MARE NERO - IL PILOTA CHE HA SALVATO 30 VITE: “NON AVEVO MAI VISTO NULLA DI SIMILE” - LA MOGLIE DELLA VITTIMA: ‘’MIO MARITO È MORTO DI FREDDO PER SALVARMI. MI HA FATTO SCUDO COL SUO CORPO, UNA VOLTA FINITI IN ACQUA”

1. IL PILOTA CHE HA SALVATO 30 VITE

Virginia Piccolillo per il “Corriere della Sera

 

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«In vent’anni di volo non avevo mai visto una cosa simile. La nave era avvolta dalle fiamme. Ce n’erano quasi ovunque, tranne che nella piccola parte del ponte dove c’erano i naufraghi. Le onde che la scuotevano. Il fumo che saliva». 
 

Antonio Laneve, 44 anni, pilota del 36° stormo dell’Aeronautica, ieri ha portato in salvo dal traghetto in fiamme trenta passeggeri. Inclusi tre bambini e un cagnolino. E non dimenticherà mai questa missione. 
 

Cosa l’ha più toccata? 
«Una mamma, che è arrivata con il bimbo piccolo in braccio, ci ha accarezzato e ci ha scongiurato di continuare. “Ci sono ancora i miei due figli a bordo. Sono piccoli anche loro. Vi prego. Tornate a prenderli. Vi scongiuro: salvate i miei figli”. Ma l’elicottero ha dei limiti. Non potevamo caricarlo di più. Comunque tutti stanno dando il massimo per salvarli tutti». 
 

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Come l’avevate tirata su? 
«Con il verricello, come gli altri, le condizioni del mare non consentivano altri metodi. Li abbiamo fatti salire nel cesto per maggiore sicurezza. Ma arrivavano spaventati, lo sguardo nel vuoto, i bambini piangevano. Ce n’era uno ferito». 
 

Come hanno reagito quando siete arrivati? 
«Abbiamo dovuto vincere la paura che avevano di salire. C’era vento, il cesto ondeggiava, erano un po’ sotto choc, non si fidavano e anziché avvicinarsi si allontanavano. Almeno all’inizio». 
 

Poi? 
«Poi c’è stata la reazione opposta quando è cominciato a scendere il buio. Allora tutti si accalcavano, cercavano di farsi largo per passare prima. Ma l’equipaggio mi pare facesse un buon lavoro, facendo salire prima mamme e ragazzi». 
 

norman atlantic operazione di salvataggio 7norman atlantic operazione di salvataggio 7

Cosa ha pensato quando era sopra la nave? 
«Non avevo mai visto niente di simile. Mancava una zona libera dalle fiamme, dove compiere i soccorsi. Tranne la prua dove erano stati raccolti i passeggeri. Poi ho visto i ragazzi, i bambini, e, da padre, ho subito pensato a loro. Abbiamo fatto tutto quello che potevamo. Ma le macchine pongono dei limiti. Altrimenti saremmo andati avanti a oltranza». 
 

Qual è stato il momento più critico? 
«Nella seconda missione. Quando iniziava a diventare buio. La nave aveva già un’inclinazione di 5 gradi. Le fiamme erano state in gran parte spente ma il fumo iniziava a risalire e noi ce lo siamo ritrovato tutto all’interno dell’elicottero. Come se avesse preso fuoco. Si soffocava, ma non avevamo tempo per indossare le maschere. La nostra preoccupazione era solo vedere attraverso quella coltre per recuperare le persone». 
 

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Quanto vi ha ostacolato il vento? 
«Moltissimo. Fino a che la nave non è stata agganciata dal rimorchiatore e fermata con la prua nella direzione delle raffiche. Non è bello, c’è sempre il pericolo di finire in acqua e trovarsi intrappolati in una gabbia. Ma non pensi a quello nel momento dei soccorsi. Solo al fatto che è più difficile il recupero. Anche se siamo addestrati alle emergenze». 
 

A questo tipo di emergenze? 
«Beh, di interventi ne facciamo tanti. Ma sono per lo più con navi in avaria, persone colpite da ictus o comunque da trasportare in fretta in ospedale, interventi notturni con i visori sul casco.

