ramy shehata ousseynou sy bus dirottato

“QUANDO QUELL'UOMO ERA AL VOLANTE HO FATTO LA PRIMA CHIAMATA AI CARABINIERI”. PARLA RAMY SHEHATA, IL 14ENNE CHE HA SALVATO I 50 OSTAGGI DEL BUS DIROTTATO A MILANO: “NON HO SAPUTO SPIEGARE DOVE ERAVAMO, MA HO DATO UN AVVERTIMENTO. POI L’AUTISTA HA FRENATO, SI E’ FIONDATO VERSO LE ULTIME FILE E HA VERSATO ANCORA GASOLIO. PENSAVO MI AVESSE SENTITO CHIEDERE AIUTO, ALLORA QUANDO HO FATTO LE ALTRE TELEFONATE A MIO PAPÀ HO PARLATO IN ARABO USANDO IL TONO DELLE PREGHIERE, HO FINTO DI PREGARE..."

1 - RAMY, IL RAGAZZINO EROE «SOGNO LA CITTADINANZA» DI MAIO SCRIVE AL VIMINALE

Elisabetta Andreis per “il Corriere della Sera”

 

RAMY SHEHATA

«Se mi daranno davvero la cittadinanza italiana sarò felice. Per essere schietti, è il mio sogno. Ma allora dovrebbero darla anche a mio fratello e ai miei compagni di classe di origini straniere che vivono in Italia da tanto tempo e magari sono pure nati qui». Così ragiona Ramy Shehata, il quattordicenne che mercoledì mattina con il suo sangue freddo ha salvato cinquanta «ostaggi» a bordo del bus dirottato alle porte di Milano.

 

Ad auspicare la concessione della cittadinanza per merito era stato per primo il padre Khalid, arrivato in Italia dall'Egitto nel 1996. Luigi Di Maio ha rilanciato l'idea scrivendo una lettera di formale richiesta ai Ministri dell'Interno e degli Affari esteri. Il Viminale valuta la situazione pronto a farsi carico delle spese e velocizzare le procedure. Ramy «l'italiano» è emozionato.

 

Rivive quei momenti di coraggio ma rifiuta il ruolo del goleador. Si trincera dietro lo spirito di gruppo, anzi di classe: «Siamo stati tutti in gamba, tutti uguali e tutti insieme», dice. Guai a dargli torto. Mercoledì ore 11. L'autista guida come un pazzo, le porte del bus sono chiuse con i lucchetti, dentro la puzza di gasolio è nauseabonda, lui delira di dover vendicare le «figlie» morte nel mare del Mediterraneo.

 

Frena bruscamente, intima di consegnare i cellulari. «Ho visto una mia compagna che è scoppiata a piangere, ho pensato a quando gioco a calcio nel ruolo di difensore e siamo in difficoltà - racconta semplice come solo gli adolescenti sanno fare, aggiustandosi il ciuffo di capelli nerissimi -. Allora ho "scartato", cioè ho deciso di disobbedire e non consegnarlo. Come tattica».

 

RAMY SHEHATA

Quando l' autista è tornato al volante, Ramy ha fatto la prima chiamata ai carabinieri. «So il numero perché da grande voglio fare il loro lavoro». Vuoi diventare carabiniere? «Sì, per aiutare gli altri e per essere rispettato. Carabiniere o farmacista», precisa, ancora con in corpo l' adrenalina di chi ha sfiorato la morte. Alle forze dell' ordine non ha saputo spiegare esattamente dove erano, ma ha dato un primo preziosissimo avvertimento. Altra brusca frenata. L' autista si fionda verso le ultime file, versa ancora gasolio: «Pensavo mi avesse sentito chiedere aiuto, allora quando ho fatto le altre telefonate a mio papà ho parlato in arabo usando il tono delle preghiere, ho finto di pregare, per sentirmi più sicuro».

 

I compagni «aumentavano il casino per coprire la mia voce, chi urlava, chi era disperato..». Eppure nel mezzo di quell' ora da incubo tre ragazzini - un congolese, un marocchino, un egiziano, tutti ancora senza cittadinanza anche se nati in Italia, proprio come Ramy - hanno trovato spazio per opporre alle parole dell' aguzzino l' integrazione riuscita delle loro famiglie. «Ci hanno sempre trattato bene», «Qui siamo tutti buoni».

