PASTICCIO ALL’ITALIANA - METÀ CASA VIETATA, L' ALTRA METÀ NO: LE VITE SOSPESE DEGLI SFOLLATI DI GENOVA - LA STORIA EMBLEMATICA DI UNA FAMIGLIA CHE ABITA A POCHE DECINE DI METRI DAL PONTE CROLLATO: ALCUNE STANZE DELL' ABITAZIONE RIENTRANO NELLA ZONA ROSSA, ALTRE IN QUELLA ARANCIONE (NON PROIBITA): “QUALCUNO CI AIUTI, VIVIAMO NELLA PAURA”
MARCO BARDESONO per Libero Quotidiano
Un pasticcio all' italiana e se non si trattasse di una tragedia si potrebbe ironizzare senza scadere nel sarcasmo. La vicenda riguarda la signora Fina Scimone, 58 anni, la sua famiglia e altri tre nuclei che abitano a Genova in via Porro e in via Fillak, a poche decine di metri da quel che resta del viadotto Morandi crollato lo scorso 14 agosto.
Nel tracciare la zona rossa, off limits per i residenti che vivono nei palazzi di quelle strade, due edifici sono stati tagliati a metà: da una parte sono inagibili, mentre nell' altra (che cade entro i confini della zona arancione) si può abitare più o meno serenamente.
C' è però chi, come la signora Fina, ha il soggiorno e l' entrata dell' appartamento agibili, mentre nelle stanze da letto e in bagno è vietato entrare. «Un pasticcio, sì», dice la donna, «che mi obbliga a stare qui con mio marito e i miei figli. Per noi, che non siamo tra gli sfollati, perché in casa possiamo entrare, il disagio è all' ordine del giorno». Infatti la signora spiega che è molto complicato vivere «senza utilizzare il bagno di casa, oppure senza poter aprire il guardaroba che si trova nella stanza da letto».
Aggiunge che «se stendo la biancheria e mi cade una camicia nel cortile, io non la posso prendere perché lì non ci posso andare». Una difficoltà, questa, al quale ha cercato di ovviare il marito Gaetano Migneni: «Ho preso una lunga canna di bambù e al vertice ho applicato un uncino. Così se qualche capo di biancheria cade, mia moglie lo può recuperare dalla finestra».
Il loro appartamento, infatti, non è ai piani alti, ma all' ammezzato di via Porro, al civico 3. «I primi 4 giorni», racconta la donna che è casalinga, «siamo stati ospitati in un residence, poi ci hanno detto che potevamo tornare a casa e qui abbiamo scoperto che non solo il nostro palazzo è sul confine tra la linea rossa e quella arancione, ma anche il nostro alloggio».
Fina e Gaetano sperano che questa situazione di incertezza termini quanto prima: «A questa casa ci sono affezionata», dice la donna con voce tremula, «l' abbiamo sudata. Abbiamo contratto il mutuo e onorato ogni rata con sacrificio. Qui sono nati i nostri figli, da qui ogni mattina all' alba partiva mio marito per recarsi al lavoro e ora che è in pensione, sperava in una esistenza più serena».
VOGLIA DI SCAPPARE Una casa che per la famiglia Migneni è un punto di riferimento, il simbolo di una vita, un autentico focolare domestico: «Ma a questo punto ce ne vogliamo andare», dice Fina Scimone. «Dopo quello che è accaduto, un ponte che ti cade sulla testa e una casa dove non sei più libera di muoverti come vorresti, si vive con angoscia e senza sapere cosa accadrà in futuro.
Ma per noi il futuro non è lontano, è domani, il prossimo mese, l' anno nuovo che verrà». Fina coltiva una speranza: «Che ci diano un po' di soldi, giusto il valore del nostro alloggio e ce ne andiamo. Che abbattano tutto, quel che resta del ponte e queste case pericolanti. Ma chi ha il coraggio di rimanere qui dopo la costruzione del nuovo viadotto? Io non me la sento più di vivere con un ponte sopra la testa».
Via di qui. La famiglia Scimeni sogna una nuova esistenza, ma non diversa dalla prima: «Vogliamo tornare a fare le cose di sempre, ma senza patemi». Fina vuole abbracciare la figlia Valentina di 22 anni ogni santa mattina quando si reca al lavoro al mercatino dell' usato e vuole preparare il baracchino delle pietanze per il figlio Fabio (20 anni) che è impiegato alla Ekom. Poi vuole godersi suo marito: «Passeggiare insieme sul lungomare, andare al centro commerciale per vedere le vetrine e fare le compere. Ma mica chiedo la luna».
ANZIANI DA ASSISTERE No, non chiede l' impossibile e neppure di tornare da dove Fina era giunta molti anni fa come migrante, lasciando il suo paese in Sicilia: «Lì non ho più nessuno, solo mia suocera è ancora viva, ma abita a Genova. È molto anziana», dice la donna, «e ha bisogno di assistenza.
Ma da quando è crollato il viadotto è diventato tutto più difficile. Per spostarmi devo prendere più di un mezzo, percorrere lunghi tragitti a piedi, anche carica delle borse della spesa. Gaetano mi aiuta, ma non siamo più due ragazzini. Che ci diano un po' di soldi, lasciamo la casa e ce ne andiamo via. Vogliamo dimenticare questo ultimo mese di sofferenze, di disagi e di paure».