerra civile americana per ordine del sindaco Catherine Pugh. Il primo cittadino ha assistito ai lavori di rimozione terminati alle 5 e 30 di ieri mattina: «Era il momento di tirarli giù», ha commentato al termine delle operazioni. Altri monumenti saranno portati via a breve a Lexington, in Kentucky, mentre sempre in Maryland il governatore Larry Hogan ha annunciato che rimuoverà le statue dedicate a Roger Brooke Taney, quinto presidente della Corte suprema promotore della sentenza che dichiarava legale la schiavitù.
Il sindaco di Dallas, Mike Rawlings, ha annunciato che istituirà una task force per valutare l’opportunità di rimuovere quelli che lui stesso definisce «totem pericolosi». Il governatore del Tennessee, il repubblicano Bill Haslam, ha ordinato la rimozione del busto di Nathan Bedford Forrest, generale della Cavalleria confederata e precursore del movimento razzista Ku Klux Klan. Provvedimenti simili sono stati presi a San Antonio, Lexington, in Kentucky, Memphis sempre in Tennessee e Jacksonville in Florida. Una vera e propria caccia su scala nazionale visto che sono 1.503 i simboli riconducibili al pianeta confederato in tutto il Paese, secondo una rilevazione del Southern Poverty Law Center.
«Una caccia alle streghe», replica l’associazione dei «figli dei veterani confederati», mentre il direttore del Center for Terrorism Law di St. Mary’s University, in Texas, definisce la rimozione un «terreno scivoloso» perché si giudicano «figure storiche attraverso criteri contemporanei». La vicenda però solleva critiche anche da destra con lo speaker della Camera, Paul Ryan, e il senatore Marco Rubio che «riprendono» Trump sul rischio di «far rivivere fantasmi del passato», mentre gli ex presidenti Bush, padre e figlio, affermano che «l’America deve sempre condannare il bigottismo razzista». Intanto, dopo i fatti di Charlottesville, otto manager si sono dimessi da consiglieri economici del presidente. Una fuga che ha spinto Trump ad annunciare su Twitter lo smantellamento di due consigli da lui voluti.