“NIENTE FOTO E TOSSITE DI MENO”: ARRIVA A TEATRO IL DECALOGO CONTRO I MALEDUCATI - MATTIOLI: “INIZIATIVA PIÙ CHE NECESSARIA, IL PUBBLICO È SEMPRE PIÙ INDISCIPLINATO. DA QUANDO IL GENERALE AUMENTO DEL TASSO DI CAFONERIA SI COMBINA CON L'ABUSO INDISCRIMINATO DI SMARTPHONE, I RISULTATI SONO DEVASTANTI”
Alberto Mattioli per “la Stampa”
Allacciate le cinture, siete a teatro. In collaborazione fra la Fondazione Donizetti di Bergamo, che organizza il locale Festival dedicato al compositore di casa, e la Sacbo, la società che gestisce l' aeroporto di Orio al Serio.
Ecco la prima «safety card» per lo spettatore-viaggiatore, sul modello di quelle che trova negli aerei con le istruzioni su cosa fare in caso di turbolenze, atterraggi di emergenza, posto esaurito nelle cappelliere e altre catastrofi.
Un pieghevole a uso di chi, magari al primo volo a teatro, non sa bene come comportarcisi o di chi, col tempo, l' ha dimenticato. Sono 18 disegnini con relativi testi, più chiari e didascalici di una regia di Zeffirelli, nati da un' idea di Andrea Compagnucci, responsabile marketing della Fondazione, e realizzati da Venti caratteruzzi, alias il grafico-musicologo Carlo Fiore.
Obiettivo: ricordare regole basiche come il divieto di fare fotografie o l' obbligo di silenziare i cellulari, ma anche suggerire gesti di elementare cortesia come cercare di tossire di meno e in ogni caso con meno fragore (a ogni cambio di stagione, i teatri sembrano cronicari dove la tisi non accorda che poche ore a platee di Violette) e limitare i micidiali scartocciamenti di caramelle.
Ma Compagnucci & Fiore danno anche consigli, altrettanto evidenti ma trascurati dai più. Tipo «l' arte serve a dire la verità sulle sfumature del reale e dell' immaginario, non a dire soltanto di sì o di no oppure "mi piace" o "non mi piace"» (dedicato ai critici modello Facebook), o «"Antico" o "moderno"? Quel che conta è la resa della drammaturgia» (e così è silenziata anche l' estenuante querelle des anciens et des modernes sulle regie d' opera).
L' iniziativa è più che necessaria: è indispensabile. Il pubblico risulta sempre più indisciplinato. Da quando il generale aumento del tasso di cafoneria si combina con l' abuso indiscriminato di smartphone, i risultati sono devastanti.
Alla Scala, fra lo spegnimento delle luci e l' ingresso del direttore in buca, le maschere sono costrette a girare per la platea distribuendo ingiunzioni bilingui (italiano e inglese) di spegnere i cellulari. Conferma Fausto D' Imperio, da vent' anni al Regio di Torino prima come maschera e attualmente come direttore di sala: «Effettivamente le abitudini del pubblico sono cambiate, e non in meglio.
Prima dello spettacolo viene diffuso dagli altoparlanti l' invito a spegnere. Ma non c' è recita dove non trilli almeno un telefonino o dove non si accenda la luce di un altro». E addio al buio in sala preteso da Wagner e importato in Italia da Toscanini. All' opera, ovvio, interrompere lo spettacolo è impossibile. Nel teatro «parlato», capita che qualche attore esasperato reagisca. Quando sono delle star, fa anche notizia.
E allora si ricorda Hugh Jackman, nel 2009 a Broadway, rivolgersi direttamente a uno spettatore dal telefonino trillante: «Fa' pure con calma, non essere imbarazzato. Noi possiamo aspettare». Idem Kevin Spacey, ancora in grazia di pubblico, all' Old Vic: «Se non rispondi tu, lo faccio io!».
Benedict Cumberbatch, in scena a Londra nell'«Amleto», si metteva invece avanti col lavoro arringando direttamente gli spettatori in fila per entrare. Alla Scala, Daniel Barenboim interruppe un recital pianistico per redarguire una cretina che gli scattava foto con il flash da un palco di proscenio.
E una tizia seduta in platea alla prima della «Gazza ladra» si prese della «stronza» perché sparava flash alla primadonna a quattro-cinque metri di distanza: lo so perché la apostrofai così io (e dire che, sempre a proposito di Rossini, Marilyn Horne fermò la caldissima prova generale del «Bianca e Falliero» a Pesaro perché la gente si sventagliava «e così non riesco ad andare a tempo».
Dopo, tutti fermi immobili, con 40 gradi e senza aria condizionata...). Se proprio si deve rompere, che almeno lo si faccia con un minimo di originalità. E qui la palma, nei ricordi di D' Imperio, va a quella spettatrice che riuscì a sentirsi tutti i «Pagliacci» con il cagnetto in grembo: le maschere se ne accorsero solo all' uscita.
Vabbé che si trattava di un minicane da borsetta. Il signore che, venerdì scorso, è invece arrivato al Regio con un pastore tedesco è stato ammesso, ma senza la bestia (quella a quattro zampe), sequestratagli all' ingresso, accudita dalle maschere e restituitagli all' uscita. Certo che, in teatro, cane più, cane meno...