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"COSA NOSTRA" È VIVA E VEGETA ED È PRONTA A RIMETTERE IN PIEDI LA CUPOLA: LA PROVA È NEI 181 ARRESTI A PALERMO DOVE SCARCERATI ECCELLENTI E NUOVI BOSS COMUNICAVANO ATTRAVERSO UNA CHAT CRIPTATA CHE ANCORA GLI INVESTIGATORI NON SONO RIUSCITI A BUCARE – A INCASTRARLI SONO STATE LE INTERCETTAZIONI AMBIENTALI DAL QUALE È EMERSO COME I VECCHI PADRINI VOGLIANO RIMETTERE IN PIEDI LA "CUPOLA", RILANCIANDO GLI AFFARI IN DROGA E SCOMMESSE ONLINE, RECLUTANDO I GIOVANI: LA METÀ DEGLI ARRESTATI HA MENO DI QUARANT’ANNI, IL PIÙ GIOVANE HA 19 ANNI…
Estratto dell’articolo di Salvo Palazzolo per "la Repubblica"
Sussurra un vecchio mafioso: «Cosa nostra è come il matrimonio. Ti maritasti sta mugghieri e tà puorti finu a vita». Che tradotto vuol dire: un boss non può divorziare dal clan. «Unica possibilità è che collabori con la giustizia», diceva il pentito Buscetta al giudice Falcone, nel 1983.
Quarantadue anni dopo, arriva una drammatica conferma attraverso le indagini dei carabinieri del nucleo Investigativo: un gruppo di scarcerati eccellenti aveva riorganizzato i clan palermitani, da Tommaso Natale a Porta Nuova, da Pagliarelli a Bagheria. La procura distrettuale antimafia diretta da Maurizio de Lucia ha portato in carcere 181 persone, un blitz senza precedenti nella Sicilia dove lo Stato ha sconfitto la mafia delle stragi. Ma, adesso, sono tornati i vecchi padrini, che guardano avanti.
«Trent’anni fa, si faceva e non si sapeva — diceva un altro boss intercettato dal Ros — ora invece sappiamo tutte cose». I padrini scarcerati sono ossessionati dalle intercettazioni, per questo al momento hanno rinunciato a ricostituire la Cupola, ma sono riusciti comunque a trovare un sistema perfetto per i loro summit: una chat criptata, che ancora nessuno è riuscito a “bucare”. Gli investigatori l’hanno scoperta per caso, grazie a una microspia installata a casa di un mafioso.
Accade che un giorno la chat non funzionava e il mafioso la reinstallò, citando ad alta voce i partecipanti. Così, sono saltati fuori i nomi degli scarcerati eccellenti di Palermo: Tommaso Lo Presti, Nunzio Serio, Guglielmo Rubino, Cristian Cinà, Giuseppe Auteri. I criptofonini sono utilizzati anche dai boss in carcere. Lo Presti seguì in diretta video un pestaggio che aveva ordinato quando era ancora in cella.
«Cosa nostra è viva e presente — dice il procuratore de Lucia alla conferenza stampa — ma la capacità di reazione dello Stato resta forte, nonostante continuiamo a lavorare con una carenza di uomini, in procura mancano 13 sostituti e un aggiunto». Il procuratore Giovanni Melillo, arrivato a Palermo «per sostenere l’importante lavoro dei colleghi», lancia invece l’allarme sul sistema penitenziario: «L’alta sorveglianza, dove sono reclusi i mafiosi, è in mano alla criminalità».
Parole pesanti, che ripercorrono quanto emerge dalle indagini degli ultimi mesi: «Ancora una volta — prosegue il procuratore nazionale — viene fuori l’estrema debolezza del circuito penitenziario che dovrebbe contenere la pericolosità dei mafiosi che non sono al 41 bis».
Intanto, i boss scarcerati hanno già rilanciato gli affari nel settore della droga e delle scommesse online. E hanno lanciato una grande campagna di reclutamento: «Devi essere scaltro e umile», diceva il boss Giuseppe Marano a un apprendista uomo d’onore: «Apriti gli occhi… se semini bene, raccogli». Un altro giovane mafioso, Giancarlo Romano, ucciso nei mesi scorsi, faceva grandi proclami: «Il livello è basso, oggi arrestano a uno e si fa pentito subito... Ma io spero nel futuro di chi sarà più giovane». Parole che suonano come una drammatica profezia.
La metà degli arrestati ha meno di quarant’anni, il più giovane ne ha 19. In manette è finito anche un ventiduenne che proviene da un quartiere difficile di Palermo, aveva trovato nel cinema un’altra possibilità, ma è servito a poco: Gaetano Fernandez aveva interpretato il piccolo Giuseppe Di Matteo nel film Sicilian ghost story di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza. […]