 

RAMY SHEHATA

Ennesima frenata brusca. Il telefono di Ramy cade per terra, nel pullman. Lo raccoglie Ricky, lo passa ad Adam che chiama di nuovo chiedendo soccorsi. Riesce a fare localizzare il bus. Un blitz bambinesco nato da quel piccolo grande eroismo di squadra. Un altro ragazzino ha dichiarato a «Un giorno da pecora» su Radio 1 di essersi perfino offerto come volontario per stare vicino all' aguzzino («altrimenti minacciava di far saltare in aria il bus ..»). I racconti dei testimoni sono confusi. Arrivano i carabinieri, rompono i vetri, i ragazzini si catapultano giù. «Una compagna di 2 B piangeva, non vedeva il gemello. Stanno nella stessa classe ma lui non era ancora sceso dal pullman. L'ho abbracciata, tenuta stretta».

 

IL BUS SEQUESTRATO DA OUSSEYNOU SY

Scene di affetto, mescolanza naturale, «le origini da Paesi diversi cosa c' entrano? Siamo tutti misti», assicura il quattordicenne. Suo padre lo guarda. Da mercoledì ha ricominciato a chiamarlo «bambino», «vorrei proteggerlo sempre». In realtà lui si è protetto da solo: «Ha fatto il suo dovere», ribatte ancora l'uomo. Ha sempre lavorato come operaio ma da un po' di tempo è rimasto disoccupato, mentre la moglie ha una pensione di invalidità con cui pagano l' affitto nella casa popolare.

RAMY SHEHATA

 

Arrivato nel 1996 da solo, «in cerca di lavoro e futuro», ha avuto il permesso di soggiorno nel 1998. Nel 2001 si è trasferito a Crema ma sua moglie stava ancora in Egitto e lì è nato il primogenito, nel 2002. Tre anni dopo invece, quando è arrivato Ramy, erano tutti riuniti. «In Italia abbiamo trovato una certa felicità, anche se la vita è difficile - insegna quest' uomo -. L' integrazione te la guadagni con il sudore della fronte e quando l' hai ottenuta vuoi che sia riconosciuta. La cittadinanza è un segno formale importante».

IL COLTELLO USATO DA OUSSEYNOU SY

 

2 - "RINGRAZIERÒ SALVINI MA POI GLI DIRÒ CHE CI SONO ANCHE AFRICANI BUONI"

Massimo Pisa per “la Repubblica”

 

Oggi, dice, sarà da Salvini. «Sì, mi hanno chiamato. Vuole incontrarci, me e la mia famiglia». E cosa gli dirai, Rami? «Lo ringrazierò, se è vero che accelererà le pratiche per la cittadinanza». E poi? «E poi: non prendertela con gli africani, ne conosco tanti di buoni, che si comportano bene. Anche gli italiani fanno cose brutte». Altro? «Di togliere la cittadinanza a quello là, al guidatore». Ci pensa su. «In fondo sono dispiaciuto per lui, si è rovinato la vita. Però, noi cosa c' entravamo coi suoi problemi? E lui, che cosa ci ha guadagnato? Ha bruciato un pullman, ce ne sono altri cinquanta».

 

SEQUESTRO DEL BUS - Ousseynou Sy

Fa una smorfia, il 13enne della II B della media Vailati, sguardo svelto, felpa blu con l'icona stilizzata di Michael Jordan. È il giorno dei taccuini, delle interviste, della notorietà. Papà Khaled ha scelto una cravatta rossa e la giacca scura. L'amico Sherif paga i caffè e i cappuccini sotto i portici di fianco alla cattedrale. Khalid, il papà di Adam, l'altro telefonista del pullman dirottato, è fuori a stringere mani. Piazza Duomo, per una volta, è tutta per loro.

