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PARMACOTTO A PUNTINO - LA PROCURA SEQUESTRA 11 MILIONI DI EURO AL GRUPPO “PARMACOTTO” E INDAGA IL PATRON MARCO ROSI PER TRUFFA AGGRAVATA AI DANNI DELLO STATO - L’ACCUSA E’ DI AVER FALSIFICATO IL BILANCIO DEL 2010, OCCULTANDO PERDITE PER 12 MILIONI, PER ACCEDERE A UN FINANZIAMENTO PUBBLICO DELLA SIMEST

Maria Chiara Perri per www.repubblica.it

 

marco rosi e il figlio alessandro durante il blitz della finanza marco rosi e il figlio alessandro durante il blitz della finanza blitz alla parmacottoblitz alla parmacotto

Correva l'anno 2010 e Parmacotto era ancora un nome altisonante dell'industria alimentare italiana. Il patron Marco Rosi, un esponente influente dell'Unione Parmense industriali ( presidente Upi dal 1992 al 1998) e conseguentemente un pezzo grosso anche a livello di politica locale e nazionale con Forza Italia.

 

Ma la crisi che avrebbe condotto l'azienda sull'orlo di un debito di 100 milioni di euro aveva già cominciato a mordere. Oggi la notizia che quel dissesto è stato coperto con artifici contabili: la Procura ha disposto il sequestro di 11 milioni di euro di beni aziendali e ha indagato Marco Rosi per truffa aggravata ai danni dello Stato.

 

I conti della Parmacotto non erano più solidi, già sei anni fa si registravano consistenti perdite di esercizio. Gli ex amministratori tentarono allora la carta dell'iniezione di denaro pubblico: chiesero un finanziamento da 11 milioni di euro a Simest, l'agenzia del Ministero dello Sviluppo economico controllata dalla Cassa depositi e prestiti che si occupa di sostenere gli investimenti, soprattutto all'estero, dell'industria alimentare italiana.

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Stringenti i requisiti per accedere alla partecipazione pubblica: l'azienda dev'essere sana e redditizia. Parmacotto presentò un bilancio relativo all'anno 2010 falsificato, in cui non comparivano costi di produzione per oltre 12 milioni di euro. Con un piano di sviluppo definito dagli inquirenti "irrealizzabile", l'azienda ebbe accesso nel settembre 2011 a un finanziamento da 11 milioni.

 

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Questa la somma che nella mattinata di lunedì è stata posta sotto sequestro dagli uomini della Guardia di Finanza di Parma su disposizione urgente della Procura, ai sensi della legge 231/2001 sulla responsabilità civile delle imprese.  Sono stati bloccati beni e liquidità della società che mercoledì 6 luglio, tra due giorni, ha fissata l'udienza per l'omologa del concordato preventivo in continuità già approvato dai creditori. Il sequestro di oggi potrebbe far saltare tutto: il fallimento, che sembrava scongiurato, torna ad essere più di uno spettro.

 

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Le Fiamme Gialle, coordinate dal pm Paola Dal Monte, indagano per i reati di truffa aggravata ai danni dello Stato e per false comunicazioni sociali (quest'ultimo reato, risalente al 2010, dovrebbe cadere presto in prescrizione). Sono due gli ex amministratori della Parmacotto iscritti nel registro degli indagati. Entrambi non fanno più parte della compagine societaria. L'attività dell'azienda, che proprio in questi mesi ha subito una consistente ristrutturazione con tagli e riduzione del personale, prosegue ora sotto il controllo di un amministratore giudiziario.

 

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Gli approfonditi accertamenti sui bilanci aziendali e sulla contabilità fiscale hanno fatto emergere artifici contabili, false attestazioni e la falsificazione di un bilancio annuale d’esercizio per nascondere la reale situazione economico-patrimoniale. I presupposti per un'indagine per bancarotta fraudolenta ci sono tutti, anche se Parmacotto dovesse scampare al crac. La situazione di dissesto latente è esplosa nel 2014, quando la società si è vista costretta a ricorrere alla procedura del “concordato preventivo in continuità”, per le enormi perdite non più occultabili.

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Il sequestro di stamattina, notificato dal uomini della Guardia di Finanza nello stabilimento del Botteghino all'ex patron Marco Rosi, mira a recuperare il denaro pubblico che l’azienda ha ricevuto indebitamente sotto forma di aumento del proprio capitale sociale. Nel caso della Parmacotto si sarebbe trattato di un “salvataggio” pubblico assolutamente vietato dalla legge: gli interventi pubblici possono riguardare solo aziende in crescita, e soprattutto con conti in regola e non taroccati.

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