migranti treviso

PROFUGOPOLI - A TREVISO CRESCE L’INSOFFERENZA PER “L’OZIO OSTENTATO” DEI MIGRANTI: COSA SUCCEDERÀ ORA CHE IL VIMINALE HA FINITO I SOLDI PER LE ONG CHE LI OSPITANO? NEL GROSSO DEI DISPERATI C’È UNA PERCENTUALE DI DELINQUENTI CHE L’INATTIVITÀ FORZATA NON PUÒ CHE FAR AUMENTARE

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Fabiana Giacomotti per “Pagina99”

 

Bisogna riconoscere che a Treviso ci provano, a dare mostra di accoglienza. Ad abbattere lo stereotipo del veneto gonfio di benessere e intriso di ipocrisia a cui Pietro Germi l’ha inchiodato ormai cinquant’anni fa. Per questo, la scorsa settimana si sono affollati a centinaia, al piano nobile del palazzo dei Trecento, proprio sopra il bar che dai tempi delle riprese di “Signore e Signori” ne ha assunto il titolo e lo sfoggia con orgoglio, ad applaudire i sei richiedenti asilo del centro Africa chiamati a far parte della giuria ufficiale del festival Sole Luna, rassegna di documentari sulle minoranze e i diritti umani di rilevanza ormai internazionale.

 

Per un decennio la sua fondatrice, Lucia Gotti Venturato, l’ha organizzata a Palermo. Tre anni fa ha accettato di portarla nella città dov’è nata, cedendo alle insistenze della giunta Pd-civica guidata da Giovanni Manildo; un “bravo toso”, come lo definiscono i suoi concittadini, certamente conscio che gli oltre seicento rifugiati accolti nella ex caserma Serena di Casier, a pochi chilometri dal centro di Treviso, e lasciati a far nulla tutto il giorno, siano una bomba innescata, ma ben attento a non darlo a vedere.

 

Quando lo incontro, parla di un processo di integrazione in via di miglioramento. A Treviso come altrove, la formazione dei richiedenti asilo non è obbligatoria e le lezioni di italiano vengono seguite da un numero esiguo di rifugiati. Nel Veneto che fa del lavoro un’espressione del sacro, Manildo è costretto ad ammettere che l’”ozio ostentato” da parte dei migranti sia parecchio ostativo alla serena convivenza, ma che insomma le basi per l’integrazione siano state gettate e che “si stia procedendo all’organizzazione del tempo dei migranti”, quasi fossero bambini da tenere occupati con attività ricreative e non adulti a cui l’ozio dovrebbe essere proibito.

TREVISO MIGRANTITREVISO MIGRANTI

 

Che cosa succederà ora che il Viminale ha dichiarato esaurita la disponibilità economica per le organizzazioni umanitarie che ospitano i richiedenti asilo e che per oltre ventimila di loro si prefiguri la libera circolazione senza dimora in tutta Italia non è dato sapere.

 

Alla Serena nessun politico locale è riuscito a entrare da mesi, su facebook le invettive sono roventi. In un anno, questa moltitudine giovanissima e abbandonata a se stessa ha cambiato il volto della piccola Treviso. Ne ha cambiato i colori, i rumori, gli odori. La domenica, decine di bonghi risuonano sotto le arcate dei palazzi medievali.

 

Si percepisce una tensione tenuta faticosamente a bada da entrambe le parti, ma l’insofferenza cresce anche in luoghi insospettabili: il parroco del Sacro Cuore, lo stimatissimo don Alberto, se n’è andato pochi giorni fa, anzi è sparito, per motivi insondabili e non chiariti nel biglietto lasciato ai fedeli, al quale però ha aggiunto, coscienzioso esercente di affari spirituali, l’indicazione del nominativo a cui rivolgersi per le emergenze, metti caso un fedele schiattasse lì per lì e si rendesse necessario allestirne il funerale prima dell’arrivo del sostituto.

 

Per la cattolicissima Treviso, è stato un colpo al cuore. E’ preoccupato persino Silvio Calò, il professore liceale che da oltre un anno ospita a casa sua i sei giurati africani del festival, caso nazionale fra i più controversi di accoglienza mirata e, in apparenza, riuscita.

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“Non mi stupirei che qualche area politica aspettasse solo un incidente per trarne vantaggio”, si accalora il professore, modello di accoglienza ma non di incoscienza: dei suoi sei ospiti attuali, tre sono sostituti dei primi, rispediti al centro di accoglienza perché “non perbene”, come si lascia sfuggire. La sera, non fa più uscire la propria figlia adolescente da sola.

 

Detesta il buonismo di una certa Italia che piange sui migranti per scaramanzia e per pulirsi la coscienza e poi raccoglie le firme per lo sgombero delle stazioni, questo uomo che maschera la tipica combattività veneta sotto lo sguardo mite e miope del docente di filosofia, ma sa anche che nel grosso dei disperati c’è una percentuale di delinquenti che l’inattività forzata non può che far aumentare.

 

Dei trentacinque euro quotidiani che lo stato, almeno fino a oggi, gli ha messo a disposizione per ciascun immigrato, ne ha impiegato una buona parte proprio nella loro formazione. “Prima ho pagato loro un sostegno psicologico professionale, perché questi ragazzi arrivano provati da sofferenze indicibili, anche fisiche. Poi, non ho lasciato loro una sola ora libera tutto il giorno”. Ora, quasi tutti hanno trovato un impiego, in forme diverse: la metà, però, al momento si è vista respingere la domanda di asilo.

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Il loro difensore, Sossio Vitale, uno di quegli avvocati di elegante verve che ci si aspetterebbe usciti dalla vis drammatica di Vittorio de Sica e che a Treviso ricopre anche il ruolo di presidente della Commissione Cultura, racconta che il tribunale, non avendo modo di verificare le storie degli atroci supplizi visti da questi ragazzi e che, verrebbe da aggiungere, purtroppo assomigliano molto alle teorie para storiche sugli abusi di Bokassa, e che sono dunque ammantate dell’aura della leggenda, ha preferito rigettare la domanda di asilo. Nell’assenza di accordi fra lo stato italiano e molti fra quelli da cui gli immigrati arrivano, questi ragazzi restano sospesi, attaccati a speranze ogni giorno più inconsistenti.

 

Molti, anche a Treviso, finiscono vittime dei racket. C’è un mendicante a ogni angolo di strada. Fuori dai supermercati, almeno uno in pianta stabile. Calò li ferma spesso, per spiegare che quei 35 euro spesi dal governo italiano dovrebbero essere destinati alla loro formazione, non a trasformarli in accattoni. Il professore rischia grosso, e lo sa.

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Il suo modello di accoglienza, pur non condivisibile e non applicabile dalla maggior parte della popolazione, potrebbe essere replicato nelle stesse strutture che ora ospitano queste migliaia di anime sfaccendate, bloccate in modo sempre più irreversibile al di qua delle Alpi, prive dei mezzi per tornare indietro, ogni giorno più incattivite.

 

Milena Gabanelli ha proposto più volte sia nei suoi articoli sia in una puntata di Report un modello similare a quello di Calò. A Roma, parecchi gli hanno consigliato di non insistere. E adesso, c’è il problema delle risorse che vanno esaurendosi.

 

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