elefanti big

A MEMORIA DI ELEFANTE - PER PASSARE DA ELEFANTE A ELEFANTE NANO CI SONO VOLUTE 40 GENERAZIONI: IN SICILIA UN GRUPPO DI SCIENZIATI INTERNAZIONALI HA ESTRATTO IL DNA DAL CRANIO DI UN ESEMPLARE NANO E HA SCOPERTO CHE DISCENDE DA UN ELEFANTE CONTINENTALE VISSUTO 400 MILA ANNI FA - IL PACHIDERMA E' ARRIVATO SULL'ISOLA PROBABILMENTE NEL PERIODO DELLE GLACIAZIONI, ATTRAVERSO UN PONTE DI GHIACCIO E...

Peppe Aquaro per il Corriere.it

 

'elefante nano

È un po’ come nel film “Downsizing”, dove Matt Damon si miniaturizza in pochissimi secondi per ridurre l’impatto globale rappresentato dall’uomo. Ma, nel caso degli elefanti nani, la fantascienza c’entra poco e i tempi sono sicuramente diversi. È tutta una questione di evoluzione della specie. O di involuzione, a seconda dei casi.

 

E come succede spesso per le «novità estive», anche la recente notizia riportata dal New York Times relativa alla ricerca scientifica sugli effetti dell’isolamento nell’evoluzione della specie degli elefanti, ha qualcosa di sorprendente, e, allo stesso tempo, anche di «già sentito». Perché, tutto nasce in una grotta, quella dei Puntali, a due passi da Carini, vicino Palermo.

 

Nella grotta di Gemellaro

Una grotta esplorata in lungo e largo già dalla fine del 1800 e dove sono stati ritrovati diversi resti di elefanti nani. Compreso il cranio numero 3, il prezioso reperto conservato al Museo di geologia, intitolato a Gaetano Giorgio Gemellaro, colui che per primo scoprì e studiò i resti ossei degli elefanti nani nella grotta.

 

Il cranio di elefante da cui e? stato estratto il Dna

«Gli elefanti fossili siciliani sono noti da tempo, tanto da aver dato origine ad alcuni miti legati all’isola di Sicilia e ai suoi primi abitatori. Non è infatti casuale che i ciclopi di Omero fossero giganti con un solo occhio (la fossa nasale dell’elefante) e non è pure casuale che abitassero in grotte, se si considera che proprio dalle grotte proviene la maggior parte dei fossili di elefanti pleistocenici siciliani». È scritto proprio così in una pagina di presentazione sui musei e le collezioni dell’Ateneo dell’università di Palermo.

 

Non solo in Sicilia

Ma la novità della ricerca scientifica portata avanti da Sina Baleka, paleogenetista alla McMaster University in Canada, in collaborazione, naturalmente, con il museo «Gemellaro», è che, servendosi di un calco di elefante nano proveniente da un passato remotissimo, si è capito quanto tempo ci è voluto perché il normale elefante, sull’isola, si evolvesse fino a diventare un «elefante nano»; quindi si capisse in che modo le specie siano influenzate dall’isolamento geografico.

 

Sina Baleka, paleogenetista

La domanda di partenza era stata proprio: in quanto tempo dei mammiferi così massicci si sono rimpiccioliti fino ad assumere la dimensione di un cavallo o di un animale alto al garrese non più di un metro e novanta (le stesse misure di uno scheletro di elefante nano esposto nel museo palermitano)?

 

L’età dell’elefante nano

«Entrano in campo metodologie temporali che si rifanno sia alla paleogenetica che alla paleontologia, o addirittura alla geocronologia», afferma Baleka. È il bello di questa ricerca condotta un po’ in tutto il mondo, tra Canada, Inghilterra, Germania, Olanda e Palermo, pubblicata in queste ore su ScienceDirect, e dove tutti hanno potuto aggiungere un prezioso tassello alle conclusioni.

 

Come Johanna L.A. Paijmans, coautrice e ricercatrice di Paleogenomica all’università di Cambridge: «Siamo stati in grado di definire il tasso di nanismo con molta accuratezza: sicuramente inferiore a 350.000 anni». E molto più inferiore, a sentire Victoria Erridge, anche lei coautrice della ricerca e biologa nutrizionista al Museo di Storia naturale di Londra: «L’elefante nano potrebbe essersi sviluppato nel giro di 1.300 anni, qualcosa come quaranta generazioni».

 

Dal gigante al discendente

Lo scheletro di un elefante

Una scoperta resa possibile perché, per la prima volta, si è riusciti a tirar fuori dal cranio numero 3 della Grotta dei Puntali, il Dna. «Si è trattato di un vero e proprio viaggio nel tempo: ricavando il Dna dall’osso petroso fossilizzato, abbiamo scoperto che discendeva dal Palaeoloxodon antiquus, un elefante continentale vissuto 400 mila anni fa, che pesava dieci tonnellate ed era alto poco meno di quattro metri. Come è arrivato fino in Sicilia? A seguito delle glaciazioni, è possibile che esistesse un ponte di terra che collegasse l’isola al resto del continente», spiega Carolina Di Patti, curatrice e responsabile del settore vertebrati del museo «Gemellaro», pienamente coinvolta nella preziosa ricerca intorno al cranio del «piccolo elefante», il cui Dna era quasi impossibile che si riuscisse ad estrarre, in quanto inizia a degradarsi già al momento della morte e sopravvive meglio nei climi ghiacciati, più che in quelli mediterranei. Un altro piccolo, grande regalo di una terra come la Sicilia.

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