VUOI VEDERE CHE L’ASPIRINA CI AIUTERA' CONTRO L’ALZHEIMER? - LA SCOPERTA DEI RICERCATORI: L’ACIDO ACETILSALICILICO, IL PRINCIPIO ATTIVO DELL’ANTINFIAMMATORIO, RIDUCE LE PLACCHE NELLE REGIONI CEREBRALI COLPITE DALLA MALATTIA – AD OGGI NON C’È UNA CURA PER L’ALZHEIMER, E L’ASPIRINA POTREBBE RIUSCIRE A…
Viola Rita per www.repubblica.it
Non solo mal di testa, febbre, influenza e altri stati infiammatori, l'acido acetilsalicilico – l'antinfiammatorio noto come aspirina – potrebbe essere utile anche nell'Alzheimer. Ad affermarlo è un nuovo studio neuroscientifico, guidato dalla Rush Medical University: la ricerca, su modello animale di topo, mostra che il popolare farmaco favorisce lo smaltimento di sostanze tossiche per il cervello, come le placche amiloidi, accumuli che distruggono le connessioni fra cellule nervose e che rappresentano una delle principali manifestazioni dell'Alzheimer. I risultati sono pubblicati su The Journal of Neuroscience.
LO STUDIO
I ricercatori hanno somministrato acido acetilsalicilico orale a basse dosi in un campione di topi con Alzheimer per un periodo di un mese. In seguito hanno valutato la quantità di placche amiloidi nelle regioni cerebrali maggiormente colpite dall'Alzheimer.
In base ai risultati, dopo il trattamento con l'aspirina, tali placche erano diminuite. Gli autori hanno anche individuato il possibile interruttore di questo fenomeno. Al centro del meccanismo c'è una proteina, chiamata TFEB, considerata il principale controllore della rimozione degli “scarti”, come gli accumuli di beta amiloide.
Per svolgere questo ruolo la proteina TFEB stimola la produzione di altre sostanze, dette lisosomi, che sono vescicole presenti nelle cellule preposte all'eliminazione dei rifiuti, come veri e propri “spazzini biologici”.
In pratica, l'acido acetilsalicilico aumenta i livelli della proteina TFEB e dunque la produzione di lisosomi: un processo a cascata che porterebbe alla riduzione delle placche, secondo i risultati dello studio.
Questo fenomeno è stato osservato soprattutto nell'ippocampo, un'importante regione del cervello associata alla memoria. L'attivazione di questo meccanismo cellulare per la rimozione di elementi nocivi per il cervello, spiegano gli autori, potrebbe essere una strategia promettente per rallentare la malattia.
“Lo studio, pubblicato su una rivista prestigiosa come The Journal of Neuroscience, è interessante - commenta Gianfranco Spalletta, responsabile del Centro per i Disturbi cognitivi e le Demenze dell'IRCCS Santa Lucia, non coinvolto nello studio - perché identifica un meccanismo con cui l'acido acetilsalicilico agisce, in cellule di topo, sul precursore della beta amiloide, riducendo le placche caratteristiche”.
Il risultato è preliminare e su cellule animali, sottolinea l'esperto, ma fornisce un nuovo elemento di comprensione della malattia.
L'ACIDO ACETILSALICILICO
Che questo composto faccia bene anche al cervello era noto già da vari anni, sottolinea Spalletta: l'acido acetilsalicilico, assunto e indicato per patologie diverse dall'Alzheimer, ha effetti collaterali benefici anche nel prevenire la demenza.
“Il composto fluidifica il sangue ed è prescritto in vari pazienti a rischio cardio e cerebrovascolare – spiega l'esperto –. In particolare la fluidificazione del sangue previene la formazione di micro-lesioni cerebrovascolari, che sono potenzialmente dannose sia per l'insorgenza di eventi cardiovascolari come l'ictus, sia, a livello collaterale, per lo sviluppo di malattie neurodegenerative, come le demenze, in pazienti che hanno fattori di rischio per queste patologie”.
Un altro aspetto interessante, prosegue l'esperto, è che l'acido acetilsalicilico blocca l'azione di un enzima, chiamato GAPDH, che favorisce lo stress ossidativo delle cellule – aggiunge l'esperto.
“Bloccando questo enzima – conclude Spalletta – il farmaco svolge un effetto preventivo rispetto alla morte cellulare, l'effetto finale con cui si manifesta l'Alzheimer”.
Così, la strada dell'aspirina potrebbe portare vantaggi non solo per le malattie cardiovascolari, ma anche per le demenze, che colpiscono più di un milione di italiani.
Ad oggi, esistono terapie per rallentare la progressione di queste malattie, ma non c'è una cura risolutiva: in questo quadro, conoscere i fattori di rischio e studiare nuovi percorsi per prevenire o trattare ancora meglio la malattia può essere un elemento chiave.