inchiesta gold river contro i pescatori di frodo

QUANDO SI DICE “DARE LA SCOSSA” - NEL PO I BRACCONIERI VANNO A PESCA CON L'ELETTROSTORDITORE - LE BANDE ARRIVANO DALL'EST DELL'EUROPA E IN TRE ORE PORTANO VIA 600 CHILI DI CARPE E SILURI, POI RIVENDUTI SUI MERCATI ESTERI - FIUMI, TORRENTI E LAGHI DEL NORD ITALIA SONO DEPREDATI DA “CELLULE” DEI PESCATORI DI FRODO COMPOSTE DA TRE PERSONE. PIÙ UN CAPO CLAN CHE GESTISCE DA DIETRO LE QUINTE LO STOCCAGGIO E IL TRASPORTO DELLA MERCE…

Giuseppe Scarpa per “il Messaggero”

 

L'acqua dei fiumi del nord Italia è frustata, percorsa da scariche elettriche. Carpe, siluri, temoli russi, lucioperca e carassi galleggiano moribondi. In mezza giornata i pesci, stipati in furgoncini, hanno già superato il confine e sono nei banchi dei mercati dell'est Europa. L'elettrostorditore, simile a un mega retino acchiappafarfalle, è l'arma usata dai bracconieri. È la pesca dei miracoli. In due, tre ore di lavoro, si raccolgono 500, 600 chili di pesce. Tutto illegale. Prenderli è un gioco da ragazzi. Come buttare il phon in una vasca da bagno, così si spezzano vite e si incassano soldi facili. In media 1.500 euro in 180 minuti da dividere tra i vari componenti della banda.

INCHIESTA GOLD RIVER CONTRO I PESCATORI DI FRODO

 

LE BANDE

Le cellule dei pescatori di frodo sono composte da tre persone. Più un capo clan che gestisce da dietro le quinte lo stoccaggio e il trasporto della merce. Questi gruppi si stima che ad oggi, in Italia, siano una ventina, per un totale di novanta persone. Basta fare i conti per capire il business generato e il colpo fatale inferto a madre natura. Milioni di euro all'anno e tonnellate di pescato.

 

Un fenomeno che negli ultimi anni è stato ridimensionato, l'inchiesta Gold River dei carabinieri forestali, ad agosto del 2020, ha chiesto il rinvio a giudizio di diverse persone per bracconaggio ittico, maltrattamento di animali e frode in commercio. «Basti pensare che nel 2016 si contavano, nel nostro Paese, quasi 400 bracconieri, adesso sono meno di un centinaio. Ovviamente monitoriamo e contiamo di estirpare questa pratica definitivamente.

 

INCHIESTA GOLD RIVER CONTRO I PESCATORI DI FRODO

Siamo sulla buona strada», spiega uno dei più esperti investigatori in tema di pesca di frodo, Stefano Testa tenente colonnello della sezione operativa antibracconaggio dei militari dell'Arma. L'indagine aveva permesso di scoprire ciò che accadeva in un sito protetto del Parco Regionale Veneto del Delta del Po. Una pesca che aveva causato un deterioramento dell'habitat acquatico, fatto crollare l'ittiofauna e creato danni irreparabili.

 

IL METODO

Ma non è solo il delta del Po a fare i conti con i pescatori di frodo. Fiumi, torrenti e laghi del nord Italia sono depredati da queste bande che planano dell'est Europa soprattutto in Lombardia, Emilia, Veneto e Piemonte. Ogni gruppo è composto da un autista e due pescatori, più un capo che rimane nell'ombra a gestire l'intera partita. Arrivano lungo gli argini, in zone isolate, nel cuore della notte.

 

INCHIESTA GOLD RIVER CONTRO I PESCATORI DI FRODO

Gonfiano il gommone, un tender, con il tubo di scappamento del furgone. Attaccano un terminale di plastica alla marmitta e pompano il gas nei tubolari del gommoncino accelerando con il motore per velocizzare la pratica. In due minuti calano il tender. Poi inizia la raccolta. Si usano i cavetti impiegati per ricaricare le auto in panne.

 

Una pinza si attacca al polo negativo di una batteria di macchina da 100 ampere e poi viene messa l'altra estremità a mollo nell'acqua. Il morsetto positivo è invece agganciato al mega retino. È questo un elettrostorditore artigianale. Lo strumento viene passato sotto la superfice del fiume e rilascia delle scariche elettriche. I pesci sono attirati dentro la rete. Attratti da una forza magnetica. «Il pesce - spiega il tenente colonnello Testa - corre lungo la linea di forza e viene raccolto. L'altro sale a galla e viene recuperato successivamente».

 

LA LAVORAZIONE

Ecco che in tre ore il tender fa fatica a stare a galla, straborda di carpe, siluri, temoli russi, lucioperca e carassi: 600 chili. A questo punto scaricano il bottino a terra, sgonfiano il gommone e stipano tutto dentro il furgone. Poi si dirigono verso dei casolari sperduti, sempre in nord Italia. Qui avviene una prima sommaria lavorazione. «Stoccano il pescato, lo lavorano lontano da occhi indiscreti e lo stesso odore non attira nessuno», aggiunge Testa.

 

È la penultima tappa. L'intero processo viene seguito da un capo che governa due o più cellule. Poi la merce, immersa in cassette di ghiaccio, viene mandata illegalmente in est Europa o in qualche mercatino in Italia, frequentato da romeni, ucraini, ungheresi e indiani. Nell'export, spesso, entrano in gioco complici italiani. Il loro ruolo è fornire le false certificazioni per i prodotti ittici.

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