IL CINEMA A MISURA DI “GRETINI” – NELL’INDUSTRIA DELL’AUDIOVISIVO, LA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE E L’IMPATTO ECOLOGICO SONO DIVENTATE PRATICHE STANDARD E SEMPRE PIÙ STUDI LE IMPONGONO ALLE PRODUZIONI, TRA USO DI ENERGIE RINNOVABILI SUI SET, IMBALLAGGI SENZA PLASTICA E COSTUMI USATI – L’INDUSTRIA DEL CINEMA E TELEVISIONE È UNA DELLE PIÙ INQUINANTI E UN'ORA DI CONTENUTI TV GENERA CO2 TANTO QUANTO UN CITTADINO AMERICANO MEDIO IN UN ANNO...
Fabrizio Accatino per “la Stampa”
Sostenibile. Abbinato al cinema, per più di un secolo l'aggettivo ha espresso la capacità da parte di una produzione di rientrare dei costi sostenuti, generando profitti. Da una decina d'anni significa (anche) altro. Oggi nell'industria dell'audiovisivo la sostenibilità è l'insieme delle pratiche che consentono se non di azzerare, quantomeno di minimizzare l'impatto ecologico della lavorazione di un film.
Ogni anello della filiera dell'audiovisivo è in grado di generare una quantità di anidride carbonica pari a intere megalopoli. Secondo Albert, organizzazione britannica creata per analizzare e prevenire l'inquinamento ambientale dell'industria cine-televisiva, produrre un'ora di contenuti tv consuma energia e genera CO2 tanto quanto un cittadino americano medio in un anno. Uno studio dell'Università della California ha stimato che nel 2006 Hollywood aveva prodotto 15 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Solo dal 2018 i dati dell'impatto ambientale hanno iniziato a essere comunicati dalle major stesse. Siamo così venuti a sapere che la Sony aveva generato da sola più di un milione di tonnellate di CO2, la Disney quasi due.
Anche il pubblico in sala è responsabile di un inquinamento notevole. Direttamente o indirettamente, ciascuno spettatore produce 60 chili di CO2 e un cinema multischermo può arrivare a consumare fino a 2 milioni di kWh l'anno, pari ai consumi elettrici di 750 famiglie italiane. Non differente è la situazione dello streaming. I video da soli rappresentano il 60% del traffico online e per renderli disponibili occorre una massiccia rete di infrastrutture.
L'impronta ecologica delle piattaforme è enorme, con la sola Netflix responsabile dell'1% delle emissioni globali di gas serra. Gli oltre 100 milioni di visualizzazioni di un film come Birdbox hanno generato 65 tonnellate di CO2, tante quante se ne produrrebbero effettuando per 6 mila volte il giro del mondo in automobile.
Anche se molto rimane da fare, nel tempo l'industria è migliorata. Negli ultimi dieci anni i rifiuti solidi sui set hollywoodiani sono calati del 63%, le emissioni nocive dell'equivalente di 7 mila automobili. L'elettricità impiegata proviene sempre più spesso da generatori portatili a energia solare, a emissioni zero e capaci di produrre in pochi minuti 72 mila watt di potenza. La Warner li ha inaugurati nel 2010 sul set di Inception, ma per il primo blockbuster certificato «100% verde» si è dovuto attendere quattro anni fa, con 1917 di Sam Mendes.
Uno degli autori più sensibili alla causa è James Cameron. Già nel 2012 aveva annunciato un sequel di Avatar alimentato a energia solare, e così è stato. Il regista-produttore ha fatto installare sul tetto della sua Lightstorm Entertainment pannelli in grado di generare fino a un megawatt/ora e con quella elettricità ci ha girato Avatar - La via dell'acqua. Dal punto di vista produttivo il film è stato a tutti gli effetti a impatto zero, pur permanendo il problema (al momento irrisolvibile) della promozione, che ha richiesto installazioni di migliaia di maxischermi e viaggi aerei per regista e cast.
Nel Vecchio Continente non esiste una certificazione unica assegnata dall'alto. Ci sono però protocolli di natura ambientale, sociale ed economica. Il primo in Europa è stato di un italiano, Carlo Cresto-Dina. Con la sua casa di produzione Tempesta nel 2011 ha dato vita a EcoMuvi, a cui si è attenuto per produrre Le meraviglie di Alice Rohrwacher. In seguito si sono affiancati altri due protocolli: Edison Green Movie - che ha ispirato la produzione di Il capitale umano di Virzì e Torneranno i prati di Olmi - e Green Film della Trentino Film Commission.
A queste linee guida si sono già adeguate diverse regioni italiane, dalla Sardegna al Piemonte, dall'Emilia Romagna al Veneto. Se all'inizio per guadagnarsi l'etichetta di «film green» bastava sostituire le bottigliette d'acqua sul set con boccioni da 20 litri e in pausa pranzo utilizzare stoviglie riciclabili, oggi le prassi si sono fatte più articolate. Ogni aspetto della lavorazione viene preso in considerazione, dall'impiego di energie rinnovabili al filtraggio delle acque reflue, dalla gestione dei rifiuti alla scelta di imballaggi privi di plastica.
E poi cucine da campo anziché cestini (a volte con menu vegani), trasporti a basso impatto ambientale, divieto di sfruttamento di anL'esistenza di simili protocolli ha dato vita a corsi di formazione specifici - come il Green Film Lab del TorinoFilmLab - e a figure professionali nuove come il sustainability manager, l'eco manager, l'eco coordinator. Si calcola che oggi siano 1.400 i lavoratori green nel settore dell'audiovisivo italiano, destinati a crescere nei prossimi anni. Su scala mondiale, l'obiettivo dichiarato è arrivare al 2030 con produzioni cine-televisive finalmente (e realmente) carbon free.