 

OUSSEYNOU SY sequestro bus

La prima cosa bella In questa storia di piccoli e grandi eroismi, quello di Rami ha un lato privato. E tenero: «Quando il guidatore ci ha minacciato, ci siamo messi tutti a urlare. Quelli che hanno la fidanzata o il fidanzato, dicevano: ti amo, ti amo. Io ho pensato a mettere in salvo, più protetta sul sedile, una ragazza. Una di seconda A. Gliel' ho detto...». La fidanzata? Arrossisce. «No, anche in passato glielo avevo detto, ma lei... Però stavolta me lo ha detto anche lei». Allora vi fidanzate? Agita la mano: chissà. «Però il nome non lo dico». Comunque la telefonata che ha salvato tutti, partita alle 11.27 di mercoledì, l' ha fatta davanti a lei. «Ho chiamato tutti. Prima il 112, dicendo dov' eravamo, cosa stava succedendo, che ci aveva rapiti, con la pistola. Poi papà, parlando in arabo. Poi una prof, la coordinatrice, solo che non mi ha risposto. Dopo mi ha chiesto scusa, non sapeva fossi io».

RAMY SHEHATA

 

La scuola Piace, a Rami. Ancora di più, adesso. «Sai cosa? Ho scoperto che siamo una bella classe. Che siamo uniti. Anche i compagni che mi stavano antipatici. Anche i prof, abbiamo scoperto che ci vogliono bene. Certo, pure quelli che erano sul pullman. Pure Tiziana la commessa che era bordo». E che in mattinata era tornata alla Vailati. Dolorante, commossa, a pensare ai bambini: «Dio ci ha guardati».

 

Ad abbracciare la dirigente Cristina Rabbaglio, la sindaca Stefania Bonaldi. Sono attesi, Rami e gli altri, da un percorso con gli psicologi. E la pagella? «Media del 6 e 7, dai. Mi piace matematica. Un po' meno italiano». Ma ti senti italiano, tu che sei nato a Milano? Contrae il labbro. «Diciamo metà e metà». Casa e famiglia Il primo era stato papà Khaled, arrivato nel '96 e regolare dal '98: «Dalla provincia del Cairo - racconta - e nel 2003 sono riuscito a fare arrivare la famiglia. Mi ero già trasferito, da Castelvetro a Crema, nel 2001».

san donato milanese sequestro del bus ousseynou sy 2

Quando era nato Amro, il primogenito quasi diciottenne, che fa la terza Scientifico e ci dà dentro con i guantoni, in palestra. «Qui in Italia sono stato sempre bene. Tutta gente brava. Se torno in Egitto, sto un mese e poi torno qui».

 

L' appartamento è al secondo piano di un condominio Aler di periferia, affacciato su un prato con una scivola e un' altalena, l' erba alta, le sciure a lamentarsi tra la panchina e i dondoli. Casa di Rami è quella con i panni stesi accanto alla parabola, ma è vuota. Mamma El Thama Haddad è in dialisi, a curarsi. «Io facevo l' operaio - sospira Khaled - montavo tende e zanzariere, ma da due anni non lavoro. Ci aiutano».

 

ramy shehata con il padre e i carabinieri

Futuro e passioni Diventare farmacista come Islam, zio materno di Rami rimasto in Egitto, è uno dei suoi due sogni: «Mi ha fatto vedere come si fa, le ricette, le medicine.

Vorrei un giorno aprirne una». Il presente è pallone e musica. «Gioco in oratorio, alla Excelsior. E la maglia di Dybala, quella della Juve, è l' unica cosa che ho appeso in camera».

 

ap, hip hop, trap, ascolti quasi obbligati per un tredicenne contemporaneo.

san donato milanese sequestro del bus

«Ascolto le canzoni di Capo Plaza e di Sfera Ebbasta. E poi Drefgold, sai come si scrive?». Mahmood, l' egiziano di Milano? «Certo, anche lui. Ho esultato quando ha vinto Sanremo». L' altro sogno di Rami è di fare il carabiniere: «Ma anche prima di mercoledì. Poi ci è capitata questa cosa, e io pensavo che sarei morto. Sì, anche a salvare gli altri, a calmarli. È vero, avevo chiamato papà, sapevo che sarebbero arrivati ma mi sono messo a pregare. In arabo, sono musulmano. Ecco, quando sono arrivati i carabinieri e ci hanno salvati, mi sono sentito come se io avessi salvato la gente».

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