 

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Poi ci sono le simulazioni, magari di un aereo caduto in mare con i passeggeri da soccorrere e con altre forze con cui coordinarci. Ma una situazione così catastrofica era difficile anche da immaginare. Vorresti fare tanto, non vorresti più smettere, e quando ti fanno tornare per il cambio ti resta la sensazione amara che avresti dovuto salvarne di più». 

 

2. LE VOCI DEI SOPRAVVISSUTI, LA MOGLIE DELLA VITTIMA: é MORTO PER SALVARE ME

Fabrizio Caccia per il “Corriere della Sera

 

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La lotteria dei soccorsi ha spezzato in due le famiglie, figli evacuati con gli elicotteri e madri portate sui mercantili, chi è finito in Italia e chi in Grecia e nuova angoscia, perciò, cala adesso sul volto dei salvati. Ma finalmente alle nove di sera la piccola Maria, dodici anni, ritrova il sorriso e forse è questa, davvero, la notizia del giorno, perché la vita alla fine ha sconfitto la tempesta, il fuoco e la paura. 
 

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La ragazzina, distesa sul lettino del reparto di Pediatria a Copertino, riesce a parlare al telefono prima con sua madre rintracciata in Grecia e poi con sua nonna che vive a Molfetta. Il suo viso s’illumina: «Nonna sono viva, presto, vienimi a prendere», quasi grida al cellulare che le porge Anna Caputo della Prefettura di Lecce. La bambina (il nome è di fantasia) è figlia di Michele Lazzizera, direttore di macchina della Norman Atlantic e con mamma Rosa e l’altro fratellino aveva seguito suo padre per passare tutti insieme il Natale.

 

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Il suo racconto è quello di una nave intera: «Stavo dormendo, mi ha svegliato il suono della campanella dell’allarme, tutti correvano per la paura del fuoco, anch’io l’ho visto il fumo e le fiamme salire, così mi sono subito messa a correre verso il punto di raccolta della scialuppa più vicina. I marinai ci hanno calato giù, faceva un freddo tremendo, non si vedeva niente, abbiamo atteso nel silenzio per ore, piangendo e pregando, finché abbiamo sentito in cielo gli elicotteri...». 
 

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«Dall’alto hanno calato le corde e ci siamo aggrappate», ricordano Fei e Alexandra, due sorelline greche prese in cura all’ospedale di Brindisi da Valerio Scarano Catanzaro, giovane medico del Battaglione San Marco, amico dei due marò Girone e Latorre. «Una scena come nei film di guerra con i marines — raccontano in inglese le sorelline — ma abbiamo pensato anche al Titanic. Solo che stavolta era tutto vero». 
 

Il console di Grecia a Bari, Stelio Campanale, ieri ha fatto il giro di tutti gli ospedali della Puglia per assistere i suoi connazionali. Tra loro c’è Sofia Antonaki, moglie di un professore di Ginecologia, Giorgio, che è rimasto tra i passeggeri ancora a bordo della Norman Atlantic. 
 

La signora, insieme ad altri naufraghi greci ricoverati a Copertino, segnala al console un’importante anomalia: «Noi dovevamo partire con un’altra nave della compagnia, ma all’ultimo momento ieri c’è stato un cambio e ci hanno imbarcato sulla Norman. Però questa era piena di camion e infatti nell’aria c’era un gran puzzo di gasolio.

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Perciò ci siamo subito preoccupati. In effetti, poi, l’incendio pare sia nato proprio dal garage. Ci siamo aggrappati alle corde calate dagli elicotteri, con me c’erano i miei due figli maschi di dodici e quindici anni, sono stati molto coraggiosi, si sono arrampicati come due piccoli eroi». 
 

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Era una nave piena di camionisti greci che rientravano al lavoro dopo le ferie, la Norman. E ora ce n’è uno che vaga nelle corsie dell’ospedale chiedendo a tutti del suo cane Leo che viaggiava con lui, prima disperso e poi per fortuna ritrovato anch’esso. 
 

All’ospedale di Galatina, invece, è arrivata Teodora Douli, la moglie dell’unica vittima (questa è la speranza) del naufragio: «Mio marito Georghios — racconta ai mediatori dell’Arci che l’hanno accolta a Otranto — è morto di freddo per salvarmi, facendomi scudo col suo corpo, una volta che eravamo finiti in acqua per raggiungere una scialuppa. Si è sacrificato per me. Non lo dimenticherò mai». 

 

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