LA NOTIZIA DEL GIORNO: FORSE GIUDA NON ERA UN TRADITORE - SECONDO UN SAGGIO DEGLI EBRAISTI MARCO CASSUTO MORSELLI E GABRIELLA MAESTRI, L’ISCARIOTA AVREBBE CERCATO DI INDURRE I SACERDOTI A RICONOSCERE E CONSACRARE GESÙ COME MESSIA - LE PROVE? L'USO DEL VERBO GRECO CHE DESIGNEREBBE IL COSIDDETTO “TRADIMENTO”, E CHE INVECE INDICA SEMPLICEMENTE UNA “CONSEGNA” - IL CELEBERRIMO BACIO NON SAREBBE PIÙ UN SUBDOLO SEGNO DI RICONOSCIMENTO BENSÌ L'AUGURIO DEL DISCEPOLO AL MAESTRO. E I 30 DENARI...
Roberto Beretta per “Avvenire”
Un rivoluzionario o un traditore. Uno zelota, un appartenente alla setta dei sicari, un segreto complice di Gesù, no: un deicida. Il simbolo stesso del male ovvero lo strumento divino per il compimento della salvezza... Su Giuda Iscariota le arti e la letteratura, lo spettacolo e la storia, la teologia e l'esegesi hanno accumulato in due millenni una serie quasi infinita di tesi, derivanti certamente dalla scarsità di dati - e perciò dalla libertà di interpretazioni - sulla sua figura, ma soprattutto dal mistero intrigante del suo ruolo maledetto eppure per tanti versi necessario (e viceversa).
Dunque cade su terreno già aratissimo il piccolo seme di questo Yehudah Giuda, breve saggio degli ebraisti Marco Cassuto Morselli e Gabriella Maestri (Castelvecchi, pagine 54, euro 9) che definisce da subito la sua posizione nel felice ossimoro del sottotitolo: Il traditore fedele.
L'uomo di Keriot - ecco l'ipotesi, qui subito svelata - avrebbe cercato di indurre il Sinedrio e i sacerdoti a riconoscere e consacrare Gesù come Messia, aderendo di fatto al consenso dimostrato dal popolo al Nazareno nel momento del suo ingresso a Gerusalemme, e sarebbe stato invece egli stesso tradito dalla decisione dei capi ebrei di trasferirlo all'occupante romano: l'unico che aveva il potere di farlo uccidere.
La teoria non è forse inedita (una simile la avanza il romanziere israeliano Amos Oz nel libro del 2014 intitolato appunto al dodicesimo apostolo), ma in questo saggio ha il merito di essere accreditata con alcuni oggettivi riscontri derivati dalle fonti.
La prima è l'uso del verbo greco che designerebbe il cosiddetto 'tradimento', e che invece indica semplicemente una 'consegna'. Giustamente gli autori fanno notare che in un brano della prima Lettera ai Corinzi lo stesso identico verbo viene d'abitudine tradotto in due modi diversi: «Ho ricevuto dal Signore - scrive Paolo - quello che vi ho anche trasmesso; cioè, che il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito... ».
Due versioni per una medesima voce verbale che «non solo nei testi neotestamentari, ma anche in altri scrittori antichi, non significa mai 'tradire', ma sempre soltanto 'consegnare'».
In quei giorni vicini alla Pasqua, la storica attesa messianica del popolo ebraico (della quale partecipavano gli stessi discepoli di Cristo) veniva a coincidere con una serie di situazioni riguardanti il Nazareno che avrebbero potuto accreditarlo davvero come il re atteso: «Gli stessi gesti simbolici - notano Morselli e Maestri che avevano accompagnato il suo ingresso a Gerusalemme (canti, mantelli distesi, rami agitati a festa) mostravano che il popolo lo considerava Re Messia anche prima del riconoscimento e della proclamazione ufficiale da parte delle autorità templarsi con il rito dell'unzione».
E tuttavia l'unzione era necessaria, come indicavano i precedenti biblici per i re di Israele; per questo si può pensare che «l'intenzione di Yehudah possa essere stata proprio quella di far consacrare Gesù in modo regolare da coloro che realmente avevano l'autorità di farlo» (tale ipotesi - è da notarsi en passant - ha anche il pregio di far rileggere in modo del tutto diverso l'episodio appena precedente dell'unzione 'irrituale' di Betania, quando cioè Giuda insorge contro lo spreco della donna peccatrice che versa balsamo su Cristo).
Ma i 30 denari, allora? L'obiezione è inevitabile: se l'intenzione fu la semplice 'consegna' ai sacerdoti per sollecitare l'avvento del regno promesso, perché Giuda avrebbe accettato quel compenso - tra l'altro una somma piuttosto misera?
I due studiosi avanzano qui l'analogia con un passo del libro di Zaccaria, tra l'altro di poco successivo al brano (citato dall'evangelista Matteo) che descrive l'ingresso del Messia a Gerusalemme; in esso il profeta si rivolge a un gruppo di sacerdoti indegni reclamando la sua paga e costoro gli pesano proprio 30 sicli d'argento, che però subito dopo egli stesso - su richiesta di Dio - getta nel tesoro del Tempio…
Un precedente che, nel complesso contesto escatologico in cui viene inserito, ha un significato assai diverso dalla semplice «venalità del traditore (...) ulteriore elemento negativo nei confronti di Giuda».
Se l'Iscariota è dunque un semplice 'consegnatore' - oggi diremmo forse 'facilitatore' - si possono giustificare pure altri particolari del racconto evangelico. Per esempio come mai gli altri undici non si siano ribellati (Pietro era pur armato, si sa) allorché durante l'ultima cena Gesù rivela chi è colui che lo ‘consegnerà'.
Oppure il celeberrimo bacio, che non sarebbe più un subdolo segno di riconoscimento bensì l'augurio del discepolo («Amico», lo definisce in quel contesto Gesù) al Maestro che andava verso la realizzazione del più volte annunciato regno. Caifa e gli altri tuttavia deludono le aspettative di Giuda e a loro volta 'consegnano' il Galileo a Pilato.
A tal proposito gli autori del breve saggio avanzano qualche motivazione, tra cui la più credibile sembra quella che - se avessero davvero unto Gesù come Messia i sacerdoti avrebbero eccitato il popolo a una rivolta anti-romana e dunque provocato la conseguente repressione; invece è «meglio che muoia un solo uomo». Infine si capisce come mai, constatato l'esito completamente rovesciato delle sue azioni, l'Iscariota disperato abbia scelto di uccidersi.