GRANI SARACENI – L’AUTOBIOGRAFIA DELLA “TOGA ROSSA” LUIGI SARACENI, DAL PARLAMENTO AL GIORNO IN CUI SCOPRÌ CHE SUA FIGLIA FEDERICA ERA UNA BRIGATISTA: “LA COSA MI SEMBRA INVEROSIMILE, ASSURDA. COME SIA POTUTO ACCADERE, SE È ACCADUTO” – LA DECISIONE DI ASSUMERE LA DIFESA, LA CONVINZIONE DEL PADRE E LA REDENZIONE DELLA FIGLIA
Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”
La scoperta arrivò nell' ottobre 2003, nel mezzo di una vacanza in Giamaica, quando l' ex giudice ed ex parlamentare Luigi Saraceni - una «toga rossa» che ha sempre rivendicato la sua militanza nella sinistra e la funzione sociale della magistratura che amministra giustizia in nome della Costituzione, divenuto avvocato - venne a sapere che sua figlia Federica era stata arrestata. Con la più grave delle accuse: appartenenza alle «nuove» Brigate rosse responsabili dell' omicidio del professor Massimo D' Antona, ucciso nel 1999.
«La cosa mi sembra inverosimile, assurda», racconta Saraceni. Poi l' immediato rientro in Italia, l' incontro in carcere e la conferma che è tutto molto serio e fondato: «Il problema è capire quanto sia coinvolta Federica in questa follia. Come sia potuto accadere, se è accaduto, che su mia figlia non abbiano funzionato gli anticorpi di carattere umano, morale, politico che costituiscono il patrimonio del mondo a cui ritengo di appartenere. Vediamo le carte. Mentre vado avanti nella lettura mi accorgo, con dolore, che mia figlia con quel gruppo di dissennati, in qualche modo ha avuto a che fare. Ma fino a che punto?».
LUIGI SARACENI - UN SECOLO E POCO PIU'
La terza parte dell' appassionata e appassionante autobiografia di Luigi Saraceni, che abbraccia Un secolo e poco più come recita il titolo, è la più drammatica. Dopo aver raccontato le gesta del padre anarco-comunista - difensore di braccianti e contadini nella Calabria del primo Novecento, arrestato sotto il fascismo e nell' interregno pre-repubblicano fino all' assoluzione per aver agito in difesa della popolazione ridotta alla miseria - e poi la propria avventura di magistrato, deputato e avvocato nella seconda metà del secolo, quando non era in discussione che sinistra e garantismo fossero sinonimi, le ultime pagine sono dedicate al tormento vissuto con le accuse e le condanne subite dalla figlia.
Che si somma ai ricordi dolorosi degli amici e colleghi di Saraceni ammazzati dalle Br di prima generazione, come Riccardo Palma e Girolamo Minervini, uomini ridotti a simboli eliminati con «ferocia disumana»; agli interventi che lo stesso Saraceni pronunciò, rivolto alla sinistra extra-parlamentare più vicina alla lotta armata, contro la deriva del terrorismo, che indussero un gruppo eversivo a progettare un attentato contro di lui; all' incontro in Parlamento con D' Antona, giurista e consulente del governo sostenuto dal suo voto di fiducia, un altro «simbolo» assassinato perché portatore di idee che, «condivisibili o meno, erano comunque ispirate a favore del lavoratore».
Un miscuglio di considerazioni, inquietudini e realtà nascoste, emozioni e sentimenti con cui il padre (dilaniato tra l' amore per la figlia e la solidarietà verso i familiari della vittima) deve fare i conti quando decide di assumere, su richiesta dell' interessata, la difesa di Federica. Dopo essersi convinto che con l' omicidio non c' entra. In primo grado la condanna si limita alla banda armata, mentre in appello arriva anche per il delitto D' Antona. «Come si sa, il giudicato non si discute, gli si deve ossequio e obbedienza - scrive il giurista Saraceni -. Ovviamente non voglio sottrarmi a questo dovere, ma so anche che esiste l' errore giudiziario, che è la verità che sopravvive al giudicato».
Dunque resta l' intima convinzione di un padre che va oltre le sentenze da rispettare, e la presa d' atto delle sciagurate scelte che hanno trascinato la figlia dentro una formazione terroristica. E un rapporto personale che durante e dopo il carcere ha preso una piega diversa, anche grazie alla laurea conseguita da Federica dietro le sbarre e ai nuovi impegni che ha preso su di sé dopo la condanna, grazie alle opportunità concesse ai detenuti da quello Stato che le Br volevano abbattere.
Lo stesso che invece non è riuscito a salvare dalla persecuzione il leader curdo Abdullah Ocalan, a cui l' Italia ha concesso asilo politico solo dopo che era stato mandato via e rinchiuso in un carcere turco, dove langue da vent' anni; un altro capitolo avvincente e dolente della vita e del libro di Luigi Saraceni.
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