GIUSTIZIA AMARA - LA PROCURA DI BRESCIA HA CHIESTO L’ARCHIVIAZIONE PER FRANCESCO GRECO. IL PROCURATORE DI MILANO ERA INDAGATO PER OMISSIONE DI ATTI D’UFFICIO PER I VERBALI DELL’AVVOCATO AMARA SULLA PRESUNTA LOGGIA UNGHERIA. PER LA STESSA VICENDA RISCHIANO INVECE IL PROCESSO DAVIGO E STORARI. CHIUSE LE INDAGINI ANCHE SU DE PASQUALE E SPADARO PER LA GESTIONE DELLE PROVE AL PROCESSO ENI-NIGERIA…
1 - CASO PM MILANO: CHIESTA ARCHIVIAZIONE PER GRECO
(ANSA) - La procura di Brescia ha chiesto l'archiviazione per il procuratore della Repubblica di Milano Francesco Greco, indagato per omissione di atti d'ufficio per il caso dei verbali dell'avvocato Piero Amara su una presunta loggia Ungheria.
Chiuse invece le indagini, come riportano alcuni quotidiani, per l'ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo e per il pm milanese Paolo Storari e per l'aggiunto Fabio De Pasquale e il pm, ora alla procura europea, Sergio Spadaro.
francesco greco e piercamillo davigo
2 - GUERRA IN PROCURA A MILANO, CHIUSE LE INDAGINI ADESSO QUATTRO MAGISTRATI RISCHIANO IL PROCESSO
Monica Serra per "la Stampa"
Si chiudono le prime due partite dell'inchiesta di Brescia sullo scontro fratricida nella procura di Milano.
E sulla graticola di una possibile richiesta di rinvio a giudizio finiscono da una parte il pm Paolo Storari e l'ex consigliere del Csm Piercamillo Davigo per la "fuga" dei verbali dell'avvocato Piero Amara sulla presunta "loggia Ungheria", e dall'altra il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e il pm Sergio Spadaro, per la gestione delle prove al processo Eni-Nigeria, che si è concluso poi con una clamorosa assoluzione di tutti gli imputati.
i pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro -U43070110205349sDC-593x443@Corriere-Web-Sezioni
Non pervenuta invece la decisione sugli altri magistrati indagati per omissione di atti d'ufficio, ovvero il procuratore milanese Francesco Greco e l'aggiunta Laura Pedio. Ma è chiaro che la procura bresciana dovrà sciogliere la riserva anche su di loro, sebbene ieri sera il procuratore Greco, oramai a un passo dalla pensione, ostentasse tranquillità: «Io sto aspettando solo una cosa: l'archiviazione».
Nell'avviso di conclusione indagini notificato ieri, Brescia ipotizza per Davigo e Storari il reato all'articolo 326 del codice penale, ovvero rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio. La storia ormai è nota.
A Storari viene contestato di «aver consegnato i verbali dell'avvocato Piero Amara» resi di fronte a lui e alla collega Laura Pedio tra il 6 dicembre del 2019 e l'11 gennaio del 2020, sotto forma di file contenuti in una chiavetta Usb, al collega Piercamillo Davigo «nei primi giorni del mese di aprile del 2020 nei pressi dell'abitazione di quest' ultimo».
La contestazione a Davigo è più articolata perché non solo li avrebbe ricevuti illecitamente, autorizzando il collega a darglieli, ma li avrebbe anche «diffusi» a Roma.
Non soltanto infatti li avrebbe consegnati a membri del Csm, come il vicepresidente David Ermini, e ne avrebbe parlato con il Pg di Cassazione Giovanni Salvi (titolare dell'azione disciplinare), ma li avrebbe mostrati o ne avrebbe riferito pure a Giuseppe Cascini, Giuseppe Gigliotti, Stefano Cavanna, Giuseppe Marra e Ilaria Pepe, tutti del Csm. Nonché al presidente della Commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra (5Stelle).
L'accusa di rifiuto di atti d'ufficio ipotizzata, in un altro provvedimento di chiusura inchiesta per gli altri due magistrati, ovvero Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, racconta invece l'altra faccia della medaglia di questa storia. Quando nel maggio scorso Storari viene interrogato a Brescia, con mail e documenti alla mano, spiega infatti di aver consegnato quei verbali di Amara a Davigo per «autotutelarsi» dalla presunta «inerzia della procura».
«Inerzia» che, secondo il procuratore di Brescia Francesco Prete, si tradusse, per quanto riguarda De Pasquale e Spadaro, nel non aver portato a conoscenza delle difese Eni-Nigeria alcune prove che erano state raccolte da Storari nell'indagine con la collega Pedio sul presunto «complotto Eni».
A partire dalle chat telefoniche che dimostrerebbero come il coimputato e teste dell'accusa Vincenzo Armanna, ex manager Eni, avesse promesso 50 mila dollari a un poliziotto nigeriano per indurlo a una falsa testimonianza. Evidentemente a nulla sono servite le spiegazioni fornite a Brescia da De Pasquale e Spadaro, che sostenevano come quegli accertamenti fossero «incompleti». Ora tutti e quattro i magistrati rischiano di finire a processo. -